PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA
LA SFIDA DELLA NON CREDENZA
Il
fenomeno della non credenza si presenta oggi
con
connotati diversi e più problematici dell’ateismo del passato. Mentre l’ateo
classico si interrogava
su
Dio, per il non credente moderno il problema
non
esiste. Come rispondere a questa nuova situazione e con quali proposte?
Una delle più grandi sfide davanti alle quali si
trova oggi la Chiesa è quella della non-credenza e dell’indifferenza religiosa.
Si tratta di fenomeni relativamente recenti, non
riconducibili alle forme di ateismo e agnosticismo caratteristici dell’Ottocento,
che esigono una nuova chiave di lettura e un approccio diverso rispetto al
passato. L’ateo “classico”, infatti, è una persona che si interroga su Dio e si
pone una domanda che lo tocca in profondità; il non credente “moderno” o, come
si dice, “postmoderno” invece non pare nemmeno sfiorato da questo quesito. Oggi
perciò è in questione non solo l’erosione della fede in Dio, ma la questione
stessa di Dio.
Di fronte a questo tentativo di impiantare una
cultura secolare, laicista che fa vivere gli stessi cristiani in una società
senza Dio, occorre da parte della Chiesa un forte impegno per promuovere una
visione globale della vita, nella quale Dio abbia il suo posto e l’uomo sia
visto nella prospettiva del suo fine ultimo. In altre parole, oggi è più che mai
«urgente promuovere una rinnovata cultura cristiana in tutti i settori della
vita». Purtroppo, la Chiesa sembra soffrire di ritardi nel prendere coscienza
della nuova situazione e ha bisogno di un’analisi più approfondita e
differenziata delle molteplici cause e forme che caratterizzano l’attuale
situazione.
Tutta questa problematica è stata oggetto di
riflessione da parte dell’assemblea plenaria del pontificio Consiglio della
cultura, che si è tenuto a Roma dall’11 al 14 marzo, e che ha avuto per tema La
fede cristiana all’alba del nuovo millennio e la sfida della non-credenza e
dell’indifferenza religiosa. Il tema è stato analizzato sotto diversi punti di
vista, tenendo presenti anche i vari contesti geografici e culturali, non solo
in Europa, dove la situazione ha dei caratteri più marcati, ma anche in Asia
dove esistono mondi culturali lontani dalla concezione cristiana e segnati dal
fondamentalismo religioso, in America latina aggredita dalle sette, in Africa
dove si sta assistendo al fenomeno della rottura culturale dovuta allo sviluppo
dell’urbanesimo e delle megalopoli, e con uno sguardo anche agli interrogativi
derivanti dal diffondersi della new age, dei nuovi movimenti religiosi e delle
sette.
I partecipanti hanno indugiato a lungo
nell’indagare le cause di questa situazione di non-credenza e nell’identificare
gli interlocutori, per giungere a suggerire linee di annuncio e proporre alcuni
strumenti su cui far leva: per esempio, i centri culturali cattolici, le
istituzioni educative, la scuola e le università, i mass media, una rinnovata
attenzione alla famiglia come luogo dove trasmettere la fede ai figli, il
dialogo personale, le missioni cittadine, e le vie della bellezza e dell’amore.
I DIVERSI VOLTI
DELLA NON CREDENZA
Come si presenta oggi il fenomeno della non
credenza? A delinearne la dimensione e i contorni, raccogliendo ciò che era
emerso durante le giornate di studio, è stato il cardinale Paul Poupard,
presidente del Pontificio consiglio per la cultura, nella sintesi finale dei
lavori.
– La non-credenza, ha affermato, non è in
aumento nel mondo ed è un fenomeno che si ritrova solo nel mondo occidentale ma
che tende, attraverso la globalizzazione, a diffondersi anche altrove. Per il
momento tuttavia non riguarda immediatamente il mondo asiatico, quello
latino-americano o africano e meno ancora il mondo musulmano.
– L’ateismo militante è in regresso e non
esercita più un grande influsso sulla vita pubblica, eccetto che nei regimi in
cui è ancora la potere un sistema politico ateo.
