BEATITUDINI
ANNUNCIO DI FELICITÀ
Per vivere le beatitudini
occorre essere veri cristiani, decentrati dalle cose
per accogliere nella fede, solo da Gesù, la felicità vera.
Appena Gesù apre la bocca, la sua prima parola va diretta al cuore
dell’uomo, là dove nasce la sua prima domanda esistenziale: come
essere felici? E la prima parola che gli esce
di bocca è «beato!». Egli annuncia la felicità a chi cerca la felicità!
Nell’antico popolo di fede il beato era colui che
aveva raggiunto una pienezza e una sazietà nei confronti della vita. Tale
esperienza prima dell’esilio veniva cercata in quella
fortuna della vita che si concretizzava nei beni materiali, nella felicità
familiare, nella prosperità dell’impresa quotidiana.
Dopo l’esilio, beato era colui che si lasciava
guidare dalla sapienza di Jhwh, espressa nella Toràh: l’uomo è felice quando
coglie dalla parola di Dio quella sapienza che promuove la verità della vita e
su di essa trova la massima soddisfazione, giocando tutta la sua libertà.
Gesù, ricollegandosi a questa tradizione sapienziale, fa la sua proposta
di felicità: questa è riposta nella sua persona e nella sua parola: «Imparate
da me... e troverete pace!» (Mt 11,9).
Ma Gesù sfata subito una felicità a buon mercato; anzi egli opera un vero
capovolgimento nel modo di impostare la vita.
Nell’ultima cena Gesù lavò i piedi ai discepoli, ne spiegò il
significato e poi disse: «Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in
pratica» (Gv 13,17). Quindi la pienezza della vita è un vero
e proprio decentramento della persona, in quanto in esso si esprime il massimo
della possibilità donativa: chi gioca al risparmio con la vita piomba
nell’infelicità, perché asseconda l’egoismo; chi invece, dimenticando se
stesso, si apre al servizio degli altri sperimenta l’amore e questo lo
introduce alla felicità: questo è per Gesù il modo pensare e di porre la vita,
il cui nocciolo è nella concezione della vita come dono e come servizio: qui
sta il senso più profondo della povertà di spirito.
Per Gesù l’esistenza è un dono gratuito del Padre, e il servizio è la
continuazione di questo dono: nel servizio gratuito ai fratelli l’uomo esprime
la sua fedeltà alla propria origine.
Su questa proposta di un uomo decentrato
Gesù abbozza un progetto di vita nuova nelle prime battute del discorso della
montagna: le beatitudini sono una specie di contemplazione gioiosa dell’uomo
nuovo, chiamato per nove volte successive beato: si annuncia che l’azione
salvifica di Dio per i suoi figli si è messa in moto, e sta per iniziare
l’esperienza della gioia evangelica pur nel travaglio quotidiano proprio di
tutti gli uomini.
Gesù ci rivela con le beatitudini qual è la sapienza di Jhwh, che ci introduce alla vera libertà dello spirito verso la
felicità, la prosperità, la fortuna dell’uomo nuovo.
Le sue parole sono riferite esclusivamente a coloro
che accettano di essere suoi discepoli, e come tali accettano
liberamente di fare un atto di amore al Maestro e vogliono condividere con lui
la lotta della vita per liberare l’uomo dalla sua sofferenza, dalla sua
alienazione e dal suoi peccato.
Quindi più che dire che per essere vero
cristiano occorre vivere le beatitudini, è più esatto dire il contrario: per
vivere le beatitudini, per apprezzare certi messaggi che sembrano belle utopie,
occorre essere prima di tutto cristiani, cioè avere quella fede che si
appassiona a Gesù, alla sua persona, alla sua parola, al suo destino, alla sua
missione in favore del destino degli uomini.
L’uomo nuovo è beato non perché è povero ma perché ha il Regno, il quale
gli viene comunicato perché ha un cuore povero, cioè
perché è libero dalle cose e non stima la ricchezza superiore al Regno.
Se si parte da questa fede, le beatitudini divengono una
attrazione seducente, altrimenti esse scadono ai livelli di un moralismo
pesante o di una utopia tra il poetico e il romantico.
La vita di fede non comincia da queste parole; essa comincia da Gesù
Cristo e dal progetto di uomo che egli propone. Essa
comincia dall’essere consapevolmente un figlio di Dio che ha scelto di vivere
l’amore; un fratello che sull’esempio di Gesù e con l’aiuto dello Spirito si
educa alla solidarietà amorosa, alla condivisione cordiale.
Ernesto Menichelli
da Ma io vi dico, Pazzini editore 2001