CHIARA D’ASSISI
NEI SUOI
SCRITTI
«Dopo che l’altissimo Padre celeste si degnò, per sua
misericordia e grazia, di illuminare il mio cuore, perché, seguendo l’esempio
del beatissimo padre nostro Francesco, facessi penitenza poco dopo la sua
conversione, insieme alle poche sorelle che il Signore mi aveva dato poco dopo
la mia conversione, io gli promisi volontariamente obbedienza, come il Signore
ci aveva comunicato, secondo l’ispirazione della sua grazia, attraverso la
mirabile vita e l’insegnamento di lui».
Questo giro essenziale di frasi sulla propria vocazione è
preso dal Testamento di s. Chiara d’Assisi e si trova con poche varianti anche
nel centrale capitolo VI della sua Regola: nessun biografo potrebbe dire di
Chiara e della sua singolare vicenda spirituale meglio di come ella stessa dice
di sé con le parole e tra le righe dei suoi scritti.
Lungamente oggetto di studi specialistici – molti dei quali
preziosa opera di sue odierne consorelle Clarisse – oggi forse più attenti che
mai all’originalità del pensiero di Chiara, possiamo leggerli tutti nella prima
edizione di un volume curato da Felice Accrocca e con la traduzione degli
originali da parte di Modestino Cerra:1 un’opera che si presenta
filologicamente completa e criticamente aggiornata nello stesso tempo in cui ci
offre, nel procedere dell’analisi dei testi e diffusamente nelle pagine
dedicate ad approfondimenti tematici, un commento di grande valore per chiarezza
e godibilità oltre che nel suo carattere scientifico e nella sua funzione
istruttiva; facilitata, tale funzione, anche dalla cronologia sobriamente
ragionata che chiude il volume assieme a indicazioni Per saperne di più dalla
sterminata bibliografia sulle fonti, sugli studi relativi a Francesco e al
francescanesimo nonché su Chiara d’Assisi e il francescanesimo femminile.
UNA PROPOSTA
DI VITA
Raccogliendo tutti gli scritti di Chiara, il libro contiene
dunque la Regola, le Lettere, la Benedizione e il Testamento, testi che presi
globalmente formano, e così sono presentati nell’Introduzione, tutta una
suggestiva proposta di vita evangelica; essi sono poi descritti singolarmente,
nella stessa Introduzione, secondo il contesto di origine, secondo problemi
posti dalla datazione e da discussioni circa l’autenticità e nel contenuto di
ciascuno scritto.
Le tre lettere ad Agnese, sorella del re di Boemia Venceslao
I e consacratasi a Cristo, nel monastero di Praga da lei stessa fondato, dopo
aver rinunciato a nozze illustri e persino imperiali, sono state scritte
secondo la maggioranza degli studiosi tra il 1236 e il 1238. Motivi validi –
scrive Accrocca – consentono di non dubitare della loro autenticità, mentre i
contenuti riflettono in modo più che persuasivo lo spirito di Chiara nella sua
impronta francescana e nelle personali sfumature sulla povertà, addolcita da un
proprio tocco di gentilezza e con un linguaggio dove risuonano, come in altri
testi, echi dalla liturgia e specialmente dall’ufficio di s.Agnese martire. Vi
si sente inoltre l’affinità spirituale di Chiara con la lontana “consorella”,
che se la chiama anche signora e regina è perché la considera “sorella e sposa
del sommo Re dei cieli”.
Molti dubbi sull’autenticità della lettera a Ermentrude di
Bruges, riportata anche in questo libro, permangono invece presso gli studiosi.
«Unità degli spiriti e voto dell’altissima povertà» sono le
due caratteristiche essenziali, nella vita religiosa quale intesa da Chiara e
dalle prime seguaci, segnalate in apertura della Regola: il senso della
minorità insito nell’assoluta privilegiata povertà e quello della fraternità
evocata dall’espressione “unità degli spiriti”.
