NON CI SARÀ PIÙ LUTTO
NÉ LAMENTO
La
promessa è di Dio e certamente si realizzerà; ma è pure attesa
di ogni cuore umano e come tale essa è compito
ineludibile di ciascuno.
«Non ci sarà più lutto, né lamento, né affanno» (Ap
21,4). È una promessa di Dio.
Ma è anche un’attesa
del cuore. Specialmente in questi tempi dove i disordini della globalizzazione
e le ingiustizie in Medio Oriente pesano su ciascuno di noi.
È in questo contesto che
l’11 settembre un grande lutto ha colpito il popolo americano. È stato
condiviso da tutti coloro che, malgrado le opposizioni
dei campi e delle ideologie, considerano sacra la vita umana ovunque sia, a
Manhattan, a Gerusalemme, a Kabul o ad Algeri.
A partire da questa data una grande
tristezza ha colto tutti gli uomini, tristezza di scoprire che odi così
profondi si erano sviluppati nella comunità umana.
Quale somma di rancori si è dovuta accumulare in
qualche parte del mondo perché degli uomini scelgano di morire per portare la
morte nelle case di coloro che considerano nemici!
Ma c’era soprattutto
l’ansia nell’attesa della risposta che sarebbe stata data alla violenza subita.
Sappiamo che l’odio e la vendetta sono atteggiamenti disumani che perpetuano il
crimine e non potrebbero costruire il futuro per nessuno.
Soprattutto era importante non odiare e non
vendicarsi.
Chi oserebbe ancora oggi entrare in una spirale
infernale da dove non possono che emergere altri crimini?
Come privare la violenza terrorista dei suoi mezzi
d’azione, senza creare nuove violenze che, avendo per obiettivo gli assassini,
colpiscano nuove vittime innocenti? È la fase nella quale siamo entrati con gli
attacchi in Afghanistan.
Nel momento in cui scrivo queste righe, siamo tutti
in preghiera perché Dio tocchi il cuore dei dirigenti e li distolga da
qualsiasi azione che produca l’irreparabile.
E l’irreparabile sarebbe
che la risposta, anziché impedire che i piccoli gruppi di terroristi uccidano
degli innocenti, colpisca tutto il popolo.
Sarebbe allora un dramma perché nascerebbe immediatamente
una nuova e disastrosa frattura tra due mondi.
Molti si rivolterebbero contro una punizione che
colpisse degli innocenti.
Del resto, si tratterebbe di una punizione? Questa
appartiene a Dio o alla giustizia, ma non alla forza delle armi.
Quando è sorto il primo
giorno su questa nuova crisi, ero pronto, come molti, a cedere allo sconforto.
Ma fortunatamente vi è un dono di Dio per ogni
giorno, e la vita ce lo porta se siamo pronti ad
accoglierlo.
Nello stesso giorno in cui si annunciava
l’attacco all’Afghanistan, gli impegni quotidiani della solidarietà e del
rispetto reciproco mi attendevano. Mi aspettavano, come
aspettavano tutti, e devono prevalere, in avvenire,
sulle tecniche armate o sugli orrori del terrore ideologico.
Nello stesso giorno in cui la pace nuovamente
vacillava, avevo ad esempio nella mia residenza il gruppo di Terres des hommes
i cui volontari, venuti dal Nord, riflettevano con
persone impegnate in Algeria in azioni di rispetto ai bambini.
Nello stesso giorno, una delegazione musulmana
veniva a invitarmi a un incontro spirituale alla
memoria dello scheikh ‘Alawi (fondatore dell’omonima confraternita) e del suo
messaggio d’amicizia tra ebrei, cristiani e musulmani.
Nello stesso giorno mi portavano il progetto, che
un’impresa algerina aveva preso l’iniziativa di elaborare, per innalzare una
croce nel cimitero dove riposano i cristiani vittime
della violenza.
Nello stesso giorno un rappresentante di una ONG del Nord è venuto a visitarmi per capire come e dove
impegnare la propria organizzazione.
Di fronte alla violenza della risposta bisogna
mobilitare tutte le energie di pace per imporre a questa violenza i limiti
necessari a proteggere la vita degli innocenti e a preservare il loro avvenire.
Ma bisogna anche continuare questo
impegno quotidiano attraverso il quale viene la promessa di Dio nel
Libro: «Non ci sarà più né lutto, né lamento, né affanno».
È una promessa di Dio, ma è anche un compito per
ciascuno.
Henri Teissier,
arcivescovo di Algeri
da
Cristiani in Algeria, EMI 2004