DIALOGO CON I
LETTORI
CHI E QUALE
PROVINCIALE?
Prossimamente
nella provincia religiosa del mio istituto ci sarà il capitolo e,
successivamente, l’elezione del nuovo superiore provinciale. La conversazione che
ormai anima i pranzi e le cene, in quest’ultimo periodo, è chi sarà il prossimo
provinciale.
C’è chi lo
vuole giovane, chi non troppo anziano; chi lo vorrebbe dal mondo degli studi,
chi uno che ha fatto la gavetta nella pastorale o che provenga da un’esperienza
in terra di missione. Ma c’è anche chi, in maniera sottile, si propone… con
programmi e decisioni operative. Insomma, un vero “frate mercato”.
Anch’io ho
provato a tratteggiare l’identikit di come vorrei il mio prossimo superiore
provinciale. Non lo invidio certamente in questo nuovo compito che egli si
trova ad affrontare tra difficoltà e problemi di ogni genere. Per questo, prima
di tutto, egli si senta accolto e incoraggiato nel segno della fede dei suoi
confratelli, con il preciso servizio che gli viene affidato di “ascoltare,
aiutare, sostenere, reggere e coordinare a imitazione di Cristo”. La sua è una
“autorità” a servizio. Vero servo come lo definisce Cristo.
Per questo,
nell’incontro individuale con ogni confratello abbia ad ascoltare e capire le
esigenze delle singole persone. Dovrebbe essere anzitutto uno che crede al
dialogo franco e rispettoso e lo pratichi coraggiosamente. Che non giudichi per
sentito dire. Non sia troppo sicuro di se stesso nel classificare i confratelli
in serie A B C… e non giunga a fare terra bruciata attorno ai presunti ribelli.
Uno che sia sincero, umile, semplice nel linguaggio e nelle relazioni, chiaro e
coraggioso. Che non faccia gli avvicendamenti nelle varie comunità “per
telefono”. Che i suoi consiglieri che lo affiancano nel loro servizio siano
saggi e prudenti. Che tutto quanto viene discusso nel consiglio non venga poi
spiattellato di qua e di là con premesse, aggiunte e corollari vari. Questo non
favorisce la fiducia e la stima reciproca. Anzi provoca sofferenza, sfiducia e
isolamento.
Un superiore
prudente è sempre una persona sulla quale si può contare; e se puoi contare,
vivi nella fedeltà e nella serenità. Uno che ami stare con i suoi confratelli,
che visiti quei malati, che incoraggi quelli che, nella fedeltà al ministero,
pur tra fatiche e incomprensioni, sanno profondere il bene. Uno che sia immune
dalla mania dell’etichetta, che non si coltivi schiere di cortigiani. Uno che
non perda tempo a fare conferenze in Italia e all’estero, ma caso mai prenda in
mano la penna per rispondere ai suoi confratelli, specie se gli chiedono aiuto.
Che scriva alla comunità e non solo per richiamare a preparare i bilanci
economici preventivi e consuntivi.
Per concludere
un superiore che si faccia amare e non ammirare, rimpiangere e non temere. Un
confratello che sia fratello sul serio. Padre, più che padrone. Ma questo è un
sogno?
Padre Fabio
Sono stati tanti
coloro che in questi ultimi anni hanno cercato di tracciare un identikit della
figura dell’auspicato nuovo superiore provinciale, col rischio anche di
caricarlo di una quantità tale di elementi da scoraggiare qualsiasi eventuale
candidato, qualora oggi ce ne sia qualcuno.
Comunque non è
certamente difficile essere d’accordo col suo tentativo. La figura che lei delinea
coglie infatti degli aspetti essenziali per un vero servizio fraterno
dell’autorità e tutti vorrebbero vederli presenti nel loro provinciale. Inoltre
corrisponde, per riflesso, anche all’esigenza, che tutti sentiamo, di costruire
quell’ideale di comunità/comunione così bene descritto nei nostri documenti,
ecclesiali e interni ai nostri istituti, e da cui ci sentiamo sempre
(infinitamente) lontani. Il provinciale, come prima dote, deve essere senza
dubbio una persona capace di amare i suoi confratelli, a imitazione di Gesù
buon pastore, ed essere in mezzo ad essi strumento di unione e di comunione; un
portatore di gioia e di speranza, un promotore di rapporti fraterni e di
consenso.
Mi sembra
tuttavia che, per un identikit più completo, si debba tenere presente anche un
altro livello di qualità, al di là dell’attenzione premurosa e amorevole che
egli deve avere verso i singoli confratelli; un livello che è parte integrante
e fondamentale del suo servizio. In un momento di passaggio – o di
“rifondazione” come si dice – come quello che la vita consacrata sta
attraversando, egli deve essere anche e soprattutto un uomo capace di ascoltare
lo Spirito che parla attraverso i segni dei tempi, i luoghi, le persone, la
realtà storica del mondo e della Chiesa, in cui viviamo; una persona quindi
capace di discernimento, per poter poi muoversi e decidere in maniera creativa
e con lo sguardo rivolto al futuro.
Deve saper
gestire la transizione e identificare le priorità da privilegiare nella guida
della provincia. Non deve, come ebbe ad affermare tempo fa p. Liberti, ex
superiore provinciale dei gesuiti durante l’assemblea generale della CISM che
si è tenuta a Bussolengo (VR) dal 5 al 9 novembre 2001, limitarsi a “gestire il
traffico”, ossia l’esistente. Due sono i rischi o tentazioni da cui deve
guardarsi, entrambi esiziali: il primo è di lasciarsi spaventare dai
cambiamenti e dalle novità e rimanere troppo a lungo sulla riva a studiare il
corso della corrente, senza mai infilare il piede nell’acqua; il secondo è di
lanciarsi nell’acqua a cuor leggero, senza preoccuparsi di osservare dove si
trovano le pietre, finendo travolti dalla corrente.
Per questa
ragione il suo ruolo è di «innescare i processi di discernimento (dove è
necessario), favorirli (dove sono già in atto) e vigilare affinché il metodo
seguito per condurli a termine sia conforme con il carisma della congregazione,
declinato nell’oggi della Chiesa e del mondo… In fin dei conti si tratta di
vigilare affinché ci siano tutte le condizioni per poter affermare che la
decisione presa sia veramente quella che Dio richiede alla provincia, alla casa
o all’opera in queste circostanze storiche. E alla fine sanzionare questo
fatto, recependo il risultato del discernimento e riproponendolo ufficialmente
con la sua parola autorevole».
Si tratta, come
vede, di un compito carico di responsabilità che uno può portare solo se può
fare affidamento su confratelli altrettanto responsabili, gioiosi di vivere il
loro carisma, obbedienti ed entusiasti della loro vocazione. Per questa
ragione, oltre all’identikit del provinciale, bisognerebbe forse tracciare
anche quello dei religiosi che il provinciale, assumendo l’incarico, vorrebbe
trovare, e delle comunità che è chiamato a servire. Probabilmente sarebbe un
utile confronto per mettere in questione anche se stessi e non sognare, come è
stato detto da qualcuno, un “superiore virtuale”, fuori dalla realtà. Col
rischio di rimanere poi delusi. (A.D.)