UN FENOMENO IN
ESPANSIONE
LAICI ASSOCIATI
Cresce il
numero dei laici desiderosi di condividere con gli istituti religiosi la
spiritualità, il carisma e la missione. È indubbiamente un frutto dello
Spirito. Ma è un fenomeno che esige chiarezza e regole, anche per evitare
possibili tensioni.
I monasteri e le
comunità religiose in tutti i tempi sono sempre stati dei centri in cui i laici
cristiani hanno cercato e trovato orientamento e ispirazione per la loro
spiritualità. Nel corso della storia i movimenti laicali, sorti nell’ambito dei
monasteri e delle comunità monastiche, hanno sempre arricchito la vita della
Chiesa e delle comunità religiose con un benefico influsso reciproco. A partire
dall’istituzione degli oblati della tradizione monastica, fino al terz’ordine
dei mendicanti e ai gruppi di amici e associazioni missionarie delle
congregazioni internazionali, cristiani di ogni epoca hanno trovato un loro
modo caratteristico di partecipare alla spiritualità e alla missione delle
comunità religiose.
Oggi sul piano
mondiale in molte comunità si nota un rinnovato forte interesse da parte dei
laici a partecipare al carisma specifico degli istituti e a quello dei loro
fondatori. In questo campo si stanno facendo molti esperimenti nella ricerca di
forme sostenibili, ma a mano a mano che il fenomeno cresce, si sente il bisogno
di una maggiore chiarezza, sia perché mancano strutture adeguate sia perché non
esiste ancora un vero e proprio regolamento giuridico.
Di questo
problema si è parlato qualche tempo fa in un seminario di studio promosso
dall’Unione dei superiori maggiori della Germania, dedicato ai Laici associati
per cercare, come è stato detto, di mettere un po’ di ordine in un fenomeno non
ancora sufficientemente definito. Ad avvertirne l’esigenza sono, da una parte,
i superiori religiosi e gli istituti e, dall’altra, gli stessi i laici che
chiedono di associarsi. Allo stato attuale delle cose si avverte infatti la
necessità di definire meglio i rispettivi diritti e doveri sia per un migliore
coordinamento, sia anche, e non da ultimo, per evitare possibili tensioni.
Ad affrontare la
problematica nel seminario di studio è stato p. Martin Wolf, omi . Nella sua
relazione, egli ha anzitutto cercato di individuare le motivazioni che inducono
alcuni laici a chiedere di associarsi a un istituto religioso. Da una
rilevazione da lui stesso effettuata fra 59 istituti è emerso che le ragioni di
fondo sono generalmente di triplice natura e si possono riassumere in tre parole/espressioni chiave: spiritualità, desiderio di appartenenza e apostolato
(missione).
LE PRINCIPALI
MOTIVAZIONI
Sono numerosi
anzitutto coloro che identificano nella ricerca di una spiritualità l’elemento
essenziale del loro desiderio di associarsi. Si tratta di persone che cercano
dei valori e degli ideali che diano un significato più profondo alla loro vita
e alla loro visione del mondo e che trovano nella spiritualità degli istituti
religiosi delle risposte soddisfacenti. A giocare un ruolo di primaria
importanza è il carisma specifico dell’istituto; esso costituisce anche
l’elemento basilare che determina il vincolo che si vuole stabilire.
La seconda
ragione riguarda il desiderio di appartenenza: si riscontra in persone
desiderose di affrontare le sfide del futuro assieme a dei fratelli parimenti
intenzionati che condividono gli stessi valori e la medesima visione del mondo.
Questo genere di appartenenza si esprime in modi diversi: alcuni desiderano
giungere a una vera e propria collaborazione; altri arrivano fino a chiedere di
vivere, pregare e di stare insieme per un certo tempo; cercano quindi un legame
più stretto, da cui deriva poi anche la disponibilità ad assumere impegni
concreti. Queste richieste per gli istituti sono un dono poiché li aiuta a
riscoprire i tesori della propria spiritualità, prima forse rimasta un po’ in
ombra.
