51a ASSEMBLEA NAZIONALE USMI

RENDERE VISIBILE LA SPERANZA

 

La vita consacrata è invitata a rendere visibile la speranza in un mondo caratterizzato dallo scambio generazionale e dalla mobilità etnica. Deve uscire dalle misure protettive tipiche del passato e scegliere di abitare all’interno della storia che è quella di un’umanità migrante come luogo di salvezza.

 

La vita religiosa femminile è oggi chiamata a mettersi sulle orme di Rut, la versione femminile di Abramo, donna capace di affrontare insicurezza e povertà, disponibile a farsi migrante in Israele al seguito della suocera: sperò contro ogni speranza e divenne feconda di vita, facendo ripartire la storia della salvezza.

Possiamo assumere questa icona biblica, ricordata dalla presidente madre Teresa Simionato smsd, come la cifra riassuntiva della riflessione maturata in seno alla 51ª Assemblea nazionale dell’USMI (Roma, 13-16 aprile 2004), che ha visto la presenza di oltre 450 superiore maggiori riunite per riflettere su una VC che sia rinnovato segno e strumento di speranza, in un periodo storico caratterizzato da comunità con sempre più accentuate diversità generazionali e culturali. Il tema proposto – Rendere visibile la speranza in un mondo che cambia. Le religiose tra interscambio generazionale e mobilità etnica – è stato sviluppato attraverso relazioni, tavole rotonde e gruppi di studio che hanno contribuito a esplicitarne le molteplici prospettive. In particolare i gruppi di studio hanno proseguito la riflessione già avviata da un Forum, aperto all’apporto di vari istituti (su tre fenomeni chiave: invecchiamento, mobilità etnica e società multireligiosa) e che dovrebbe sfociare in un progetto condiviso nell’assemblea dell’anno prossimo.

 

DIRE DIO

AL FEMMINILE

 

Una lettura sapienziale (ispirata alla parabola veterotestamentaria riguardante Gedeone, uno dei grandi “giudici” di Israele) è venuta dal contributo del teologo camaldolese don Paolo Giannoni, il quale ha subito invitato «la chiesa particolare che è la vita religiosa» a dare credito al mondo di oggi, tempo di Dio in cui coesistono peccato e occasione favorevole.

Solo questo sguardo di speranza può aiutarci ad assumere un modello di chiesa capace di evitare sia la logica autoassicurativa di definirsi minoranza (la “riserva” dei migliori!) sia il metodo della condanna di ciò che si è alienato da Dio. La prospettiva più corretta non è quella sociologica ma quella biblica che si esprime nel concetto di diaspora-disseminazione («siamo il seme della vita che Dio getta nelle zolle del mondo») e che invita a porsi in atteggiamento di conversione, «nella coscienza che la malattia del mondo non ci è estranea, sia perché ne siamo inquinati sia perché vi abbiamo contribuito».

Con questo spirito, che ci dovrebbe mettere in guardia dalle tentazioni di una chiesa-agenzia della morale che si rinchiude ora nel lamento (di fronte a un mondo che pone Dio fuori gioco) ora nella ricerca dell’efficienza organizzativa (segno di una sottile disperazione), don Giannoni ha invitato a cogliere il tratto inevitabile della odierna missione: «la speranza porta al coraggio di cogliere il positivo nel superamento di molte supplenze ecclesiali che sopperivano a carenze della società o dello stato. Così è possibile il coraggio delle congregazioni nel cambiare e perfino nel morire per non umiliarsi in una affannosa ricerca di automantenersi, quando il carisma della fondazione non è attuale».

Vanno pertanto scoperti con gioia i nuovi punti di appoggio offerti alla chiesa dei nostri giorni. Essi sono costituiti: dal carisma della donna (non esecutivo ma attivo nel dire l’altra parte di Dio, quella che è sorgente della femminilità), dal radicamento dell’azione nell’adorazione, dal servizio impregnato dalla coscienza che Dio è innamorato di ogni creatura. In questo contesto anche la povertà diventa segno di speranza, perché costringe ad aprirsi all’altro e ad affidarsi a Dio non facendo centro su se stessi. Così si esprime una chiesa tipicamente femminile, chiesa di compassione che cerca di riconoscere i “semi del Verbo” presenti nel mondo; così si rinnova la VC aperta all’accoglienza e perciò disposta a farsi cambiare da ogni giovane che entra in congregazione.

