APPUNTAMENTI DA NON PERDERE
EUROPA CANTIERE APERTO
Con l’ingresso di altri dieci stati l’Unione
Europea raggiunge un altro importante traguardo.
Anche la Chiesa si sente impegnata a collaborare
per costruire questa nuova casa comune.
La vita consacrata, da parte sua, vuole essere in prima fila offrendo il
suo fattivo contributo.
L’Unione Europea, tuttora in fase di costruzione, ha davanti a sé in
questo momento una fitta agenda di appuntamenti.
Il primo è fissato per il 1° maggio quando entreranno a farvi parte
dieci nuovi paesi, passando così da 15 a 25;1 il
secondo avrà luogo tra il 10 e il 13 giugno con le elezioni nei paesi membri
del nuovo Parlamento di Strasburgo: con quelli appena arrivati, il numero dei
seggi passerà dagli attuali 626 a 732. Intanto, prima di quella data, si spera
di poter giungere alla firma definitiva del Trattato costituzionale, ossia
prima del termine del mandato della presidenza
irlandese: cosa ritenuta abbastanza probabile dal momento che da risolvere
resta ormai solo un numero limitato di questioni. Inoltre, il 31 ottobre
terminerà il mandato dell’attuale Commissione europea, presieduta dall’on.
Romano Prodi. Il Consiglio e il parlamento dovranno quindi indicare la
composizione del nuovo esecutivo che entrerà in carica il 1° novembre. Intanto,
guardando avanti, per il 2007 anche la Bulgaria e la Romania dovrebbero entrare
a far parte dell’Unione, mentre per la Turchia si prevedono tempi più lunghi.
All’appello mancano ancora la Russia e alcune sue ex repubbliche come
l’Ucraina e la Moldavia; mancano anche l’Albania e gli stati sorti dalla
frantumazione dell’ ex repubblica federale jugoslava,
mentre la Svizzera continua a rimanere nel suo aureo isolamento.
L’aggiungersi di altri 10 paesi costituisce un
fatto di grande rilievo. Ciò che sembrava impossibile sta diventando realtà.
Inizialmente l’Unione consisteva solamente di sei paesi: Belgio, Germania,
Francia, Italia, Lussemburgo e Paese Bassi. Solo più tardi, a
partire dal 1973 si sono aggiunti la Danimarca, l’Irlanda e il Regno Unito,
poi nel 1981 la Grecia, e nel 1986, la Spagna e il Portogallo; infine, nel
1996, l’Austria, la Finlandia e la Svezia.
L’Europa2 poco alla volta sta realizzando il sogno di essere una
famiglia di paesi democratici impegnati a lavorare insieme per la pace e la
prosperità. Occorre sottolinearlo: una famiglia, non
uno stato che si propone di sostituire gli stati esistenti. Nonostante
l’aggiungersi di nuovi membri, essa rimane un continente con molte diverse
tradizioni e lingue, che tuttavia condivide un grande
patrimonio di valori comuni, tra cui quelli religiosi, che non devono andare
dispersi.
Per salvaguardare l’unità nella diversità si è dotata di una serie di istituzioni a cui gli stati membri delegano una parte
della loro sovranità così che le decisioni su questioni di interesse comune
possano essere prese democraticamente, non più sul piano interno, bensì a
livello europeo. È utile ricordarle: sono il Parlamento europeo, il Consiglio
dell’Unione, la Commissione europea, la Corte di giustizia e la Corte dei
conti; a queste si affiancano altri cinque organismi importanti: il Comitato
economico e sociale europeo, portavoce delle opinioni della società civile
organizzata su questioni economiche e sociali; il Comitato delle regioni,
portavoce delle opinioni degli enti regionali e locali; la Banca centrale
europea, responsabile della politica monetaria e della gestione dell’euro; il
Mediatore europeo per le denunce presentate dai cittadini contro i casi di
cattiva amministrazione e la Banca europea per gli investimenti per il
raggiungimento degli obiettivi dell’Unione mediante il finanziamento di
progetti di investimenti. A completare il sistema vi è
inoltre tutta una serie di agenzie e di altri
organismi.