– Cresce invece l’indifferenza religiosa, come in
aumento è anche l’ateismo pratico. Agnostici e credenti non-praticanti formano
una parte importante della società e vivono di fatto come se Dio non esistesse,
senza riferimento ai valori e alle istanze religiose. Il risultato è l’emergere
di un homo indifferens il cui ragionamento è: «Può darsi che Dio non esista, ma
ciò non ha alcuna importanza; in ogni modo, non ne sentiamo la mancanza».
Mons. Rodé, neo prefetto della Congregazione per
gli istituti di vita consacrata e società di vita apostolica, nel suo
intervento, accennando a questo punto, aveva parlato di un mondo pagano e
paganizzante, di una società in cui gli idoli sono il benessere, il denaro, la
libertà senza limiti, il proprio io. In altre parole, un mondo in cui «l’uomo
vive centrato su se stesso, inchiodato alle sue piccole soddisfazioni che può
attingere nella sua vita terrena. La religione è svalutata come qualcosa di
indegno, di inadeguato al nostro tempo perché priva di fondamento razionale e
di utilità pratica… Al cuore di questa visione antropologica si annida la
seduzione di una cultura antropologica materialista, edonista, atea, nella
quale l’uomo è il centro e come il dio di se stesso, la misura e la norma del
mondo; una cultura che è in forte tensione e in aperto conflitto con quella
cristiana, nella quale invece Dio è il centro dell’uomo, il suo fine, colui che
definisce la sua identità creaturale e relazionale».
Alla base di questa situazione, sempre secondo
mons. Rodé, c’è la drastica trasformazione della famiglia che non è più capace
di iniziare il bambino a un mondo in cui Dio è presente. Al contrario del
passato quando la fede si trasmetteva naturalmente in quasi tutte le famiglie,
nell’ambiente famigliare, oggi tutto questo diventa più raro. La famiglia ha
perso in gran parte la sua capacità educativa. I veri educatori dei bambini e
dei giovani sono i mass media, la TV, il gruppo degli amici. I bambini e i
giovani si costruiscono così una visione del mondo priva di riferimenti
religiosi dove Dio, Gesù Cristo, la Chiesa, la vita eterna sono realtà di
secondo ordine, quasi inesistenti, se non addirittura nocive.
Il corollario consequenziale di questa debole fede
o di questa fede persino assente è una visione del mondo non cristiana, in cui
i valori che contano sono quelli propagati dai mass media, dalle riviste, dalla
musica rock, mentre si accantona la pratica religiosa, si disprezza la figura
del sacerdote e della Chiesa in genere. Una visione del mondo praticamente
atea.
– Proseguendo nella sua sintesi, il card. Poupard
aveva rilevato che nella trasformazione in atto c’è un altro fatto nuovo:
mentre in passato l’ateismo e la non-credenza costituivano un fenomeno
essenzialmente maschile, cittadino, presente soprattutto tra le persone di
livello culturale al di sopra della media, oggi lo si ritrova anche nel mondo
femminile, soprattutto tra le donne che lavorano fuori casa.
– Dappertutto, inoltre, si nota un calo del numero
delle persone che frequentano regolarmente la chiesa. Questa costatazione non
significa un aumento della non-credenza, ma indica piuttosto una trasformazione
della pratica religiosa e del modo di credere: credere senza appartenere.
– Si può comunque affermare, ha concluso il card.
Poupard, che non esiste una mondializzazione della non-credenza, ma una
disaffezione dalle religioni tradizionali, sia per quanto ne riguarda la
pratica sia l’adesione ai loro contenuti dottrinali e morali. Dappertutto si
sviluppa una nuova ricerca che è più spirituale che religiosa, senza tuttavia
essere un ritorno alla fede tradizionale. A questo riguardo, il card. Kasper,
presidente del pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani,
aveva parlato di una crescita esorbitante di vecchie e nuove sette, di
movimenti non-religiosi e pseudo religiosi, di forme surrogate di religione e
persino di un ritorno del mito e del sacro.
