RIPENSANDO ALLA NOTTE PASQUALE
Alla luce del cero,
nella grande veglia accade ciò che Gesù fece per i due
discepoli sulla strada di Emmaus. E il loro percorso
diventa il nostro percorso.
Credere nella risurrezione non è credere in un fatto
isolato, ma prima di tutto è credere in Lui, in Gesù Cristo, che il Padre ci ha
mandato.
Credere significa dargli fiducia e accogliere ciò che ci ha
rivelato, prendere la via su cui egli ci ha messo.
La risurrezione di Gesù non è un dato di scienza, che uno
indaga in maniera neutrale ed espone come una ricerca fisica o chimica. È
piuttosto come un crocevia su un cammino, e noi siamo sollecitati a trovarcisi.
Sulla via di Emmaus Gesù discorre
con i discepoli. Ma essi non lo riconoscono, non sanno chi sia
quel forestiero che s’accompagna a loro, che ascolta e fa domande: perché siete
così tristi? Di che parlavate lungo il cammino? (cf. Lc 24,17) e che dice loro:
«Non doveva il Messia patire tali cose, e così entrare nella sua gloria?». E
che poi, «cominciando da Mosè e continuando per tutti i profeti, interpretò per
essi ciò che nella santa Scrittura di lui è scritto»
(Lc 24,26-27).
Ma che cosa disse di preciso sulla strada di
Emmaus?
Quella lezione fu la più importante catechesi della storia
umana.
Purtroppo quei due non disponevano di
registratore, non scrissero né protocollarono niente. Noi non sappiamo che cosa
disse loro Gesù mentre camminavano. Come neppure sappiamo che cosa disse a quei
primi due che lo seguirono avendolo incontrato da Giovanni al Giordano, quando
Gesù, volgendosi, chiese: «”Che cercate?”. “Maestro,
dove abiti?”. “Venite e vedrete!”. Ed essi andarono
con lui e quel giorno rimasero con lui» (Gv 1,38-39).
Purtroppo, neanche quei due scrissero niente di ciò che Gesù
disse.
Il primo colloquio con Gesù al Giordano, e
adesso il primo con il Risorto...
Ma che può aver detto Gesù a quei due sulla via di Emmaus? E che cosa può aver
spiegato nei quaranta giorni che precedettero la sua andata al Padre?
Sappiamo soltanto che parlò del regno di Dio: «Cominciando
da Mosè e continuando per tutti i profeti, interpretò per essi
ciò che nella santa Scrittura di lui è scritto». Non abbiamo nessuna
registrazione di quei momenti, abbiamo però la Tradizione che parte da Gesù.
Non c’è dubbio che i discepoli ricordarono
ciò che Gesù aveva loro detto. Si impresse nella loro
memoria, e continuarono a ripeterlo.
Così, se anche nulla fu messo per scritto, tutto quello
passò lo stesso nella vita della Chiesa. E anno dopo anno, la Chiesa ricorda e
celebra il cammino di Emmaus su cui Gesù interpretò la
Scrittura, e ci fa immaginare tutto quello che egli disse di sé.
Ancora oggi la Chiesa ripete ciò che Gesù fece sulla via di Emmaus, per esempio nella notte pasquale.
La notte pasquale, possiamo ben dirlo, discende direttamente
da ciò che allora, nei giorni che seguirono la sua risurrezione, Gesù andò
spiegando ai discepoli.
Quando celebriamo questa grande
festa, è come se Gesù volesse accompagnarsi anche a noi, come ai due discepoli
di Emmaus, e spiegarci la Scrittura.
La notte pasquale comincia nella luce.
Entriamo in una chiesa buia, dove soltanto il cero pasquale
brilla.
Per tre volte si canta: «Cristo, la luce!». E si fa luce.
Poi il diacono intona l’inno del cero pasquale, della luce
pasquale, e loda Cristo come la luce che brilla nelle tenebre: «Luminosa come giorno si fa la notte, notte che ci strappa al
buio del peccato» (Exsultet).
E alla luce del cero pasquale
comincia una lunga liturgia fatta di letture, sette dell’Antico Testamento e
due del Nuovo.
In quel lungo percorso (le tre letture dai libri di Mosè e
quattro dai Profeti) accade esattamente quello che Gesù fece sulla strada di Emmaus: spiegò la Scrittura, fece capire perché il Messia
aveva dovuto patire, il senso della croce e, alla fine, della risurrezione.
Quando nella notte pasquale intoniamo il Gloria e
l’Alleluia, allora il percorso che Gesù fece con i discepoli di
Emmaus diventa il nostro percorso.
Quando i discepoli di Emmaus
tornano a Gerusalemme, così gli altri li salutano: «Il Signore è veramente
risorto ed è apparso a Simone» (Lc 24,34). Così si saluta a Gerusalemme.
Christoph Schönborn
da
Da Gesù a Cristo, ed. San Paolo 2004