L’EUROPA
E LA CHIESA
L’Europa si può quindi definire un cantiere aperto. Un cantiere,
purtroppo, dove ci sono diversi “imprenditori”, impegnati nella sua
costruzione, che non gradiscono troppo il contributo
della Chiesa e che cercano in tutti i modi di lasciarla ai margini, come se non
avesse niente da dire. In realtà, invece, non esiste alcuna organizzazione
che abbia dato tanto al nostro continente e possa dare tanto come la Chiesa.
All’Europa essa ha dedicato di recente due assemblee
speciali del sinodo dei vescovi, nel 1991 e nel 1999. Ma
vero profeta di un’Europa nuova è stato ed è soprattutto Giovanni Paolo II.
Come ha precisato mons. Amédée Grab, presidente della CCEE (Consiglio delle
Conferenze Episcopali d’Europa di cui fanno parte 34 conferenze episcopali)
nella plenaria che si è tenuta a Vilnius (Lituania), dal 2 al 5 ottobre 2003,
sono più di 700 gli interventi che il papa ha dedicato per esteso o in parte a questo argomento.
Il papa ha una visione molto precisa e ampia dell’Europa. La prima linea
su cui non si stanca di insistere è che l’Europa è un continente fecondato dal
cristianesimo: essa è stata battezzata dal cristianesimo e le nazioni europee,
nella loro diversità, hanno dato corpo all’esistenza cristiana. Essa ha avuto
un ruolo fondamentale anche nell’evangelizzazione
degli altri continenti e oggi bisogna che quest’opera prosegua e si rinnovi. È
indispensabile che non perda il contatto con le sue radici cristiane e faccia
fruttificare l’eredità ricevuta.
Una seconda grande linea è quella di un
continente che in passato è stato teatro di tragedie che ora non devono più
ripetersi. Nel corso del secondo sinodo per l’Europa del 1999, ha affermato:
“L’Emmanuele, il Dio con noi, è stato crocifisso nei
lager e nel gulag, ha conosciuto la sofferenza sotto i bombardamenti, nelle
trincee, ha sofferto ovunque l’uomo, ogni essere umano è stato umiliato,
oppresso e violato nella sua irrinunciabile verità. Cristo ha subito la
passione nelle tante vittime innocenti delle guerre e dei conflitti che hanno
insanguinato le regioni dell’Europa”. Ma ora l’Europa
è chiamata a farsi portatrice di pace e di speranza. Dovrà essere un’Europa
politicamente unita, a due polmoni, perché solo così potrà svolgere in modo più
incisivo un ruolo di difesa della pace, di gobalizzazione della solidarietà.
Una terza linea è quella di un’Europa dove sono nate le divisioni tra i
cristiani e da dove deve ripartire oggi anche il cammino verso la piena unità.
La divisione tra i cristiani d’Europa non solo è uno
scandalo, ma è anche un fatto che stride in un continente che sta attivamente
lavorando per giungere alla sua unità. Come possono i cristiani offrire un loro
contributo efficace a questo processo, non privo certo di difficoltà, se essi
stessi sono divisi?
QUALE EUROPA
SOGNARE?
Una sintesi della visione che il papa ha dell’Europa è stata da lui stesso proposta recentemente in occasione del conferimento
che gli è stato fatto del premio internazionale straordinario “Carlo Magno”
della città di Aquisgrana, il 24 marzo scorso. Rivolgendosi ai presenti, si è
domandato: “Qual è l’Europa che oggi si dovrebbe sognare?”.
“Penso, ha dichiarato, a un’Europa senza
nazionalismi egoistici, nella quale le nazioni vengono viste come centri vivi
di una ricchezza culturale che merita di essere protetta e promossa a vantaggio
di tutti.
