VII CENTENARIO
DELL’OSM
L’ORGOGLIODI UN
CARISMA
Tema
costantemente ribadito anche nei testi ufficiali dell’Ordine dei Servi di Maria
è quello della fierezza del carisma proprio. Una lettera del priore generale lo
riprende in occasione del settimo centenario della loro approvazione
pontificia.
Un Ordine vivo
dopo 700 anni: questo il tema sul quale il priore generale dei Servi di Maria,
fra Angel M. Ruiz Garnica OSM, offre ai religiosi e alle religiose dell’ordine
una riflessione non tanto celebrativa di un centenario illustre quanto
esortativa a rileggere nella storia, che è loro ed è della Chiesa, il
significato della fierezza con cui il dono dello Spirito è stato da essi
onorato lungo i tempi e dovrà continuare a essere onorato.
Ma prima di
addentrarci nel testo della lettera di fra R. Garnica, diamo un rapido sguardo
al lontano fatto storico sul quale la celebrazione si fonda.
Correva infatti
l’anno 1304, quando l’allora pontefice Benedetto XI indirizzava all’ordine dei
Servi di Maria un documento importantissimo, da loro lungamente atteso, la
lettera apostolica Dum levamus. Come per altri ordini che sorgevano in
quell’epoca, anche l’OSM aveva attraversato varie vicende in merito alla
necessità di contare su un giusto riconoscimento del proprio carisma specifico
e sull’approvazione definitiva del relativo status giuridico da parte della
Chiesa; la quale, del resto, ne avallava informalmente l’esistenza, le modalità
e lo stile di vita consacrata.
E ora l’attuale
priore generale unisce alla propria lettera il documento di Benedetto XI
accompagnato da un testo – redatto dal prof. Franco A. Dal Pino, docente di
storia del cristianesimo nell’Università di Padova – il quale ne sottolinea le
fasi di maggiore importanza e le commenta sinteticamente ma con tutta la
chiarezza possibile a una storia lunga e complicata: lunga perché l’ordine
viveva lodevolmente da 70 anni, entro i quali 55 anni decorrevano «dalla presa
in considerazione, il 13 marzo 1249, dell’incipiente comunità dei frati detti
Servi di santa Maria»; e complicata da “pareri” emessi da varie autorità
ecclesiastiche su problemi interni di carattere canonico, pareri che «avevano
avuto come effetto di tenere in sospeso la situazione dell’ordine fino al
pronunciamento in proposito della Sede apostolica».
SUL FILO
DELLA STORIA
In data 11
febbraio 1304, il papa Benedetto XI dichiarava nella citata lettera Dum
levamus: «Voi che professate e osservate la regola di sant’Agostino approvata
dalla Sede apostolica, per il devoto affetto che portate alla beata Maria
vergine gloriosa avete preso nome da lei, umilmente chiamandovi servi della
stessa Vergine, e inoltre avete finora lodevolmente osservato e continuate a
osservare la detta regola di sant’Agostino, secondo pie e oneste istituzioni
delle vostre costituzioni edite in onore della Vergine stessa. Ora noi, che ben
volentieri nutriamo la migliore devozione possibile verso la stessa Vergine
Signora nostra, non volendo che qualcuno possa denigrare voi e la vostra regola
come se essa non avesse la piena convalida della protezione apostolica, a
rimuovere dall’animo di chiunque ogni esitazione intorno a queste cose, mossi
dalle vostre suppliche, con autorità apostolica espressamente confermiamo,
approviamo e convalidiamo con il presente scritto la regola e le predette sue
istituzioni, e ve la concediamo stabilendo che in tutti i tempi essa debba
essere da voi immancabilmente osservata».
Risalta subito
alla lettura che il documento pontificio parla dei Servi di santa Maria come
osservanti la «regola di sant’Agostino», e il prof. Dal Pino ne spiega il
perché risalendo ancora più indietro nel tempo, all’epoca in cui per decreto
del concilio Lateranense IV(1215) le nuove “religioni” ovvero i nuovi ordini
religiosi dovevano dotarsi di regole già approvate dall’autorità ecclesiastica:
così che per ottemperare a tale norma l’OSM aveva adottato quella di
sant’Agostino, la cui antica e qualificata autorevolezza era garanzia sicura
non solo di legittimità giuridica ma anche di traccia spirituale alla santità
“religiosa”.
NELLA FIEREZZA
DEL CARISMA
Ma è degno di
rilievo, nello stesso tempo, il fatto che la Dum levamus faccia riferimento
esplicito, e come indissolubile dal motivo della regola di sant’Agostino, al
proprium dell’OSM, che non sembrava pregiudicare – commenta ancora Dal Pino –
la loro legittimità: il «chiamarsi umilmente, per l’affetto di devozione alla
beata Maria vergine gloriosa, servi della stessa», venerata «secondo pie e
oneste istituzioni delle costituzioni» proprie: il carisma presente fin dalle
origini con i sette santi Fondatori quale principale elemento identificante e
qualificante l’ordine.
«Un tema costante
ed espressamente ribadito nei nostri testi fondamentali, storici e liturgici, è
certamente quello della constatazione e della convinzione che il nostro
patrimonio è di altissimo valore e attualità», scrive il priore generale; e
l’ordine è vivo, dopo 700 anni e più di una fedeltà che non è garantita
esclusivamente da un documento, sia pure di così grande importanza per il fatto
che è la Chiesa, come ribadito anche dal concilio Vaticano II, a dover
riconoscere i carismi come donati dallo Spirito, ma da quella fede e da quella
speranza nelle quali fra Ruiz Garnica intende situare le riflessioni della sua
lettera.
