VIVERE LA TERZA ETÀ

L’AUTUNNO E L’INVERNO DELLA VITA

 

L’anzianità come l’autunno è ancora ricca di frutti e come l’inverno prepara una nuova primavera.

La vita cristiana concepisce l’anzianità come stagione che contiene e sviluppa i germi della vita oltre il tempo e si dispiega verso l’eternità.

 

Vecchio. Una parola che fa paura. Si teme di incontrare figure svanite, incattivite dalla malattia, permalose, dispettose, senza più capacità di controllo, che ciondolano senza sapere cosa fare e si alzano al mattino chiedendosi come far arrivare la sera. Pesanti a sè e agli altri. Poi la vita ci fa incontrare vecchi simpatici, acciaccati ma che sorridono sui loro malanni, servizievoli, disponibili, che non hanno più impegni fissi con la società e il mondo del lavoro, e hanno così la possibilità di dedicarsi con amore e tenerezza ai nipotini, alla gente sola e mal ridotta, che organizzano con successo l’università della terza età e non sanno come far fronte a tutti gli impegni che hanno accettato di caricarsi sulle spalle.

Tutti mi cercano e mi scaricano addosso i loro impegni, con la scusa che tanto non ho niente da fare. E concludono: «Non ho mai lavorato tanto come da quando sono in pensione». È l’età del declino fisico, ma per molti è anche l’età del tempo libero, e quindi molto impegnato. Questo è vero; ma l’originalità dell’anziano non consiste nel fatto che è ancora attivo nonostante l’età. È da ricercare altrove.

 

LE TAPPE

DELLA VITA

 

Quando si diventa anziani? Non è facile determinare questa fase della vita. I sociologi hanno fissata una data, quella della pensione. E partendo da questa data, gli anziani vengo- no scaglionati in almeno tre fasce: dai 65 anni ai 74; dai 75 agli 84; dagli 85 in poi. Ma altri li dividono in altro modo e con altri criteri. Sono divisioni arbitrarie. Il mondo degli anziani è un vero arcipelago dove è difficile tracciare dei confini in base a elementi oggettivi. È meglio abbandonare i numeri e ricorrere all’idea delle tappe, o delle età.

La vita ha delle tappe. L’anzianità è la terza, e segue la tappa della giovinezza e dell’età matura. L’uomo e la donna lasciano il lavoro, rientrano in casa, molti si annoiano, rimpiangono il tempo in cui erano inseriti nel mondo dell’attività e si sentivano utili, non sanno come riempire le giornate; altri invece danno una svolta nuova alla loro vita, e ridanno un senso alle loro giornate, inserendosi ancora una volta nella vita produttiva, anche se in ambienti nuovi e con modalità nuove. Ma questo modo di pensare continua a far coincidere la vita dell’uomo col fare: l’anziano non è più inquadrato in una produzione organizzata, ma può in qualche modo riscattarsi rendendosi utile agli altri. È un modo restrittivo di considerare la persona, perché la persona vale non solo per quello che fa, ma soprattutto per quello che è. Per questo la domanda giusta può essere formulata in questo modo: l’anzianità è solo declino, o produce nella persona frutti di crescita? Quali sono questi eventuali frutti?

 

DAI NUMERI

ALLE STAGIONI

 

Per rispondere a questa domanda è necessario lasciare i numeri e ricorrere all’immagine delle stagioni. C’è la primavera, l’estate, l’autunno, l’inverno. Sono tutte stagioni di vita, e ognuna ha i suoi frutti. Anche l’autunno: non ha più il fulgore dell’estate, ma è ancora ricco di frutti. E anche l’inverno, che non è la stagione del silenzio, del vuoto, della morte; invece è il tempo del riposo in cui si prepara il rilancio della vita. Una cosa simile avviene anche nella vita della persona umana. C’è la primavera fiorita della giovinezza, l’estate prorompente dell’età adulta, l’autunno calmo che offre colori e frutti succosi, e c’è l’inverno che vive nel silenzio e prepara nel suo seno un nuovo ciclo di vita. Per quanto possa sembrare assurdo, la primavera è simile all’inverno, perché entrambi non hanno frutti, ma li preparano, anche se con modalità diverse: la primavera con l’esplosione dei fiori che contengono i frutti; l’inverno con un silenzio spoglio, che accoglie i semi deposti nel tempo precedente e ne conserva e apprezza la vitalità, aspettando le condizioni necessarie per iniziare una primavera nuova, profondamente diversa da quella precedente. L’uomo è un continuum, e con la vita precedente prepara il suo futuro. Con la vecchiaia si prepara a concludere la vita storica e si apre alla vita che si estende quanto l’eternità.

