IN MARGINE AL TEMA “RIFONDAZIONE”
DOPO IL “RITORNO ALLE FONTI”
È stato imponente, dopo il
Vaticano II, il fervore degli istituti religiosi nel ripensare le proprie
origini e nel dare impulso e continuità al loro rinnovamento.
Ma forse l’invito del concilio dovrà essere ricompreso con nuove e
lungimiranti attenzioni.
A quasi quarant’anni dall’approvazione del decreto conciliare Perfectae
caritatis del Vaticano II, si può dire che siano davvero molti i temi,
riguardanti la sua avvenuta applicazione, che impegnano tuttora gli istituti
religiosi a una molteplice riflessione circa il cammino di rinnovamento
proposto allora dal concilio: il cammino finora percorso ma da riprendere
guardando con attenzione nuova all’oggi per essere pronti alle esigenze di un
futuro che è abbastanza vicino.
Il cammino è stato lungo, gli studi accurati e profondi, gli stati
d’animo, che li hanno accompagnati, fervidi di speranza; e i risultati, se si
pensa al tempo dei capitoli speciali e con le tante costituzioni rinnovate,
persino esaltanti.
Ma si tratta pure di un cammino, come è risaputo, i cui sbocchi messi
alla prova dai grandi cambiamenti intervenuti fino ad oggi nel mondo
contemporaneo portano tale riflessione tanto avanti da far emergere quasi una
necessità, oggi, di rifondazione: termine provocatorio, non da tutti accolto o
non da tutti fatto proprio allo stesso modo, ma che lascia intravedere i
generosi sforzi di una ricerca molto seria, avvertita come urgente e senza
dubbio incompiuta.
Nella rivista Christus (n.171, 234-238)) dei gesuiti francesi abbiamo
colto un tema di sicura attualità nell’articolo a firma di Odile van Deth dal
titolo Obéissance au fondateur ou fondamentalisme? Anche in questo titolo un
termine, fondamentalismo, che appare eccessivo. Ma proviamo a seguire il
ragionamento dell’articolista, della quale è nota l’esperienza anche nel campo
della formazione e che offre alla riflessione diversi spunti.
UN RITORNO
POCO DINAMICO?
Sappiamo tutti che il concilio aveva chiesto agli istituti religiosi di
rinnovarsi tornando sia «alle fonti di ogni forma di vita cristiana che «alla
ispirazione primitiva degli istituti». Ma se ciò – scrive Odile – «è stato
salutare in molti casi, ci si può tuttavia domandare in quale misura questo
percorso verso il passato non abbia talvolta reso sterile il presente e se il
calo numerico delle vocazioni non sia dovuto anche a una non precisa
interpretazione dell’indicazione conciliare»: naturalmente distinguendo –
aggiunge – «tra i grandi ordini, portatori di spiritualità che hanno
attraversato i secoli, e gli istituti nati in un contesto storico preciso per
rispondere a bisogni sociali».
Ora – prosegue – essendo stata «chiamata da congregazioni religiose per
animarvi giornate di spiritualità, sono stata colpita spesso dalla premura con
cui si cercava di conoscere meglio la fondatrice, o il fondatore, per poter
ritrovare con meticolosa esattezza il suo spirito». E proprio tale esattezza –
commenta – in molti casi è divenuta vero fondamentalismo, poiché fissando
rigidamente intuizioni stupende e audaci per il tempo dei fondatori le ha rese
inapplicabili al presente.
E porta ad esempio il caso di istituti i quali, sorti allo scopo di dare
un’istruzione alle bambine quando la scuola non era ancora obbligatoria, non
permettono oggi alle giovani religiose gli studi universitari «perché, dicono,
la nostra fondatrice non voleva tra le sue figlie donne letterate, poiché
sarebbe stato contrario alla povertà di spirito».
Osserva inoltre van Deth: «Nel XIX secolo, quando la vita religiosa
femminile offriva alla donna una promozione unica, la dignità della donna consacrata
è stata molto sottolineata, ciò che contribuiva a porre la religiosa più in
alto, nella scala sociale, delle donne sposate». Tale richiamo la porta a
pensare che debba attribuirsi, almeno in parte, a un persistere di quel senso
di dignità – la quale separava la religiosa dal contatto con i comuni mortali
come l’alta borghesia era distinta dal resto del popolo – il fatto che ancora
oggi vengono imposti alle religiose orari, abitudini di vita e forme di
relazioni interpersonali proprie di altri tempi.
GUARDARE ANCORA
PIÙ AVANTI
«Ho l’impressione – confidava una religiosa citata nell’articolo – che
invece di guardare la strada che ci si apre davanti teniamo gli occhi fissi
sullo specchietto retrovisore»; e si riferiva al lavoro richiesto dal dovere di
tornare alle fonti. Ma questo ritorno – commenta van Deth – ha comportato studi
di carattere storico che non sempre sono stati condotti in modo adeguato,
quantunque in verità vi siano istituti che hanno affidato a storiche e storici
di professione la ricostruzione obiettiva delle proprie origini e le biografie
di fondatrici e fondatori, non soltanto in vista di eventuali canonizzazioni ma
anche in seguito allo slancio impresso dal concilio a un effettivo rinnovamento
fondato sulla ritrovata freschezza delle origini della vita consacrata.
