CONVEGNO FORMATORI FRATI MINORI

FORMAZIONE E SUE PROVOCAZIONI

 

Al convegno formatori che ha fatto seguito al capitolo generale dei frati minori è intervenuto il nuovo ministro generale con una relazione che ha voluto situare il compito della formazione all’interno dell’attuale fase storica per dire oggi la scelta vocazionale

della vita religiosa.

 

Chi oggi negli istituti è impegnato nella formazione sa molto bene che nessuna opera sarà efficace se non ci si sforzerà di cogliere i segni dei tempi e i messaggi che essi inviano. Occorre quindi alzare lo sguardo e scrutare gli orizzonti della storia poiché è da qui che giungono le provocazioni da trasformare in risposte formative, altrimenti si rischia di muoversi in un mondo che non esiste più.

È questo l’orizzonte in cui si sono posti i formatori al convegno della Conferenza dei ministri provinciali d’Italia dei frati minori (COMPI) che hanno tenuto ad Assisi, nel settembre scorso e che ha avuto per tema Fraternità in missione in un mondo che cambia. Vangelo e post-moderno: quali provocazioni per la nostra vita di frati minori. A tracciare le linee entro cui muoversi è stato lo stesso ministro generale fr. José Rodríguez Carballo in una relazione introduttiva ai lavori allo scopo di offrire «alcune consegne per aprire e animare il dialogo e il confronto nell’ascolto reciproco».

L’intento del ministro generale non era di «fare un’analisi del post moderno, né tanto meno offrire ricette. In questa sede – ha affermato – voglio semplicemente chiedermi con voi, a partire dal documento finale del capitolo generale – Il Signore vi dia pace – quali punti urgono perché possiamo oggi ri-dire la sequela di Cristo secondo la forma vissuta e proposta da Francesco d’Assisi, in un contesto radicalmente nuovo e immerso in una situazione di incertezza profonda… e che cosa l’attuale fase storica – che dire postmoderna è ormai insufficiente – ha da suggerirci e indicarci, perché intuiamo con sapienza evangelica, quella mossa dallo Spirito, qualcosa per rifondare e dire con la vita la nostra scelta vocazionale».

 

DISCERNERE

I SEGNI DEL TEMPO

 

Per camminare lungo la via tracciata dall’ultimo capitolo generale, il p. Carballo ha invitato a non dimenticare di centrare l’attenzione della formazione nella fedeltà a Dio e all’uomo.

L’impegno prioritario quindi resta quello del discernere i segni dei tempi. Questa operazione «dice la qualità e la realtà della nostra fede. Non è strategia per affrontare tempi difficili, né tanto meno per cercare tecniche di sopravvivenza, di senso e di… numeri. E non è neppure esercizio intellettuale o puramente sociale. Ne va della nostra fede la quale, se non sa stare e abitare nella storia degli uomini come nella propria casa, manca di humus, difetta del luogo teologico».

Qui sta una prima provocazione per chi ha il compito formativo: «Non giungere alla storia, al tempo che viviamo in seconda battuta, dopo le premesse di ordine teologico-spirituale e francescano. Noi scegliamo di partire dall’unico punto che è a nostra disposizione, e che è la storia, la nostra vita, le vicende che coinvolgono i nostri contemporanei. L’uomo ci interessa, ci provoca, ci incuriosisce, ci interpella, è il destino stesso della Chiesa».

Viene così ribadito l’invito ad «alzare lo sguardo, a scrutare l’orizzonte della storia e a riconoscere i nuovi segni del cielo e della terra». Anche oggi pur in un «passaggio totalmente nuovo e imprevedibile della storia, che può spingerci ad atteggiamenti di paura e di chiusura di fronte al cammino degli uomini e delle donne del nostro tempo».

«Animati dalla fede vogliamo invece – ha continuato il ministro generale – farci eco come ci ricorda il documento finale del recente capitolo generale con tutto il cuore e con tutta l’anima e con tutta la mente del sì di Dio alla creazione…; della sua totale solidarietà con tutti mediante la nascita, la morte e risurrezione del Signore; del suo pieno sì a tutte le creature perché vivano nella pace e nella giustizia».