Il cristiano non ha difficoltà ad accettare questa concezione. L’anzianità non è la stagione del gelo e del silenzio che precede la morte. Può diventare fisicamente meno produttiva o addirittura improduttiva, ma può sviluppare in sé altre dimensioni di vita alle quali fino a quel momento ha dedicato poco tempo o ha lasciato addormentate e inespresse. Continua a vivere nella storia, ma incomincia a capire che la strada in cui fino a ieri aveva camminato si apre su un orizzonte che non ha più confini. La morte non è il baratro che ingoia tutto nel suo silenzio vuoto e immobile, ma è il passaggio ad una dimensione nuova di vita. Per questo l’anzianità può essere paragonata alla stagione autunnale che produce gli ultimi frutti, e anche alla stagione invernale, quella che nasconde e alimenta i germi della vita nuova. Non è facile prendere coscienza di questa dimensione quando si è nella gioia della fioritura e nel tempo in cui tutto fruttifica in abbondanza. In quel mo- mento la vita sembra bastare a se stessa. Le condizioni per avvertire l’esigenza di una nuova dimensione di vita sono il silenzio, la povertà, l’umiltà, quando si fa l’esperienza dell’insufficienza di ogni altra esperienza. Allora la vita diventa capace di percepire l’impercepibile.

 

UNICITÀ E COMPLESSITÀ

DELLA VITA UMANA

 

Quali sono i segni del passaggio da una stagione all’altra? Nel mondo materiale i segni del passaggio dalla primavera all’estate, all’autunno, all’inverno sono abbastanza chiari, anche se i confini non sono sempre netti. Nell’uomo è molto più difficile stabilirli, perché è un essere complesso. L’uomo è fisicità, psico-affettività, spiritualità e queste diverse componenti non crescono e non diminuiscono allo stesso modo e nello stesso tempo. Può avvenire che mentre la vita fisica cresce e matura, quella spirituale rimane silente e non si manifesta; come può avvenire che mentre la vita fisica declina, quella spirituale si desta e incomincia a crescere. Il fisico può essere logoro, ma lo spirito può avviare un cammino di vita spirituale in crescita. La maturazione globale non coincide con la maturità fisica. In altre parole: non si può prendere la dimensione fisica come unico criterio per misurare la giovinezza, la maturità, l’anzianità della persona. Spesso la dimensione spirituale nasce e si sviluppa nel tempo che comunemente viene indicato come il tempo dell’anzianità, cioè nel tempo del declino fisico. Così vediamo che nell’uomo e solo nell’uomo le diverse stagioni possono coesistere: l’estate della vita fisica con la primavera della vita affettiva, con l’autunno della vita spirituale.

La domanda giusta sull’anziano non è quella che comunemente viene usata, cioè: «cosa può fare ancora l’anziano?», ma è quella in cui ci chiediamo: «quali frutti di vita la stagione dell’anzianità porta nella vita della persona?».

Per rispondere a questa domanda è meglio chiedere l’aiuto di quelli che stanno vivendo questa stagione di vita. P. Besnard lo ha fatto, chiedendo agli anziani di scrivere quello che stanno vivendo. Ne è uscito un volumetto di testimonianze, utilissimo per capire gli anziani dal di dentro. Soprattutto per quanto riguarda la domanda che ci siamo posti, cioè quali frutti questa stagione produce nello sviluppo della vita della persona. Riporto una testimonianza, tra le tante, che può introdurci alla scoperta di questi frutti. È di una signora di 72 anni, invalida a causa di una lunga malattia.