La terza
motivazione riguarda l’apostolato: per molti è il criterio decisivo della loro
richiesta, per giungere a dare una risposta concreta ai bisogni dell’uomo
d’oggi. Si tratta, ha sottolineato p. Martin, di un criterio da non
sottovalutare.
Non è detto che
queste tre motivazioni siano rigorosamente distinte tra loro. Ma ciò che è
fondamentale per il futuro delle associazioni dei laici, ha sottolineato il
padre, è di verificare bene le motivazioni di ogni singolo candidato, poiché,
nel dubbio, è meglio rifiutarne la richiesta. Da parte loro, anche le comunità
religiose devono aver chiaro lo scopo che si prefiggono con queste
associazioni. Esiste infatti il pericolo, come insegna l’esperienza, che a chiedere
di associarsi siano delle persone psichicamente labili o malate. Ora, pur
accettando che all’interno delle istituzioni religiose vi possano essere anche
delle personalità labili, ciò non deve avvenire quando si tratta di
un’associazione di laici. Queste associazioni infatti non devono essere
concepite come gruppi terapeutici. Per questo, rileva ancora il padre, sarà di
grande aiuto avere dei criteri oggettivi e comprovati per accettare o rifiutare
una persona.
Altrettanto
decisivo è verificare le ragioni che inducono una comunità/istituto ad
accogliere i laici. Secondo il padre, ci vuole molta chiarezza a questo
riguardo ed è necessaria prima una seria riflessione. In effetti le intenzioni
non sempre sono rette. Per esempio, quando si accolgono laici come forze di
supplenza per far fronte alle esigenze dovute all’invecchiamento dei membri o
alla mancanza di vocazioni. I laici, in questo caso, sarebbero accolti come dei
“tappabuchi”.
Vi sono tuttavia
anche molti istituti che desiderano sinceramente di associare i laici alle loro
finalità e alla loro spiritualità. Ma nella maggior parte dei casi non si va
oltre al rapporto giuridico del lavoro, anche se diverse comunità, soprattutto
quelle impegnate nel campo caritativo, stanno cercando di superare questo livello.
Diverso è il caso
di istituti ormai piccoli che, non essendo più in grado di continuare le loro
opere, affidano ai laici il compito di portarle avanti. In questi casi,
sottolinea sempre p. Martin, è importante che gli istituti interessati accompagnino
queste iniziative con il dialogo e la riflessione critica. Ancora una volta
bisognerebbe disporre di norme scritte e approvate dall’autorità competente
dell’istituto (es. superiore provinciale col suo consiglio), a cui far
riferimento.
POSSIBILI
TENSIONI
Occorre fare
molta attenzione, ha sottolineato p. Martin, al grado di associazione a cui si
vuole giungere. Se l’identificazione tra laici e religiosi è molto stretta,
possono nascere nelle comunità religiose delle tensioni, quando soprattutto i
membri hanno l’impressione che i laici vadano oltre i loro limiti e le loro
competenze. Un pericolo reale è di mischiare vita consacrata e vita secolare.
Anche qui bisogna
essere estremamente chiari. Il primo principio da tenere presente è che
l’istituto rimane il custode del proprio carisma specifico anche se viene
condiviso dai laici. Di conseguenza il regolamento delle competenze deve essere
formulato con molta chiarezza. Diverso infatti è lo stato di chi ha emesso i
voti e di chi invece rimane laico; perciò diversi devono essere anche i diritti
e i doveri. Spetta comunque all’istituto custodire con fedeltà il proprio
carisma e salvaguardarlo da ogni falsificazione. Solo così i tesori del
patrimonio spirituale e carismatico dell’istituto potranno poi essere resi
accessibili anche ai laici.
Di qui deriva la
necessità di promuovere una seria opera di formazione dei laici. Esistono già
degli istituti che prima di ammettere degli associati hanno istituito una
specie di noviziato per i laici per trasmettere loro gli elementi essenziali
della formazione. Alcuni istituti hanno anche formalizzato questa esigenza
nella richiesta di accettazione.
