UN INTERVENTO DEL CARD. TETTAMANZI

LA SCUOLA UN BENE PER TUTTI

 

Nell’attuale acceso dibattito in Italia sul ruolo della scuola e la presenza delle scuole paritarie, ci pare illuminante questa puntualizzazione del card. Tettamanzi, arcivescovo di Milano, in occasione della XXII marcia “Andemm al Domm”, degli alunni e docenti delle scuole cattoliche, il 20 marzo scorso.

 

E’ un argomento, quello della scuola, che, soprattutto in questi ultimi anni, suscita numerosi e accesi dibattiti. Ciò è dovuto anche al complesso processo di riforma dell’intero sistema di istruzione e di formazione che è in atto nel nostro paese, e non solo da questa ultima legislatura.

Non intendo esprimere qui giudizi nel merito della attuale riforma scolastica e delle tante discussioni che la accompagnano. Mi preme, però, sottolineare che, poiché la scuola è un bene troppo prezioso per tutti, questo processo di riforma esige la responsabilità più convergente possibile: quella cioè dell’intera società civile, del mondo politico, del mondo sindacale e di quello degli stessi mass-media. Una responsabilità che significa, anzitutto, conoscenza precisa e oggettiva dei contenuti della riforma con informazioni coerenti, e significa, poi, giudizi, scelte e impegni ispirati al bene reale della scuola nel contesto del bene comune.

Per questo, al di là delle legittime opinioni e delle diverse valutazioni di ciascuno, è necessario che tutti ci impegniamo nel realizzare la “nuova” scuola dell’autonomia secondo criteri e prospettive ampiamente condivisi. Tutti impegnati in questa direzione: le singole persone, le famiglie, il territorio e gli enti locali.

Un’assunzione comune di responsabilità è quanto mai auspicabile e urgente perché il sistema di istruzione e di formazione, come abbiamo detto, è una questione di interesse così generale che non può andare soggetta a mutazione a ogni cambiamento di governo.

 

UN BENE A SERVIZIO

DELLA PERSONA

 

L’ho appena detto e lo ripeto: la scuola – tutta la scuola: quella statale come quella paritaria – è un bene prezioso, è un tesoro dell’intera società e per l’intera società. È un bene da far crescere per tutti e a servizio specialmente delle nuove generazioni.

Sì, la scuola è un bene perché – come dicevo lo scorso 6 dicembre nel Discorso alla Città per la vigilia di Sant’Ambrogio – è il “luogo per pensare, non per competere, non per vincere una gara e raggiungere così un’economia migliore come città o una posizione economica ragguardevole come singoli”. Essa è “prima di tutto e semplicemente – ma in questo sta la sua vera identità e nobiltà –, … luogo dove imparare a “pensare”, dove esercitarsi a “pensare””, dove va favorita “una salda alleanza tra scienza e sapienza”.

In questo senso, la scuola ha e deve avere al suo centro la persona.

Per questo, la scuola deve sì portare la totalità dei giovani, a cominciare da quelli più svantaggiati, al livello più alto di qualificazione e competenza. Ma, ancor prima e soprattutto, deve offrire alle giovani generazioni non solo gli strumenti conoscitivi per trovare posto in una società fortemente caratterizzata dalla scienza e dalla tecnica, ma anche e anzitutto una solida formazione umana, affinché ciascuno possa crescere come persona, cioè come soggetto intelligente, libero e responsabile, capace quindi di decisioni veramente personali.

Solo se fa questo, la scuola è – come deve essere – un autentico “luogo educativo”!

 

UN CAMBIAMENTO

DEL RUOLO DELLO STATO

 

Oggi, a livello europeo, la scuola sta registrando un cambiamento significativo. Anche se con modalità diverse a seconda delle varie tradizioni e sensibilità educative, nei paesi dell’Unione Europea le politiche scolastiche attuali sono caratterizzate dal cambiamento del ruolo dello stato verso la scuola. Lo stato, più che a gestire direttamente la scuola, è chiamato a garantire e a verificare i livelli essenziali di apprendimento e gli indirizzi formativi delle diverse istituzioni scolastiche, che si presentano come autonome.

