CORSO DI FORMAZIONE PER SUPERIORI/E

DALLE RICETTE AI PROGETTI

 

Una delle grandi sfide della vita consacrata è di lavorare su progetti e non su ricette o consigli pratici che danno l’illusione di risolvere immediatamente un problema mentre invece c’è bisogno di guardare più avanti. È la linea scelta da don Gian Franco Poli, docente al Claretianum di Roma, che spiega ai lettori di Testimoni il senso del lavoro svolto in questi ultimi due anni con il primo corso di formazione per superiori e superiore di comunità, articolato in cinque moduli, cui si è aggiunto quest’anno un corso di secondo livello per l’approfondimento. E, proprio in questi giorni, esce il volume sulle Riunioni di comunità che è il quinto volume di accompagnamento delle lezioni del corso, scritto insieme a padre Giuseppe Crea, comboniano, psicologo e a Vincenzo Comodo, laico, rispettivamente docenti alla Pontificia università salesiana e al Claretianum. Tema generale del corso di primo livello è Una leadership efficace per le riunioni di comunità.

Don Poli rileva appunto che oggi nella vita consacrata in modo particolare c’è bisogno di progetti. «Gli istituti religiosi tendono a pensare che una strategia possa risolvere i problemi che hanno». E anche all’interno del folto gruppo di partecipanti, si è sviluppata una vivace dialettica proprio sulle diverse modalità e approcci. Infatti da una parte ci si aspettava delle risposte immediate e concrete da riportare nella propria comunità e così riuscire a far tornare tranquille situazioni di disagio o di forte confronto. Invece l’impostazione dei docenti ha messo in evidenza che, al di là delle risposte, esiste la problematica del progetto che occorre impostare, perché la vita comunitaria non può dare per scontati sempre obiettivi e modalità, ma deve saperli rimodulare sulle persone concrete che ne fanno parte. «Poco alla volta – spiega dunque don Poli – i nostri istituti si stanno accorgendo che, a monte di tutto, ci sono le persone concrete e dunque nessuna strategia può fare a meno di prendere in esame le caratteristiche delle persone, dei religiosi che si hanno di fronte». Ciò vuol dire che i consigli generali devono riconsiderare il metodo di conduzione che è stato messo in atto.

«Dobbiamo tenere presente – spiega don Poli – che nella misura in cui riusciamo a trasformare la pura e semplice autorità nella più difficile ma più coinvolgente “autorevolezza”, riusciamo a innescare un meccanismo di cambiamento e di crescita in cui i religiosi diventano i più importanti collaboratori».

A questo proposito, occorre considerare anche gli apporti che vengono dai più recenti sviluppi delle scienze della formazione che stanno passando dal concetto-guida di formazione permanente a quello più caratterizzante e ampio di formazione degli adulti, che si collega all’idea di lifelong learning, dunque un apprendimento che accompagna tutta la fase della vita adulta di una persona. Infatti sono diverse le età a cui l’individuo fa costante riferimento, a seconda del contesto di uso. Ciò vuol dire che abbiamo prima di tutto un’età cronologica, segnata naturalmente dalla data di nascita. Si aggiunge poi una età biologica corrispondente allo stadio di sviluppo fisico e psichico che è stato raggiunto. C’è poi un’età personale quale percezione soggettiva del punto interno di vita individuale che è stato raggiunto. E infine possiamo considerare un’età sociale, attribuita dall’esterno e variabile a seconda di colui che attribuisce l’età al soggetto in questione.

Le nuove idee sull’educazione degli adulti fanno riferimento al fatto che gli indicatori oggettivi che un tempo scandivano i ritmi di vita soggettivi vengono a modificarsi profondamente, creando nuovi spazi di movimento, cambiamento e riprogettazione individuale, in maniera indipendente rispetto all’età. In tale ambito l’educazione degli adulti trova il suo ambito di applicazione, e può diventare uno spunto fecondo per il rinnovamento e l’aggiornamento della vita consacrata. Infatti gli adulti che si avvicinano ai corsi di formazione come il corso sulla leadership avviato nell’ambito del Claretianum, accettano di tornare sui banchi di scuola perché sono spinti dalla necessità di trovare risposte alle esigenze concrete delle loro stesse comunità, che si stanno modificando sotto i loro stessi occhi, in una società in trasformazione, non riuscendo a far presa con il linguaggio finora usato, con l’inserimento di religiosi e religiose provenienti da altre culture, con l’invecchiamento progressivo e con le mille fenomenologie del vivere in una società complessa. Tuttavia, è a questo punto che se non si inquadra chiaramente il tema della formazione degli adulti, può scattare il meccanismo infantile per cui si torna sui banchi di scuola – anche di una scuola superiore o un master – per avere la risposta ai propri problemi e non invece acquisire una metodologia, una modalità e una dimensione di ricerca, dove la domanda del formando va esplicitata e la risposta del formatore si costruisce in una nuova collaborazione. Che è poi lo stile che le comunità dovrebbero acquisire sempre più spesso: uno stile appunto collaborativo dove si impara insieme. Già negli anni sessanta e settanta, il noto pedagogista brasiliano Paulo Freire, uno dei precursori dell’educazione degli adulti, sottolineava la necessità di superare l’idea che il “discente” sia una “scatola vuota” da riempire di nozioni, per mettere in evidenza invece la dimensione collaborativa di un sapere su se stessi e sul mondo che si costruisce nel confronto.

 

Applicare alla vita consacrata queste idee – spiega don Poli – vuol dire rendersi conto sempre di più e con i documenti del magistero alla mano, che «anche il carisma, oggi, non è fondato soltanto su quello che faccio, ma soprattutto su chi sono, perché l’atteggiamento del fare è pericoloso e le risorse vanno invece puntate sulle persone e sull’identità della congregazione».

 

Fabrizio Mastrofini