Altrettanto
importante è la continuazione della formazione. Un elemento centrale, a questo
riguardo, secondo p. Martin, è l’accompagnamento degli associati da parte di un
membro dell’istituto. Ciò contribuisce a dare ad essi una profondità spirituale
che non potrebbe essere raggiunta altrimenti.
Altri strumenti
di formazione possono essere le conferenze spirituali, la partecipazione agli
esercizi provinciali, gli incontri di formazione permanente. Meglio se questi
programmi formativi sono formulati per iscritto e approvati dalle competenti
autorità dell’istituto.
IMPORTANTI
ORIENTAMENTI
Nella formazione
dei laici associati, ha proseguito p. Martin, c’è un altro punto fondamentale
da tenere presente: da una parte bisogna fare attenzione affinché queste nuove
forme di adesione non indeboliscano o rendano evanescente l’identità
dell’istituto; dall’altra, che i laici conservino il loro carattere laicale.
Sorgono allora degli interrogativi: quale influsso (e in quale misura)
un’associazione laicale può esercitare sull’istituto religioso? Sotto quale
forma è possibile un dialogo di partecipazione da parte dei laici associati
nell’istituto religioso; chi è l’autorità competente, da parte dell’istituto,
dei laici associati e come può esprimersi una conveniente autodeterminazione
dei laici (mediante strutture proprie)?
Due sono secondo
p. Martin, i postulati da considerare: quello dell’autonomia e quello
dell’appartenenza.
Per quanto
riguarda l’autonomia: oggi si insiste dappertutto sulla necessità che i laici
conservino il loro carattere laicale. In nessuna maniera essi devono essere
considerati dei quasi-religiosi. Occorre quindi fare attenzione a non
clericalizzarli. Sono e rimangono dei laici desiderosi di partecipare in quanto
tali al carisma di una comunità religiosa. Bisognerà trovare delle forme per
vivere il carisma che siano conformi alle esigenze della vita laicale. Questo
processo di trasformazione, rileva p. Martin, è una necessità fondamentale.
All’autonomia dei
laici deve corrispondere l’autonomia dell’istituto. Ambedue le compagini hanno uno
loro proprio stato, un loro processo decisionale, e loro proprie strutture
direttive. Non di rado, col pretesto di un rispetto falsamente inteso, si
giunge a degli sviluppi errati che poi è difficile rivedere, quando ormai sono
stati riconosciuti agli associati diritti che in realtà sono riservati
all’istituto. Chi non definisce in maniera chiara e inequivocabile il modo di
procedere, finisce con l’essere travolto dalla forza dei fatti.
La chiarezza è importante
anche per la definizione degli aspetti economici di questo genere di
associazione. Si tratta di un aspetto che potrebbe diventare fonte di tensioni
e di discussioni. Su questa materia più che mai è fondamentale che ci siano
delle norme ben precise che abbiano validità anche davanti allo stato. In molti
casi, sottolinea p. Martin, un regolarmente scritto è la modalità più
appropriata per definire i reciproci rapporti.
Le forme di
aggregazione possibili sono comunque diverse: si può aggregarsi con una
promessa, oppure mediante voti privati o ancora attraverso una specie di
contratto. In tutti i casi, il principio che deve valere è il seguente: più
stretti sono i vincoli con un istituto, più precisa deve essere la forma
giuridica che li regola. I laici, comunque, sottolinea il padre, non devono
essere ritenuti membri dell’istituto religioso. Questo principio deve essere
salvaguardato, a beneficio dell’autonomia delle due realtà.
A parte la
complessità dei problemi, conclude p. Martin, «il fenomeno della partecipazione
dei laici agli istituti religiosi costituisce una chance per il rinnovamento
sia degli istituti, sia della vita dei laici. Il diritto canonico è garante
dell’identità delle due forme di vita ed è strumento di ordine del carisma
vissuto. Esso offre sufficiente flessibilità per accogliere le nuove forme che
stanno sorgendo e anche una grande libertà in ordine al loro sviluppo, sapendo
che lo Spirito soffia dove vuole».
A.D.
1Assoziierte Laien, in Ordens Korrespondenz, 2003 n. 4, pp 387-401.