Si tratta, allora, di sviluppare un sistema scolastico in grado di valorizzare e di coordinare tutte le molteplici risorse educative secondo un’ottica di complementarietà e di sussidiarietà tra lo stato, le regioni, gli enti territoriali e tutte le agenzie educative presenti nella società civile, a iniziare dalle famiglie.

In particolare, ai genitori – che sono i primi, principali e insostituibili educatori dei figli – va riconosciuto il diritto, cui corrisponde un preciso dovere, di collaborare con la scuola dei loro figli e di realizzare forme nuove di autentico “protagonismo”. A essi spetta, dunque, non solo di partecipare alla gestione democratica della scuola, ma anche di cooperare con la scuola stessa nelle scelte che personalizzano il percorso scolastico dei propri figli.

Tutto ciò esige che si stabilisca un vero e proprio patto pedagogico-educativo tra la scuola e la famiglia, con obiettivi condivisi e con reciproci impegni.

Ancora più radicalmente, si tratta di riconoscere nei fatti concreti – e, quindi, anche a livello economico – una reale libertà di scelta.

Sì, non ci stancheremo mai di ripetere una verità fondamentale, che cioè ci sono dei diritti-doveri della famiglia che precedono quelli dello stato e che, in forza di questi diritti-doveri, ogni famiglia deve poter scegliere la scuola alla quale mandare i propri figli in piena libertà, senza nessun condizionamento e senza nessun aggravio.

 

PER UNA PIENA

PARITÀ SCOLASTICA

 

Quanto ho appena ricordato ci porta a toccare il tema della parità scolastica.

È da tanti, anzi da troppi anni che se ne parla. È vero che alcuni passi positivi sono stati fatti. Ma, a differenza di quanto avviene in altri paesi europei, in Italia il cammino per la piena parità scolastica è ancora incompleto e incerto.

C’è bisogno di un coraggio più grande e di una determinazione più forte per superare le sterili contrapposizioni pregiudiziali e per non lasciarsi bloccare dal fatto che le risorse finanziarie messe a disposizione sono insufficienti.

È necessario e urgente trovare un terreno comune di dialogo e di intesa per dare realizzazione piena ai principi che sono già presenti nel nostro ordinamento legislativo (cf. legge 62/2000).

Occorre che – finalmente! – le scuole paritarie – e, tra queste, anche la scuola cattolica – siano riconosciute come istituzioni che, a tutti gli effetti, svolgono un servizio pubblico. E, proprio per questo, è doveroso che queste stesse scuole siano incluse, per legge, fra i destinatari delle risorse economiche – e non solo – previste per l’intero sistema di istruzione e di formazione.

Nessuno abbia paura. Chiedere la piena parità scolastica non significa liberalizzare in modo indiscriminato il mercato dell’istruzione, inseguendo magari modelli puramente aziendalistici. Non significa nemmeno sminuire il compito e il diritto-dovere dello stato di aprire e di gestire scuole proprie.

Significa, invece, dar vita a un sistema capace di valorizzare e armonizzare tutte le risorse educative della nostra società, facendole convergere nel contesto di un autentico servizio pubblico.

Siamo convinti, infatti, – e come vorremmo che tutti lo comprendessero! – che il diritto allo studio per tutti non è salvaguardato dalla sola scuola di stato, ma, da un lato, dal riconoscimento della pari dignità delle iniziative, anche gestionali, che nascono dalla società civile e, dall’altro lato, dal ruolo di garanzia e di controllo che lo stato stesso si assume nei confronti del loro pubblico servizio.

L’Italia, che ha mantenuto il passo con l’euro, non può ora perdere il passo sulla via della parità scolastica.

Occorre predisporre un’adeguata legislazione che permetta veramente e concretamente a tutte le famiglie di scegliere senza condizionamenti la scuola ritenuta più idonea per l’educazione dei propri figli. La questione della parità e del relativo sostegno economico appare, una volta di più, come non rinviabile (cf. la risoluzione del Parlamento europeo del 14 marzo 1984).