Chi è chiamato a “formare” deve accogliere tale consegna all’ottimismo della fede dinanzi alla storia di cambiamento che ci sfida, «un ottimismo non ingenuo o a basso prezzo, perché la lettura della storia propria della fede cristiana è sempre drammatica, secondo la paradossalità drammatica della vicenda di Gesù di Nazaret… Un ottimismo che si lascia muovere dallo Spirito del Signore e dalla sua santa operazione, perché è questa a permetterci una lettura dei segni dei tempi che non sia pura indagine statistica o passiva rassegna senza speranza di quanto cambia sotto i nostri occhi, quanta capacità sempre nuova nell’intelligenza della fede di riconoscere nella storia il nuovo che avanza, che già geme nelle doglie del parto».

La lettura e interpretazione dei segni dei tempi è già in se stessa una prima provocazione all’opera dei formatori. Per questo nel suo intervento p. Carballo ha posto alcuni interrogativi ai responsabili della formazione dei frati minori: «La lettura sapienziale del nostro tempo ci sfida e misura la nostra fede: dove ci trova? La formazione permanente può essere riletta come educazione continua a stare nella storia e a fare in essa il discernimento spirituale del piano di amore che Dio vuole e realizza? La formazione iniziale nelle sue diverse tappe tiene sufficiente conto di questa dimensione? Gli studi ci dispongono a essere interpreti attenti e sapienti del nostro tempo e a cercare insieme agli uomini di buona volontà vie nuove per costruire l’umanità nuova?».

 

PROVOCAZIONI

DEL POST-MODERNO

 

La lettura dei segni dei tempi mostra come oggi la vita religiosa “soffra” di alcune provocazioni del mondo contemporaneo. Il p. Carballo ne ha messo in evidenza tre: la provocazione del pluralismo, il cambiamento come categoria assoluta e il carattere estetico del post-moderno e la relativizzazione della ragione scientifica.

La prima e importante provocazione è quella del “pluralismo”.

«Viviamo – ha affermato – una forma di vita che assume come unità di misura la totalità e che si fonda sulle esigenze radicali del Vangelo. Si pone in uno spazio di alterità e di diversità, che può annunciare la differenza del Vangelo, ma che potrebbe anche apparire come una stranezza, un residuo del passato. Con questa dimensione – quella del pluralismo – la vita religiosa è posta oggi radicalmente dinanzi alla rinuncia alla visione unitaria della realtà, che è l’aspetto pluralistico del postmoderno». Questo nostro tempo «comporta un’opzione fondamentale a favore del pluralismo. Preme una pluralità che neghi ogni pretesa di esclusività».

La risposta a questa provocazione non va cercata tanto nel fondamentalismo o nel relativismo, nemmeno nel rigorismo o nel lassismo ma nella ricerca di una via capace di «operare una mediazione tra il senso dell’identità e l’apertura al dialogo. Siamo provocati a porre sempre di nuovo la questione della nostra identità, a non darla per scontata solo perché chiarita nei nostri documenti. Essa richiede la fecondità e la novità incessante della vita per non fissarsi in formule e stili, magari rinnovati, ma sempre in pericolo di diventare ripetitivi. La vita, e la vita secondo lo Spirito ancor più, non sopporta ripetizioni, prive di cammino proiettato in avanti. Veramente la condizione di pluralismo del post-moderno ci provoca a coltivare e ad alimentare una spiritualità da esodo, una identità in esodo. Non solo al nostro interno, ma anzitutto nel dialogo con il mondo».

Per questo è importante nella formazione – ha ricordato p. Carballo – «coltivare esperienze di dialogo interculturale e interreligioso: ormai ciò è possibile ovunque! Una capacità di dialogo, sia ben chiaro, non strategica, ma coltivata come dono e compito che viene da una sapiente lettura dei segni dei tempi! Una capacità di dialogo che diventa luogo fecondo nel quale ri-dire continuamente nell’oggi la nostra identità di uomini, di cristiani e di frati minori. Formare a questa duttilità all’incontro e al dialogo, alla disponibilità a ricevere sempre nuova la nostra identità profonda, mi sembra una provocazione essenziale per noi formatori, per alimentare personalità stabili proprio perché capaci di apertura al nuovo».