«Posso assicurarle che questo ultimo decennio rappresenta per me la parte più felice della mia vita». Ed elenca i frutti di questa età. «È l’età del riposo, non dell’inerzia. Ci sono tante cose da fare, una quantità di piccoli servizi da rendere, tante mani che si tendono, tanti cuori da amare, tante sofferenze da ascoltare e da consolare, gioie da donare o da condividere». Ecco il primo frutto: il riposo che porta quiete nell’anima e permette di irradiare pace in coloro, che non l’hanno.

«Certo è l’età della solitudine. Le fila si sono fatte rade e si sono contratte. Gli amici sono scomparsi. Tutto il passato poco a poco si cancella e non lascia che i ricordi, ma questa solitudine è buona e pacificante: si ha il tempo di pensare, di riflettere di più. Ci si è distaccati, nel corso degli anni, da tante cose e tutto si semplifica. Ci si libera e si gusta la pace. Tutto si allontana e Dio viene. Egli si fa più presente, è qui vicinissimo, ci guarda, ci ascolta quando tutto tace. Egli veglia su di noi e ci conduce. È l’ora dell’abbandono, della fiducia, della speranza». Ecco un secondo frutto; una solitudine che non è vuoto, ma uno spazio in cui Dio viene.

«È anche l’ora dell’azione di grazie. Si è beneficiato di tante delicatezze divine, di tanto amore che istintivamente fa salire alle nostre labbra un canto di gratitudine: Magnificat». Ecco un altro frutto: la presa di coscienza dell’azione di Dio nel lungo corso della nostra vita.

«È l’ora del raccoglimento, del silenzio. Le rinunce, le separazioni, le delusioni della vita hanno lasciato lo spazio libero, Dio le occupa: del resto, non è prossima l’ora dell’incontro? Come il vecchio Simeone aspettiamo questo incontro con Dio. Incontriamolo negli altri, in tutto il nostro prossimo, lo vedremo venire negli avvenimenti di ogni giorno e lo incontreremo». È un nuovo frutto che cresce in questa stagione: il silenzio dell’attesa dell’incontro con l’eterno, che dà a questa stagione della vita lo spessore di un evento straordinario.

«È un’età bella. Nulla vi è di inutile e se non possiamo fare che delle piccole cose, sappiamo che per Dio non c’è nulla di piccolo. Tutto racchiude l’Eterno». È l’ultimo frutto elencato da questa signora di 72 anni: capire che i gesti dell’uomo sono piccoli, ma possono riflettere la grandiosità di Dio: come un piccolo frammento di specchio può riflettere l’immensità del sole.

Sono alcuni frutti che maturano in questa stagione e arricchiscono la vita in un tempo in cui la gente pensa che tutto stia per spegnersi.

Da altre lettere se ne potrebbero, raccogliere tanti altri. Sono i semi che il terreno dell’anzianità raccoglie in se, come i germi che preparano la nuova primavera che esploderà nell’incontro con Dio.

Si dirà: è una persona privilegiata. Non tutte le persone anziane vivono in questo modo la loro anzianità. È vero. Ma è anche vero che la stagione dell’anzianità viene preparata dalle stagioni precedenti.

Oggi siamo quello che viviamo, ma viviamo quello che ci siamo preparati a vivere. Viene in mente il libro del profeta Daniele dove si racconta la vicenda dei due vecchi depravati. Si dice: Dio aveva dato al giovane Daniele il dono dell’anzianità, cioè della saggezza; ma di fronte alla casta Susanna troviamo due vecchi che non erano certamente in grado di cogliere e gustare i frutti dell’anzianità. Non basta essere anziani per essere saggi; ma è necessario vivere da saggi per essere in grado di scoprire e vivere i frutti della saggezza nella stagione dell’anzianità.

 

Giordano Muraro op

 

1 Questo articolo è ripreso dal periodico di cultura familiare Costruire in due, gennaio/marzo 2003, pp. 8-9.