E aggiunge che
personalmente non ha mai avuto dubbi: «Il carisma della famiglia dei Servi di
Maria, che nasce con i nostri “primi fratelli-padri”, è una perla preziosa.
(...) La nostra identità è qualcosa di più di un’idea astratta che si prolunga
attraverso i secoli. La nostra identità è un modo di essere, di vivere, di amare,
di piangere, di lottare, di credere, di sperare, di condividere, di benedire.
La nostra identità è vita, e possiamo essere orgogliosi del nostro carisma
soltanto quando siamo “generatori” e portatori di vita».
È una
testimonianza forte, quella che tale dono di vita esige, per cui il priore si
domanda e domanda: «Noi che abbiamo ricevuto questo tesoro, che cosa
facciamo?». Di fronte alla tentazione di un infondato timore del rischio,
dell’indifferenza, della passività, di una «codarda umiltà» o di «riparare
nella comodità della nostra “casa dolce casa”», il priore esorta: «Il ricordo
del settimo centenario di approvazione definitiva del nostro ordine da parte di
Benedetto XI deve spingerci a riflettere sul felice periodo delle nostre
origini, un periodo meraviglioso per la nostra famiglia. Penso ai primi
“fratelli”, alla loro docilità alla voce dello Spirito che li conduce lungo
percorsi inattesi; mi sovviene del loro tenero e robusto amore verso la Madre
del Signore, che scelsero come compagna e guida nella ricerca di Dio e
nell’incontro con i fratelli. Non possiamo non pensare al loro itinerario
formativo nella solitudine di Monte Senario, in quel morire a se stessi che li
fece rinascere come uomini spirituali dediti interamente a Dio e alla Chiesa. Penso
al loro “salire e scendere” dal Monte come testimoni coerenti delle “cose che
stanno sopra”, autentici narratori del Vangelo della pace e della misericordia.
Penso all’amicizia che li univa e alla loro grande unità, che è molto di più di
una sterile uniformità. Vivendo unanimi e concordi, sempre orientati verso Dio,
hanno realizzato un sogno raro nella Chiesa: essere una intera comunità di
santi».
PER RIVIVERE
QUEL SOGNO
In tutto questo,
riflette il priore generale, sta oggi forse la sfida da raccogliere, nella
certezza che «il dono della nostra vocazione è un mistero, e questo mistero si
fa significativo soltanto quanto obbedisce alla chiamata a essere portatori di
vita, nella società e nella Chiesa, in tutte le sue manifestazioni».
E dopo avere
ricordato alcune figure rappresentative di tale obbedienza alla chiamata – san
Filippo Benizi, il “salvatore dell’ordine”, Pellegrino, Gioacchino e Francesco
da Siena, Bonaventura da Pistoia, Ubaldo di Borgo Sansepolcro, Giacomo de Villa
di cui si sta per celebrare il settimo centenario della morte per aver difeso i
poveri, santa Giuliana e altri – conclude così questa parte della lettera:
«Muovendo da queste nostre origini, tra le risposte alla domanda di segni
possibili di vitalità che un carisma antico può vantare in un mondo moderno (la
domanda è mia ed è per la nostra famiglia OSM) si potrebbero sottolineare le
seguenti: la solidarietà intesa come semplicità di vita e attenzione al mondo
che ci circonda; il desiderio sincero di riqualificare la vita comunitaria
(fraternità e amicizia); la fedeltà nei confronti della ricerca di Dio, della
sua Parola, della preghiera e del silenzio; l’impegno verso i meno abbienti,
verso gli sfruttati, nei confronti della giustizia e della pace; il lavoro
condotto insieme ai laici; il mondo della cultura, dello studio, della
ricerca...».
È un discorso,
come si può vedere, di qualità della vita consacrata secondo un carisma preciso
reso presente nelle persone che sono state chiamate a viverlo e che insieme
danno colore autentico e splendido alla qualità della vita fraterna vissuta
dalle comunità. «Il futuro della nostra famiglia – scrive il priore generale –
è nelle comunità, perché sono esse che trasmettono il carisma, che sono la
proiezione del nostro stile di vita, che presentano la nostra famiglia, che
testimoniano chi siamo e che cosa facciamo». E ancora, in concreto: «Le nostre
comunità devono essere più povere, più solidali, meno arroganti, più vicine al
popolo, meglio inserite, meglio formate, più fedeli, più coerenti, più radicali
partendo dal Vangelo, più profetiche e attente ai segni dei tempi, più
ecumeniche e più collegiali. Le prime comunità dei nostri primi fratelli-padri
attraevano nuove vocazioni per l’autenticità della loro testimonianza di
santità e per la qualità della loro vita di preghiera e di servizio. Una vera
sfida per tutti noi che vogliamo continuare a tener vivo questo carisma di
fraternità e di famiglia».
È il rischio
dell’avventura, ripete il priore, perché il Vangelo stesso è un’avventura: «Ho
paura delle comunità sistemate, delle comunità falsamente rassegnate. C’è una
rassegnazione evangelica che è giusta e necessaria, ma c’è anche una
rassegnazione umana che è codardia e prodotto della nostra società del
benessere e del consumismo».
In tale avventura
fra Angel Maria rilancia le comunità, forti anche delle tante testimonianze di
vita, nell’OSM, «di uomini e donne che hanno saputo correre il rischio
dell’avventura e che oggi ci ricordano l’importanza di saper dire sì, al
Signore e ai fratelli, alla vita e agli avvenimenti della storia, assumendo
progetti di fede che ci permettano di costruire un futuro con vita, un domani
gioioso che faccia vedere ancora la freschezza del vangelo, il Cristo
eternamente giovane».
Zelia Pani