UNA RINNOVATA
CULTURA CRISTIANA
La plenaria si è chiesta come rispondere a questa
sfida e come promuovere una rinnovata cultura cristiana. Secondo mons. Rodé, il
punto di partenza per una nuova evangelizzazione deve essere una Chiesa
rinnovata. Bisogna cioè ricuperare il vigore spirituale delle comunità
parrocchiali, delle famiglie cristiane: «comunità felici di conoscere Cristo,
radicate in lui, consapevoli della responsabilità di essere testimoni di Cristo
e portatrici della sua parola sempre giovane ed efficace». E ha aggiunto: «È
nostro obbligo presentare il vangelo completo, la vita cristiana nella sua
pienezza.
Le crisi della storia sono sempre state superate da
minoranze vigorose, operanti, attrattive e influenti. Tutto questo ha un nome:
l’aspirazione alla santità, l’accettazione della chiamata universale alla
santità… Solo una comunità fedele alla sua vocazione avrà la forza necessaria
di farsi ascoltare e cambiare il cuore degli uomini. L’esperienza insegna che i
compromessi condiscendenti e le esigenze minimaliste non attraggono e
convincono nessuno. Troppo a lungo si è confusa la pastorale del dialogo con
quella della condiscendenza e del minimalismo».
In secondo luogo, sempre secondo mons. Rodé,
occorre impegnarsi per una risposta di speranza. Anche se la situazione per la
trasmissione della fede è oggi difficile in Europa, si può tuttavia affermare
che fattori a favore della fede sono più forti di quelli a favore della
non-credenza. Anche se molto estesi attualmente, l’ateismo, l’agnosticismo,
l’indifferenza non sono situazioni normali dell’uomo. L’offuscamento attuale di
Dio nell’intelligenza e nella volontà non è un processo naturale e definitivo; è
piuttosto il risultato di un momento di sviluppo culturale mal vissuto a causa
di determinati eventi storici e della mancanza di fede negli stessi credenti.
Ma qualcosa di nuovo sta nascendo: ci sono comunità
nuove, dei giovani che vivono la fede con entusiasmo e generosità, dei germogli
di religiosità popolare che si sviluppano in molte parti del mondo, diverse
piccole comunità attive dappertutto. Fondamentale, comunque, ha sottolineato
mons. Rodé è l’autenticità, la pienezza della vita cristiana.
Per farvi fronte, occorrerebbe una testimonianza
forte e convinta. In realtà invece ci troviamo di fronte a una «debolezza
interna della Chiesa che si è manifestata nelle tensioni interne, negli errori
di metodo commessi durante gli ultimi 40 anni. Si può anzi dire che la
secolarizzazione è entrata nella Chiesa, sotto il falso prestigio di
un’immagine di Chiesa modernizzata e riducendo il cristianesimo a una saggezza
puramente umana, a una scienza del vivere bene. E questo avviene in un momento
in cui la Chiesa dovrebbe essere missionaria, mentre in realtà è debole e
ripiegata su se stessa, insicura, dubbiosa, con una sempre più avvertita
carenza di persone dedite all’evangelizzazione, con delle teorie che
intiepidiscono l’ardore missionario».
Anche secondo il card. Walter Kasper è essenziale
che «la Chiesa rimanga Chiesa e non si conformi superficialmente alla
situazione attuale, cedendo al relativismo e al pluralismo religioso,
rinunciando al carattere unico e assoluto del suo messaggio oppure
appiattendosi a livello di un’agenzia sociale e umanitaria… In una situazione
in cui tutto diventa indifferente e anonimo e, dunque, grigio e noioso, la
Chiesa si fa interessante e, ponendosi come alternativa, sollecita attenzione e
domande; essa diventa credibile testimone, cioè come martire, tramite la sua
esistenza martirologica».
Raccogliendo quanto era stato suggerito, il card.