Molte volte, al contrario, tale lavoro «è stato realizzato da persone di
buona volontà ma carenti della formazione di uno storico e di un sociologo; e
ciò ha creato spesso una sorta di “età dell’oro” originaria» del singolo
istituto, suscitando stupore e ammirazione ma rimasta come congelata, impedendo
di adattare sempre alla mentalità attuale le virtù del fondatore o della
fondatrice presi a modello; e col rischio, tra l’altro, «di chiudere
religiosi/e in un cerchio di sensi di colpa paralizzanti», che non coincidono
con il pentimento richiesto dal Vangelo, ossia con un pentimento fondato «sullo
stupore davanti alla tenerezza del Padre che apre le braccia al peccatore per
consolarlo e rimetterlo sulla vera strada della sua realizzazione profonda».
Come si spiegano, ancora, altri atteggiamenti fondamentalisti? Forse con
un’obbedienza piuttosto cieca? Giustamente – afferma – occorre obbedire alle
direttive della Chiesa, ma un’obbedienza così scrupolosa come quella accennata
non nasconde forse una mancanza di discernimento su un modo di intendere le sue
indicazioni che sembra derivare dal rigido concetto di obbedienza coltivato un
tempo nei conventi? Un concetto di obbedienza che specialmente i giovani e le
giovani d’oggi – aggiunge Odile considerando un altro dei corollari
all’argomento principale – non possono accettare, se sono stati evangelizzati e
hanno maturato «un’identità di figli di Dio, figli della verità che libera e
non di questo mondo che rende schiavi dell’apparenza».
Si constata oggi, infatti, che molti giovani non sono stati
evangelizzati correttamente e le loro identità individuali sono sempre più
ferite e senz’altro deboli; o hanno sperimentato in famiglia l’effetto di ruoli
paterni e materni poco chiari, così che si portano dentro un certa confusione,
unita al bisogno di essere aiutati a trovare la propria reale identità mediante
un affetto accogliente e anche per mezzo delle “proibizioni strutturanti”
proprie di un’educazione fondata sull’amore dei genitori.
Perciò, che ne sarà dei giovani religiosi/e e quale contributo di novità
nella libertà potranno dare se, entrati/e nella vita consacrata con una
struttura personale fragile – a causa di genitori identificati più nel loro
ruolo sociale che nel loro essere a loro volta figli di Dio – per di più
«vengono portati a conformarsi ciecamente alla lettera piuttosto che ad aprirsi
allo Spirito il quale esige il coraggio delle “cose nuove”»?
Anche in tale atteggiamento può esserci «una delle ragioni importanti di
un certo fondamentalismo nell’imitazione del fondatore». Qualsiasi
fondamentalismo, infatti, dovrebbe essere fatto risalire a una fragilità
dell’identità e, per conseguenza, a una grande difficoltà di entrare in
relazione autentica con l’altro e con tutti gli altri.
Non di rado «la vita religiosa, che ha per base la vita comune, si trova
minacciata alla radice dal fatto che a numerosi consacrati risulta impossibile
accogliere l’alterità: è pericoloso allora imporre un’obbedienza rigida o
piegarvisi in modo da proteggersi da tutto ciò che è altro, diverso, nuovo»: è
ciò che sperimentano molte istituzioni che segnano il passo, senza giungere a
individuare la causa profonda della propria mancanza di vitalità e di
conseguenza rimanendo lontane dal poter progettare una vita consacrata
realmente nuova.
ASPETTANDO
VERE NOVITÀ
Una “cosa nuova” dello Spirito, del resto, era nascosta dentro la
speranza di un rinnovamento quale il concilio chiedeva agli istituti religiosi.
E torna nell’articolo che abbiamo seguito la domanda: è lecito
domandarsi se i carismi sorti in passato come risposta a necessità sociali ben
precise siano “applicabili” in un’epoca differente senza che con ciò si debba
cadere in una riproduzione conformista e univoca delle azioni del fondatore o della
fondatrice?
«La società, la mentalità e la stessa civiltà del XXI secolo – quella
dell’informatica, di una tecnologia che all’epoca era appena ai primi
balbettamenti – sono molto diverse da quelle del XIX secolo. Trasporre all’oggi
i doni dello Spirito venuti a colmare in maniera straordinariamente nuova in
rapporto alla vita religiosa specialmente femminile, per lo più claustrale, le
lacune di una società in piena evoluzione dopo la rivoluzione francese è
evidentemente un non senso».
Ma nell’avviarsi a concludere la sua riflessione, Odile van Deth parla
del sorgere di nuove forme di vita consacrata, le quali sembrano richiamare
l’avvertimento del Perfectae caritatis: «Il rinnovamento della vita religiosa
comporta insieme e il continuo ritorno alle fonti di ogni forma di vita
cristiana e all’ispirazione primitiva degli istituti e il loro adattamento alle
mutate condizioni dei tempi» (PC 2). E rileggere l’intera frase ci fa pensare
che forse l’abbiamo... sintetizzata troppo, riducendola all’ispirazione primitiva
dei singoli istituti propri e trascurando il suggerimento di rileggere le forme
originarie di vita cristiana, ispiratrici per l’oggi di forme adatte alle
mutate condizioni dei tempi.
Per suscitare nuove forme di vita consacrata «lo Spirito del Padre e del
Figlio “opera senza posa” e agisce nei cuori, ma egli passa sempre attraverso
gli esseri umani e dunque attraverso le mentalità culturali arricchite oggi
dalle acquisizioni delle scienze umane. Egli suscita anche oggi forme di
spiritualità realmente adatte ai tempi. Sembra del tutto lecito, pertanto,
domandarsi se un’obbedienza un po’ “fondamentalista” al concilio –
incoraggiando la sopravvivenza di determinati istituti mediante la
rivitalizzazione artificiale di carismi efficacissimi per epoche lontane – non
abbia reso più difficile» un vero rinnovamento della vita religiosa.
Zelia Pani