EVANGELIZZARE IL MONDO DELLA SALUTE
CON LA FANTASIA DELLA CARITÀ
La riflessione sulla
vita consacrata impegnata in opere sociosanitarie aiuta per un nuovo slancio di evangelizzazione: mediante una pastorale della salute
condivisa con i laici che permette di far camminare insieme profezia e risposta
ai nuovi bisogni sociali.
«Tutte le persone, credenti o no, a
un certo momento della vita passano per un’istituzione sociosanitaria. Esse,
perciò, costituiscono uno spazio privilegiato per l’evangelizzazione».
Questa la prospettiva fondamentale espressa nell’intervento
che fra Pascual Piles, superiore generale dell’ordine ospedaliero di san
Giovanni di Dio (fatebenefratelli), ha offerto al convegno in cui i camilliani
hanno riflettuto sul tema L’identità delle opere nostre (Seiano, Napoli, 8-9
maggio 2003) arrivando a delineare una Carta
d’identità presentata come punto di riferimento per la vita consacrata
impegnata nella sanità e per la società nel suo insieme.1
LUOGHI DOVE
INCONTRARE GESÙ
Fra Piles, alla luce della sua esperienza personale come
consacrato e facendo tesoro della realtà del suo ordine presente in 50 paesi
del mondo, ha indicato alcuni elementi con i quali i religiosi sono chiamati a
confrontarsi per far diventare i propri centri sociosanitari «luoghi di interpellanza evangelica» per molte persone che se ne
servono perché malate o bisognose, per i loro familiari, e anche per i
collaboratori con i quali si condivide la missione (indipendentemente dalla
loro identità, dal loro credo e dalle loro convinzioni).
Da questo primo ampio obiettivo di evangelizzazione
ne ha fatto derivare un secondo legato all’identità confessionale di
istituzioni di salute che però sono al servizio dello sviluppo dei valori
umani: ha sottolineato che occorre promuovere la giusta autonomia della loro
realtà secolare, in modo che «nell’offerta di salute da parte nostra e dei
cristiani ci sia la dovuta coerenza tra l’attività sociosanitaria e la fede
professata».
Un ulteriore elemento è
rappresentato dalla condivisione con i laici del carisma di ospitalità espresso
dal fondatore, per generare opere come testimonianza viva dell’amore di Cristo:
«in esse il nucleo principale è costituito dal malato o dalla persona assistita,
che costituisce la ragione della loro esistenza»; qui va dunque esercitata
quella “fantasia della carità” che invita tutti i collaboratori a fare
esperienza dell’incontro personale di fede con Gesù Cristo.
Un quarto tratto dell’azione evangelizzatrice è legato alla
capacità di ottenere le risorse necessarie e di utilizzarle in modo rigoroso
per la missione: «Il criterio con cui lavoriamo, la
nostra testimonianza di vita, il modo di umanizzare questa dimensione
lavorativa, possono essere un’altra possibilità di interpellanza… dobbiamo
garantire le risorse affinché le istituzioni possano avere dei bilanci
equilibrati, e poter così far fronte a tutte le esigenze della missione. I
nostri fondatori, oltre ad alcuni appoggi istituzionali del tempo, hanno portato
avanti le loro istituzioni con il lavoro personale dei primi seguaci, e con
l’aiuto di tanti benefattori che li hanno appoggiati e sostenuti. Oggi le
esigenze dell’ospitalità sono molte. Dobbiamo garantire i mezzi per una buona ospitalità con dei rapporti istituzionali adeguati.
Dobbiamo saper completare queste risorse con altri aiuti che possono provenire
dallo stato o dalla Chiesa. Anche noi, come i nostri fondatori, dobbiamo
contare sull’appoggio dei benefattori, o dei privati, che sostengano
il costo dei servizi che realizziamo».
Un ultimo aspetto riguarda l’esigenza di riflettere sui
bisogni esistenti in una visione sociale globale:
«Oggi le nostre istituzioni non possono essere fondate senza pensare ai bisogni
che esistono in una società, e senza avere la scrupolosità o l’esigenza di
complementarietà delle istituzioni pubbliche. Ovunque ci troviamo non possiamo
lavorare in modo indipendente, ma dobbiamo fare riferimento alle norme
sanitarie o alle abitudini sociali… anche in questo modo di agire dobbiamo
essere evangelizzatori, dobbiamo adoperarci per la complementarietà nei
progetti statali o ecclesiali, sapendo che questa è una testimonianza sul buon
uso delle risorse esistenti in una società».
IN RISPOSTA
ALLE SFIDE ODIERNE
I cinque punti enucleati sono serviti al superiore dei
fatebenefratelli per illustrare le fondamentali sfide della vita consacrata che
spende la propria vita testimoniando il Vangelo nel
mondo della malattia e della cura.
La prima sfida concerne la realizzazione
di una buona pastorale della salute per essere realmente evangelizzatori.
Questo sottintende consacrati che abbiano sperimentato
la guarigione proveniente da Cristo (per annunciarlo come senso della vita alle
persone colpite dalla sofferenza) e che siano ben preparati per rispondere alle
esigenze religiose di molte persone, con flessibilità, comprensione e capacità
di dialogo. «Nel concetto sociosanitario, ha precisato fra Piles, rientrano
molte realtà distinte: malati acuti, malati cronici, malati terminali, cure palliative,
malati di Aids, malati di mente, disabili psichici,
anziani, dipendenti da farmaci, senzatetto, ecc. Ciascuno esige nel trattamento
pastorale un’azione specifica». Ma c’è di più, per
rispondere a questa complessità occorrono fratelli o religiosi disposti a
lavorare in gruppo, sviluppando capacità di collaborare con i membri degli
altri servizi e di trovare equilibrio tra realtà ecclesiale e realtà secolare.