 

PER DARE UN’ANIMA

AL MONDO CHE CAMBIA

 

Assumendo in pieno questo sguardo critico e profetico, madre Simionato ha indicato i tre nuclei che sembrano costituire la “cruna dell’ago” entro cui dovrà passare la VC in Italia: vivere la speranza perché sia visibile e vivibile in un mondo in fuga; scegliere lo scambio come superamento di chiusure protettive e sicurezze; abitare la storia di una umanità migrante come luogo della salvezza.

Perciò la sua relazione – alla luce dei contributi inviati al già citato Forum dell’USMI e confermando la riflessione nel quinquennio appena trascorso circa il cambiamento all’interno e all’esterno delle congregazioni, per intraprendere un cammino verso nuove solidarietà – ha messo a fuoco un’ulteriore prospettiva: quella per cui «ogni solidarietà richiede un’anima, domanda di rendere visibile la speranza che dà senso a tutto». L’anima del cambiamento va infatti identificata precisamente in quella speranza la quale, andando oltre un atteggiamento di ottimismo o di attesa, consiste nel credere che la risurrezione finale inizia qui, ogni giorno, e spinge quindi a collaborare per rendere possibile la risurrezione stessa dentro ogni croce dell’uomo.

Nello spirito dell’esortazione Ecclesia in Europa, in cui il papa richiama l’apporto specifico della donna nel servire il Vangelo della speranza (42), è urgente riflettere innanzitutto sul fenomeno ormai strutturale della mobilità etnica (termine più adeguato del concetto di immigrazione). Mobilità che è esito della globalizzazione e insieme dura necessità per molti che si trovano nel bisogno di maggior sicurezza e stabilità di vita (vedi per l’Italia il XIII Rapporto sull’immigrazione di Caritas-Migrantes): si tratta di un sesto continente costituito da almeno 200 milioni di persone l’anno che circolano per il mondo!

Questo contesto pluralistico impone il passaggio dal coabitare al cooperare con la differenza, sviluppando una educazione all’alterità (come relazione da costruire e non come barriera da cui difendersi o fuggire) e allo spirito critico circa le proprie identità e appartenenze (etnia, nazione, religione, lingua) messe in relazione con la vocazione universale dell’uomo (la ragione, la libertà di coscienza, i diritti fondamentali). La VC femminile, secondo sr. Simionato, è nelle migliori condizioni «per essere e fare da ponte con ogni persona immigrata» ed è chiamata a «vivere la mobilità quale espressione e testimonianza di un amore libero e universale (ogni uomo è mio fratello) e del primato di Dio nella nostra vita: la nostra sicurezza non è legata a un luogo scelto personalmente, ma a quello indicatoci dall’obbedienza, che abbiamo scelto di vivere. La mobilità vissuta per Cristo e per il Vangelo ci fa povere di legami, ci pone nella situazione di non mettere radici, nella condizione di comprendere più da vicino il nostro fratello immigrato e di ricordare al mondo che ogni uomo ha una radice più profonda di quella della propria terra: la radice che è nel cuore di Dio, nostro Padre e creatore».

La condizione di mobilità rende poi le religiose più flessibili nel servizio: nel nostro paese gli istituti religiosi stanno passando infatti da interventi di prima accoglienza (che rispondono alle condizioni di povertà e di insicurezza degli immigrati e che fanno da stimolo ad altre forze sociali) a interventi di seconda accoglienza, cioè di sostegno all’integrazione delle persone (formazione, promozione dell’associazionismo, ricongiungimenti familiari ecc.) e di riabilitazione della dignità delle persone.

Una seconda pista di riflessione per coniugare il Vangelo della speranza col cambiamento ha riguardato il tema del ricambio e scambio generazionale. È noto che quasi tutte le congregazioni in Italia e in Europa sperimentano una diminuzione del personale e la presenza sempre più elevata di suore anziane e malate; a ciò si aggiunge la mancanza di vocazioni, resa più complessa dal timore di un impegno permanente e dalla fatica di entrare in dialogo con le giovani che entrano negli istituti. Da qui la chiusura di opere apostoliche e di comunità con la conseguenza di una minore visibilità della VC stessa. Nell’ultimo decennio poi molte congregazioni locali si sono trovate a fare i conti con una presenza, talvolta maggioritaria, di suore di altri paesi e quindi di vivere la dimensione dell’internazionalità senza quell’adeguata preparazione che permette un vero scambio culturale.