Penso a un’Europa nella quale le conquiste
della scienza, dell’economia e del benessere sociale non si orientano a un
consumismo privo di senso, ma stanno al servizio di ogni uomo in necessità e
dell’aiuto solidale per quei paesi che cercano di raggiungere la meta della
sicurezza sociale. Possa l’Europa, che ha sofferto nella sua storia tante
guerre sanguinose, divenire un fattore attivo della pace nel mondo!
Penso a un’Europa la cui unità si fonda sulla
vera libertà. La libertà di religione e le libertà sociali sono maturate come
frutti preziosi sull’humus del cristianesimo. Senza libertà non c’è
responsabilità: né davanti a Dio, né di fronte agli uomini. Soprattutto dopo il
concilio Vaticano II la Chiesa vuole dare un ampio spazio alla libertà. Lo
stato moderno è consapevole di non poter essere uno stato di diritto se non
protegge e promuove la libertà dei cittadini nelle loro possibilità di espressione sia individuali che collettive.
Penso a un’Europa unita grazie all’impegno dei
giovani. Con tanta facilità i giovani si capiscono tra di
loro, al di là dei confini geografici! Come può nascere, però, una generazione
giovanile che sia aperta al vero, al bello, al nobile
e a ciò che è degno di sacrificio, se in Europa la famiglia non si presenta più
come un’istituzione aperta alla vita e all’amore disinteressato? Una famiglia
della quale anche gli anziani sono parte integrante in
vista di ciò che è più importante: la mediazione attiva dei valori e del senso
della vita.
L’Europa che ho in mente, ha concluso, è
un’unità politica, anzi spirituale, nella quale i politici cristiani di tutti i
paesi agiscono nella coscienza delle ricchezze umane che la fede porta con sé:
uomini e donne impegnati a far diventare fecondi tali valori, ponendosi al
servizio di tutti per un’Europa dell’uomo, sul quale splenda il volto di Dio.
Questo è il sogno che porto nel cuore e che vorrei affidare… alle
generazioni future”.
TRE GRANDI
ORIENTAMENTI
Per quanto riguarda la Chiesa in Europa, essa intende muoversi seguendo
le indicazioni maturate soprattutto nel sinodo del 1999, e riprese
poi ampiamente nell’esortazione apostolica Ecclesia in Europa. Tre sono i grandi orientamenti proposti in questo documento:
annunciare il Vangelo della speranza in un continente dove esiste un
offuscamento della speranza; celebrare il Vangelo della speranza; servire il
Vangelo della speranza. Sono le linee ribadite anche dal CCEE nella
plenaria di Vilnius dove è stato riaffermata la volontà di una maggiore
collaborazione tra le stesse conferenze episcopali (34 nel continente) e tra
queste e il KEK (Conferenza delle Chiese europee, organismo ecumenico di cui
fanno parte 123 Chiese e 25 organizzazioni associate nel continente). Nei
prossimi anni a guidare il dialogo ecumenico sarà, da una parte, la
preparazione alla terza assemblea ecumenica europea, prevista per il 2007 –
dopo quella di Basilea (1989) e di Graz (1997) – che
vedrà impegnati sia il CCEE sia il KEK per approfondire il rapporto tra
l’annuncio del Vangelo (la missione) e il dialogo per un incontro tra vescovi
europei; dall’altra, la Charta ecumenica firmata nel 2001 a Strasburgo, dove
sono delineate le comuni responsabilità delle Chiese in Europa: l’impegno a
plasmare insieme il continente, a riconciliare popoli e culture, la custodia
del creato, l’approfondimento della comunione con gli ebrei, e la cura dei
rapporti con l’islam. A questo riguardo, il comitato Islam in Europa del CCEE e
del KEK ha preparato il documento Incontrare i musulmani che, nello spirito
della Charta ecumenica elenca i passi da compiere per un dialogo fecondo con
questa religione ed esorta ad avere meno paura gli uni
degli altri perché solo così si possono fare grandi cose.