Proprio questa capacità è infatti
essenziale nel rispondere alla sfida di mantenere l’identità confessionale
comprendendo la realtà in cui si è immersi. Tale identità è definita dai
criteri con i quali si desidera realizzare il servizio, «con qualità e calore
umano, con un’assistenza olistica, integrale, che consideri la persona in tutto
il suo essere, che portino a un’applicazione chiara
del magistero della Chiesa nei valori che ne sono il fondamento e che si
accosti alle situazioni difficili in cui dobbiamo vivere oggi, con i tanti
problemi etici del campo assistenziale».
Da questa visione discende la cura particolare per
l’impostazione bioetica, che richiede l’esistenza di comitati di etica assistenziale e di sperimentazione clinica per
esaminare i temi indispensabili al sostegno efficace di coloro che devono
prendere decisioni.
E discende altresì la necessità di mantenere istituzioni
proprie, con una certa autonomia di gestione, come mezzo che agevola i
religiosi nell’impostazione di un progetto assistenziale,
nel rispetto o nell’identificazione richiesti agli operatori sanitari con i
criteri di questo progetto (senza costrizione alcuna verso la loro coscienza),
nella formazione specifica che viene offerta come conseguenza del progetto
stesso.
Su questa base è possibile allora identificare l’ulteriore sfida riguardante la missione condivisa tra religiosi
e laici: «La nostra vita, tanto a livello personale quanto a livello di istituzione, deve essere eloquente, per la sua forma di
incarnare la carità di Cristo. L’istituzione è eloquente per lo stile di assistenza che porta avanti, per gli ambienti che siamo
in grado di creare nei nostri centri e le azioni che realizziamo per
condividere il carisma con i collaboratori, con gli operatori sanitari, i
volontari o i benefattori, e attraverso l’arricchimento che facciamo del
carisma grazie alla presenza di tanti operatori con qualità tecnica ma anche
umana».
Tutto ciò porta, secondo fra Piles, a
una nuova prospettiva: «Il carisma condiviso non deve portarci solo a
condividere la missione, ma a condividere la forma, lo stile di vita.
Approfondiamo così una cultura, una filosofia di vita, una spiritualità, e con essa ci situiamo nella vita, facendo riferimento ai
fondatori, alla loro ospitalità».
La quarta sfida, strettamente collegata
alla precedente, è stata definita dall’oratore in termini di mistica imprenditoriale:
«Dobbiamo saper evangelizzare cercando di creare istituzioni che siano imbevute di spirito imprenditoriale esemplare, in cui
i collaboratori si sentano permeati dallo spirito dell’istituzione, rispettando
il modello assistenziale che ci prefiggiamo, mentre da parte nostra è sempre
presente il rispetto per la loro identità. Se così non fosse, sarebbe difficile
impostare dei criteri di alleanza, di integrazione
come protagonisti, di missione condivisa… dobbiamo realizzare una definizione
di come si deve lavorare, delle funzioni di ogni responsabile, della previsione
dei costi e delle entrate di ogni anno, con il personale adeguato alla
realizzazione della missione, dove i lavoratori siano tenuti in considerazione
nei loro diritti e doveri, e percepiscano dei salari che consentano loro di
vivere dignitosamente».
Su questo punto fra Piles ha fatto esplicito riferimento al
concetto di “gestione carismatica” presente nella Carta d’identità dei
fatebenefratelli: con esso si esprime una opzione in
favore del progetto di un’amministrazione adeguata e corretta, che garantisca
la vivibilità dei centri, che aiuti a vincere la tentazione di interpretare le
responsabilità conferite non per servire ma come forma di potere, che illumini
nelle deleghe di funzioni direttive e gestionali.
La quinta e ultima sfida riguarda
la risposta ai bisogni più urgenti seguendo lo stile dei fondatori.
L’utilizzazione di contributi sociali che vengono dai cittadini e il lavoro di
concerto con le istituzioni pubbliche sono caratteristiche
della vita consacrata che si impegna ogni nel campo sociosanitario, ma tutto
ciò «non deve eliminare la forza profetica che dobbiamo avere nella società,
non deve privarci della capacità di realizzare la beneficenza nei confronti dei
poveri».
Inoltre, nella società occidentale, il fatto di avere una
vasta gamma di assistenza comporta, per i centri
gestiti da religiosi, l’assunzione di una logica di complementarietà nei
servizi, arrivando in alcuni casi ad assumere anche una funzione di sussidiarietà
verso lo stato con servizi che esso non è in grado di offrire.
Occorre perciò essere disponibili a cambiare l’orientamento
anche di centri con una notevole tradizione, valutando ciò che esige il tessuto sociale e procedendo alla ristrutturazione dei servizi
con tutto ciò che questo comporta (vedi riduzione del personale). «Dobbiamo
realmente lavorare affinché perduri ciò che siamo
stati capaci di costruire lungo la storia, non pensando solo alla conservazione
del patrimonio, ma tenendo lo sguardo sempre fisso al futuro».
Con questo spirito, fra Piles ha concluso
con una visione positiva dei compiti che attendono, incoraggiando la vita
consacrata a entrare decisamente nella «cultura di condividere il carisma, di
portare avanti le opere con i collaboratori», perché proprio qui sta il segreto
di una fedeltà che diventa costante iniziativa creativa.
Mario Chiaro
1 L’intervento di fra Pascual
Piles, con il titolo Le istituzioni sociosanitarie dei religiosi, si trova nel
numero speciale della rivista “Camilliani” 1/2004, pp. 27-33. La “Carta
d’identità” elaborata per le istituzioni camilliane si trova alle pp. 73-74.