Di fronte a questo scenario la presidente dell’USMI ha preferito parlare di iniziazione al cambiamento, sottolineando due direzioni: aiutare le comunità a leggerlo in modo sapienziale e formare la leadership degli istituti a guidarlo. Non si tratta di arrivare geograficamente più lontano, bensì di arrivare più lontano in umanità, correndo il rischio, malgrado i limiti e la riduzione numerica, di cercare azioni che permettano di avviare cammini comuni: «La comunità è il luogo in cui si genera la fede nel quotidiano; lo spazio concreto in cui ci si aiuta e ci si perdona a vicenda; il luogo della comunione che si costruisce mediante la lenta “guarigione delle ferite” che talvolta ci provochiamo con le nostre stesse differenze». Come è risultato anche dai contributi del Forum sul tema specifico dell’invecchiamento, occorre saper vivere questo segno come opportunità di purificazione e come invito urgente ad attivare percorsi di dialogo tra giovani e anziane. Necessario dunque un serio cammino di autoevangelizzazione comunitaria, per sollecitare la crescita dell’integrazione reciproca fra sorelle di culture diverse e per accogliere l’idea che il nostro mondo occidentale sta esaurendo le sue risposte (non sempre peraltro apportatrici di vero benessere), mentre si apre l’era dei popoli del sud del mondo.

In questa prospettiva si avverte sempre più il bisogno di un governo spirituale che assuma con stile evangelico gli aspetti più significativi del servizio dell’autorità: l’integrazione tra ruolo e autentica autorità interiore, la coltivazione di una visione del futuro carica di speranza e che aiuti a sognare, l’abilità di non lasciarsi assorbire dai meccanismi organizzativi, l’opzione per una leadership condivisa in collaborazione permanente con altre persone.

La sfida dello scambio e dell’interdipendenza, con la logica conseguente della rete e del partenariato, impongono infine ulteriori sviluppi oggi alla VC che vanno sotto il nome di intercongregazionalità e internazionalità. «Dall’osservatorio dell’USMI – ha affermato madre Simionato sul primo aspetto – si coglie che lo scambio, a cui le congregazioni sembrano essere meglio preparate, riguarda la condivisione a livello di carismi e la costituzione di comunità intercongregazionali in luoghi di frontiera o in situazioni di emergenza». Significative le richieste, provenienti da piccole congregazioni, che domandano di poter essere messe a contatto con istituti che hanno un carisma affine, allo scopo di studiare la possibilità di federazione o di scambio formativo o di unione. Più faticose appaiono le collaborazioni in opere tradizionali come scuole o pensionati (la presenza intercongregazionale è meno significativa a motivo di compiti equiparati a quelli di qualsiasi altro personale laico); più facile la compresenza di vari istituti in opere socio-assistenziali, di pronto intervento (servizi di accoglienza, partecipazione a iniziative che denunciano situazioni d’ingiustizia e di violazione dei diritti umani). Si può in generale affermare che le religiose in Italia sono approdate all’intercongregazionalità perché sollecitate dalla necessità di continuare la loro presenza e di offrire un servizio.

Per quanto riguarda l’internazionalità, va rimarcato che la presenza di suore provenienti da altri paesi necessita, oltre all’entusiasmo iniziale, un impegno culturale e spirituale notevole per non creare gruppi paralleli all’interno delle congregazioni e per discernere i criteri più validi per una vita comunitaria rispettosa delle presenze non italiane. La diversità delle culture è infatti notevole, anche a livello europeo. Ecco pertanto la necessità, in questo propizio momento storico, che la VC italiana si sforzi di avviare «laboratori di conoscenza» tra ovest ed est dell’Europa per favorire lo scambio di doni spirituali.

Questo il quadro complesso affrontato da una vita religiosa sempre più consapevole che, proprio coltivando la speranza, può trovare nuove vie per continuare a rendere visibile «il corpo femminile di Dio».

 

Mario Chiaro