È noto universalmente che Chiara è stata la prima donna a
scrivere una regola per la propria fondazione religiosa. E che doveva
formularla lei, quella regola, lo diceva già il risultato del tentativo fatto
da Francesco di inserirla, all’inizio della sua “conversione”, dapprima nel
monastero di San Paolo, «al quale approdava la migliore nobiltà assisana» –
proprio quella che lei aveva lasciato! – e successivamente in quello di
Sant’Angelo di Panzo: l’altissima povertà era altrove, aveva luogo a San
Damiano.
Nessun dubbio oscura l’autenticità della Regola di Chiara,
un testo di fortissimo spessore, «degno di stare a fianco delle altre grandi
regole che hanno segnato la spiritualità dell’Occidente». Un testo che, pur
avendo attinto ad altri strumenti legislativi, in particolare alla Regola
bollata dei Frati Minori, «appare un’opera altamente originale».
Originale è del resto l’intera forma di vita religiosa
concepita e praticata da Chiara e dalle sue “sorelle povere” con una
“modernità” – nel secolo XIII! – del tutto insolita e sorprendente.
UNA PROPOSTA
“MODERNA”
Sorprende anzitutto il ricorrere del termine conversione a
indicare quella che oggi diciamo vocazione. È il linguaggio di Francesco, per
il quale – scrive Accrocca fondandosi anche su riflessioni di Raoul Manselli –
il nucleo della conversione non è consistito in una scelta meramente pauperistica,
ma in un rovesciamento di valori per cui egli è passato da uno status sociale
riconosciuto e invidiabile alla condizione di chi non ne aveva affatto. Questo
intendeva Francesco quando diceva a Chiara di convertirsi a Gesù Cristo:
percorrere senza ritorni la via di Lui, il quale “non considerò un tesoro
geloso la sua uguaglianza con Dio” ma assunse la condizione di servo; la via di
Cristo amato e ritrovato «nell’esperienza dell’emarginazione, dell’abbandono,
del disprezzo», che è quanto dire l’estrema povertà.
L’altissima povertà che Chiara pensava dovesse aver dimora
in San Damiano non sarebbe stata «una povertà sociologica né, tanto meno, un
attaccamento fanatico e ossessivo, quasi feticistico, a una visibile povertà
esteriore», ma un’espressione totalizzante «della sequela di Cristo, del
conformarsi a lui nell’umiliazione più profonda, nell’essere ultimi, nella
scelta della croce. Non a fianco degli ultimi, ma ultimi con loro».
Ne consegue, ad esempio, oltre al senso di libertà e di
grandezza d’animo che informava i gesti di Chiara specialmente riguardo alla
carità, tutto lo stile sapiente della vita comune, al cui interno troviamo –
segnalata anche tra i motivi di approfondimento dal prof. Accrocca – quella
spiritualità del lavoro che Chiara poteva aver mutuato dalla Regola di
s.Benedetto, dalla Regola bollata francescana e dall’esperienza di Francesco,
ma che dimostrò esserle del tutto congeniale.
Non previde mai, infatti, un’articolazione della comunità
tra sorelle coriste, dedite all’ufficio divino e ad attività non servili, e
sorelle converse cui spettassero gli altri generi di lavoro e forme minime di
preghiera: tutte, comprese coloro che avevano compiti di “reggimento e
governo”, lavoravano con le proprie mani dall’ora Terza quando terminava il silenzio
regolare; e Chiara, pur sempre attenta alle necessità delle sorelle e alla
soluzione dei problemi quotidiani, diede con naturalezza e con gioia esempio di
fedeltà al dovere di lavorare non solo nel tempo in cui si diceva sana e forte
ma anche nei lunghi anni della sua malattia e fino agli ultimi giorni di vita.
Z.P.
1 CHIARA D’ASSISI, La Regola, le Lettere e il Testamento
spirituale (a cura di
ACCROCCA F.), Edizioni PIEMME, Casale Monferrato(AL) 2004,
pp. 149, € 8,90.