LA PRESENZA
DEI RELIGIOSI
E i religiosi? In Europa accanto a circa 144.000 sacerdoti diocesani e
circa 10.000 diaconi permanenti, sono presenti 62.546 religiosi sacerdoti e
357.840 religiose (dati del 2001). Si tratta di una forza di notevoli
proporzioni che va molto al di là dei numeri, su cui
la Chiesa in Europa può e intende fare pieno affidamento. Il
citato documento post-sinodale Ecclesia in Europa dedica due paragrafi (37-38)
alla testimonianza che i consacrati sono chiamati a dare. Il primo
contributo specifico, è detto, riguarda la risposta alle nuove forme di
spiritualità che si riscontrano oggi nella società, che deve trovare
accoglienza nel riconoscimento del primato assoluto di Dio vissuto attraverso
la totale donazione di sé, la conversione permanente di un’esistenza offerta
come vero culto spirituale. In secondo luogo, in un contesto
di secolarismo e di consumismo, la vita consacrata deve diventare sempre più
segno di speranza attraverso la testimonianza della dimensione trascendente
dell’esistenza. In terzo luogo, nell’odierna situazione multiculturale e
multireligiosa ad essa è chiesta anche la testimonianza
della fraternità evangelica quale stimolo alla purificazione e integrazione di
valori diversi, mediante il superamento delle contrapposizioni.
La presenza di nuove forme di povertà e di emarginazione
deve inoltre suscitare nei consacrati quella creatività nel prendersi cura dei
più bisognosi, che ha caratterizzato tanti fondatori di istituti religiosi.
Infine, ai consacrati si chiede la loro disponibilità a continuare l’opera di evangelizzazione in altri continenti, nonostante la
diminuzione numerica dei membri.
Siamo pronti noi religiosi a rispondere alle nuove sfide che l’Europa
unita ci propone o rischiamo di rimanercene ai margini ed estranei a ciò che
avviene nel mondo, perdendo il nostro tempo a pensare unicamente ai nostri
problemi interni?
Ha interpretato bene questo interrogativo fr.
José Rodriguez Carballo, ministro generale OFM, parlando all’incontro dei
ministri provinciali d’Europa dell’ordine, a Lourdes, il 20 novembre scorso,
sul tema L’Europa ci chiama. Dio, ha detto, “continua a lavorare e a operare nell’“oggi” e nel “qui” della nostra storia e
della storia dei nostri contemporanei europei; anche se a volte ci sembra che
dorma, in realtà è qui, sulla nostra stessa barca; così, quando il suo volto
appare più sfigurato e la sua presenza si fa meno percepibile, noi dobbiamo
sentirci più direttamente interpellati da lui e chiamati a dare una risposta
evangelica.
Leggere i segni dei tempi e interpretarli adeguatamente è ciò che ci
permetterà di essere noi stessi segni leggibili di
vita per un mondo assetato di “nuovi cieli e nuova terra” (Is 65,17; Ap 21,1).
Il contrario, invece, ci farebbe correre il rischio di fermarci, ripeterci,
cancellare i sogni più profondi, di perdere poco a poco la gioia contagiosa
della nostra fede”. E si è chiesto: “La causa di tanto
nostro pessimismo non risiede, talvolta, proprio nell’incapacità di leggere i
segni dei tempi, nell’incapacità di ascoltare la voce del Signore negli
avvenimenti della storia e di cogliere la sua presenza sempre operante?”.
Ecco perché l’Europa non deve trovarci impreparati.
A.D.
1 Repubblica ceca, Estonia, Cipro, Lettonia, Lituania,,
Ungheria, Malta, Polonia, Slovacchia, Slovenia.
2 L’Europa, compresa anche la Russia, ha una popolazione di circa 700
milioni di abitanti; i cattolici sono circa 280
milioni, poco più del 40%.