È una questione – lo voglio ribadire con forza e in piena libertà – che non ha a che fare, in nessun modo, con la rivendicazione di un privilegio. E è una questione tipicamente “laica”, per nulla “confessionale”. Ciò che è in gioco non è la parità effettiva per le scuole cattoliche in quanto “cattoliche”, ma in quanto scuole “libere” – come possono esserlo anche altre scuole non promosse dai cattolici – che svolgono un servizio pubblico nel rispetto delle leggi e del bene comune.

Garantire una piena parità scolastica in un sistema pubblico integrato di scuole statali e paritarie significa contribuire a disegnare una concezione più vera e più matura della democrazia. Tale concezione sarebbe gravemente ferita se prevalesse, di fatto, un monopolio assoluto dello stato in campo scolastico.

Garantire una piena parità scolastica significa anche offrire maggiori stimoli, agilità e opportunità educative al nostro sistema di istruzione e di formazione e concorrere, così, a migliorare sostanzialmente la qualità complessiva del sistema educativo scolastico italiano.

 

LA POSIZIONE

DELLA CHIESA

 

Bisogna comunque riconoscere che il problema della parità scolastica non è che un aspetto particolare della più ampia questione della scuola e della sua riforma.

Quando la Chiesa, oggi come ieri, parla della scuola, intende manifestare la sua più viva preoccupazione per tutta la scuola, per quella paritaria come per quella statale. Intende sostenere ogni scuola nella sua legittima autonomia, riconoscendo e sollecitando l’impegno di tutte e di ciascuna nel custodire, elaborare e trasmettere alle nuove generazioni il patrimonio di conoscenza e di sapienza di cui vive e va fiera ogni concreta comunità educante.

Alla Chiesa, lo ripeto, sta a cuore la causa di tutta la scuola pubblica italiana, statale e paritaria. Essa si sente vicina ai dirigenti e ai docenti e al loro impegnativo sforzo di rinnovamento, in questa fase in cui si assiste a un trasferimento di competenze dallo stato alle istituzioni autonome locali e quindi ad un maggior protagonismo della stessa società civile, evidenziando possibili percorsi di continuità educativa tra la famiglia, la scuola, il territorio e le comunità cristiane.

Indirizzandomi in particolare a voi – alunni, docenti, dirigenti delle scuole cattoliche –, vi rivolgo l’appello ad avere sì a cuore la vita e la sorte delle nostre scuole cattoliche, ma anche di tutta la scuola italiana.

A voi chiedo di portare, con umiltà e con fierezza, il vostro contributo per fare della scuola, di ogni scuola, un luogo nel quale ogni persona possa esprimere e realizzare se stessa, uno spazio, un tempo, un’esperienza nei quali si costruisce e si esprime l’autentica “umanità” dell’uomo e della donna.

È questo l’impegno che ci attende tutti come cristiani, chiamati a essere “sale” della terra e “luce” del mondo (cf. Mt 5, 13-16). È questa la nostra missione, da vivere con convinzione e con generosità in ogni ambiente di vita sociale, anche in questo particolare e decisivo ambiente di vita sociale che è la scuola. È anche questo un modo per essere “testimoni di Gesù”, per essere “anima del mondo”, immettendo in questo variegato mondo scolastico il sapore nuovo e originale di una presenza e di una testimonianza che sanno trasformare le aule di una scuola in palestra di vera umanità e di apertura ai valori spirituali e trascendenti.

Sia questo l’impegno di ogni giorno, vissuto con autentica professionalità e con genuina passione educativa, da tutti voi, carissimi docenti e dirigenti. A voi, in modo del tutto speciale, è affidato il compito, faticoso ma esaltante, di essere, in stretta e cordiale collaborazione con le famiglie, autentici educatori, plasmatori pazienti e instancabili dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani che incontrate. Da voi essi hanno diritto di avere un aiuto per crescere. In voi essi desiderano vedere i loro saggi compagni di viaggio, le guide autorevoli che li sanno lanciare, liberi e coraggiosi, sulla strada della vita.

 

Dionigi card. Tettamanzi