Poupard, nella sintesi finale, ha formulato in sette proposte l’impegno a cui
mettere mano: importanza di testimoniare la gioia di essere persone di Dio;
riaffermata necessità dell’apologetica, ossia rendere conto con dolcezza e
rispetto della speranza che è in noi; raggiungere l’homo urbanus con una
presenza pubblica nei dibattiti nella società; mettere il vangelo a contatto
con le forze che modellano la cultura; dalla scuola all’università, imparare a
pensare; reagire contro l’accettazione tacita della cultura dominante mediante
una nuova proposta di cultura cristiana; ai non credenti indifferenti al
problema di Dio, ma che credono nei valori umani, mostrare mediante la vita dei
credenti e delle comunità di fede che essere vuol dire essere religiosi e che
l’uomo raggiunge la sua pienezza seguendo il messaggio del Vangelo di Cristo,
Figlio di Dio e della vergine Maria, il Crocifisso risorto fonte da cui
scaturisce infinitamente la bellezza, la verità e l’amore.
LA VIA
DELLA BELLEZZA
Tra le vie per giungere a dialogare col mondo della
miscredenza la plenaria ha ripetutamente indicata anche quella della bellezza.
Ne ha parlato, per esempio, il card. Cormac Murphy
O’Connor, arcivescovo di Westminster (Londra). Nel suo intervento ha raccontato
di un recente incontro avuto con un gruppo di architetti e designers, la
maggior parte dei quali non credenti. Ha affermato di aver scoperto un
interessante terreno comune su cui impegnarsi nel dialogo. L’arte, la bellezza
sono un ponte verso il trascendente e l’eterno ed elementi che hanno una
stretta relazione con la civiltà. Per molte persone, ha sottolineato,
l’estetica può agire come una specie di pre-evangelizzazione che può portare a
un impegno più profondo con le verità eterne e la scoperta di Dio.
Sul tema della bellezza come via che conduce a Dio,
era intervenuto anche il card. Kasper: «Mentre oggi, aveva dichiarato, per
molti contemporanei il linguaggio tradizionale della Chiesa e le sue formule
dogmatiche sono incomprensibili e persino equivoci, nella società è presente
oltre a una sensibilità della carità non interessata, una nuova sensibilità per
i simboli e per l’arte, sia l’arte figurativa che la musica. Soprattutto per
molti giovani l’arte è diventata uno strumento particolarmente adatto alla
trasmissione di un messaggio religioso…
Così la bellezza, che secondo alcuni filosofi è una
rappresentazione e un’anticipazione dell’Assoluto, nella situazione relativistica
postmoderna può diventare un mezzo preferenziale per l’annuncio del vangelo». E
ha commentato: «Questo nuovo approccio dà risalto anche alla celebrazione e ai
simboli liturgici, ovvero all’ars celebrandi, sfortunatamente talvolta
trascurata».
Il card. Poupard, nella sintesi finale, ha citato a
questo riguardo ciò che gli disse un giorno un agnostico: «Pur avendo smesso di
credere in Dio, io non ho voltato le spalle alla Chiesa. La ragione di questo
attaccamento si trova nell’arte sacra, o forse del tutto semplicemente
nell’arte. Tanti splendori che manifestano la Verità, di cui credo che la
Chiesa debba rimanere portatrice, mi impediscono di soccombere alle malie del
materialismo e di ascoltare i canti sinistri della sirene di moda». È un’affermazione,
ha commentato Poupard, che fa eco a ciò che ha detto sant’Agostino: «Noi non
possiamo amare che il bello». In una parola, «il linguaggio della bellezza apre
i cuori alla verità, e nella sua forma più perfetta, supera la specificità
delle culture e le barriere della storia».
Concludendo la plenaria, il card. Poupard ha
attirato l’attenzione sull’icona, sotto il cui sguardo si sono svolti i lavori,
la Trinità di Rublev dove è rappresentato il dialogo senza parole delle tre
Persone divine, in cui una persona è totalmente presente all’altra in un
movimento di amore tenero, accogliente e unificante. L’icona è bagnata dalla
luce divina, ritrascritta sul legno dall’artista che si è lasciato irradiare
sul Tabor della contemplazione. Forse la lettura e la meditazione di
quest’opera incomparabile, ha detto il cardinale, ci comunica il segreto della
nostra plenaria: è il mistero della Chiesa-sposa che trae la sua gioia dalla
contemplazione dal suo beneamato per parteciparla ai suoi figli e permettere
loro di irradiare le culture sotto lo sguardo tenero e misericordioso della
santissima Trinità.
A.D.