La seconda provocazione viene dal fare del cambiamento una categoria assoluta e che tocca ogni aspetto del nostro tempo. Si tratta – ha proseguito p. Carballo – «di un elemento diventato strutturale del farsi della realtà… Una conseguenza immediata di questo cambiamento vorticoso è il crollo, pare definitivo, delle ideologie, la rottura dell’universalità del sapere sotto il segno del disincanto del mondo e dell’emancipazione anzitutto dal passato. La crisi della cultura occidentale porta al dialogo tra le culture, acuisce la sensibilità e la tolleranza rispetto alle differenze, ma non riesce più a proporre una misura comune, non arbitraria né basata sull’accordo, di fronte a cui confrontarsi nel dialogo. Rimane aperta la porta a ogni visione parziale. Si dialoga, si apprezza la diversità dell’altro, ma poi ognuno ritorna con sottile malinconia nel suo piccolo mondo».

Il cambiamento vorticoso provoca la vita religiosa a «riconoscere il valore della novità: non la novità a tutti i costi, ma quella che lo Spirito apre fra noi, in modi inaspettati. Mi sembra che questo cammino ci chieda anche un’istanza di semplificazione e di chiarificazione, nel senso di un ritorno all’essenziale evangelico della nostra vita e di superamento di ogni forma di arroganza nei confronti dei cristiani comuni. La vita religiosa ha bisogno di ri-centrarsi sull’essenziale per ritrovare la sua capacità di profezia. Il segno del cambiamento ci deve anche persuadere che un tale processo non sarà indolore e neanche realizzabile in tempi brevi».

La terza provocazione è stata indicata da p. Carballo nel carattere estetico del post-moderno con la sua relativizzazione della ragione scientifica.

La società contemporanea, post-moderna, può essere definita come «una società fatta di impressioni».

Per questo ci troviamo di fronte a una religiosità caratterizzata da “eclettismo”. In positivo mostra una «rinnovata esigenza mistica fondamentale, da prendere più sul serio nella nostra pastorale. Certo – ha sottolineato il ministro generale – siamo consapevoli che si tratta di una religiosità che fluttua liberamente, rifuggendo strutture istituzionali. Essa prende qualcosa da diverse religioni, nella misura della felicità che se ne attende e dell’aiuto per la vita che se ne spera. Si tratta tutto sommato di una religione ampiamente senza Dio».

 

DUE CONSEGUENZE

PER I RELIGIOSI

 

Posta di fronte a tali sfide come religiosi siamo chiamati, secondo p. Carballo, a «riflettere sul nostro volto di credenti e di consacrati la bellezza di una vita nella quale il Vangelo e la professione dei consigli evangelici permettono all’umano di fiorire in pienezza e di diventare fecondo. A ciascuno di noi e alle nostre fraternità è chiesto che “vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,16). Ma noi sappiamo che questa visione sarà possibile solo se la luce della nostra vita sarà luce autentica. La bellezza viene dall’autenticità del vero, del buono e del bello che convergono in una sintesi inaudita e creativa. Questa bellezza per esprimersi chiede l’ascesi di purificarci da ogni cedimento all’apparire, alla scenografia, al “fare audience” a tutti i costi. A quale bellezza siamo formati e formiamo?».

La seconda conseguenza si pone quindi a livello di “interiorità”. «Una tale impegnativa ascesi chiede che l’interiorità sia più coltivata. La dimensione poetica e mistica della vita e della fede ci chiedono un di più di verifica e di sincero investimento, perché le nostre vite di uomini, credenti e frati minori siano piene. Una conseguenza mi sembra la rinuncia all’efficienza a oltranza e il primato dell’essere per gli altri. Un’autentica interiorità viene educata anche attraverso la rinuncia all’idolatria del denaro e della cupidigia, a cui opporre una contestazione visibile. Il ritorno alla Scrittura e alla tradizione spirituale più genuina alimentano una tale rivitalizzazione. È questo il tesoro da custodire gelosamente. Le parole del Signore sono spirito e vita. Senza una loro frequentazione quotidiana, personale e comunitaria, sarà difficile perseverare in umile obbedienza in tale via».

 

O. C