CONSIGLI GENERALI E PROVINCIALI A CONVEGNO

FEDELTÀ CREATIVA NEI CAMBIAMENTI IN ATTO

 

A che punto sono i cambiamenti in atto negli istituti religiosi femminili? Un rinnovamento fra strategie di conservazione e fedeltà creativa. Una motivata alternativa a certe affrettate celebrazioni eucaristiche quotidiane nelle comunità religiose.

 

Un po’ ovunque ci si sta, da tempo, interrogando seriamente sui cambiamenti in atto nella vita consacrata. In un convegno organizzato a Roma, dalle suore Dorotee, di Cemmo, presso la Comunità di preghiera “Mater Ecclesiae”, dal 9 al 14 febbraio scorso, aperto ai membri dei consigli generali e provinciali, si sono sentite in proposito esperienze, valutazioni e prospettive.1 Il filo conduttore di tutto il convegno doveva essere quello della fedeltà creativa. Quante volte, però, è stato osservato proprio durante i lavori, ci si ferma al sostantivo (fedeltà) e si trascura bellamente l’aggettivo (creativa). Se un termine come quello di rifondazione della vita consacrata, in questo convegno, non ha raccolto molti consensi, c’era più di una ragione. Intanto è un termine soggetto alle più disparate interpretazioni. Può dire tutto ma anche il contrario di tutto. Inoltre, non è un caso se lo si usa soprattutto a proposito di vita consacrata maschile.

Nel convegno delle suore di Cemmo, i partecipanti erano prevalentemente religiose. E questo la dice lunga sulla eccessiva disinvoltura con cui spesso si pongono sullo stesso piano i problemi della vita consacrata maschile con quelli della vita consacrata femminile. Facciamo ancora troppa fatica a comprendere che i problemi e cambiamenti in atto nella vita consacrata degli uni non sono quelli delle altre. La consapevolezza e il rispetto della specificità e della diversità di approccio, oggi sappiamo che non vanno mai dati per scontati. Se poi da questa diversità se ne deduce, come spesso è avvenuto, anche una inferiorità o una subalternità delle religiose rispetto ai religiosi, allora non solo siamo fuori dalla storia ma anche contro il fondamentale rispetto dei diritti delle persone.

Nulla di tutto questo, comunque, nel recente convegno di Roma. Il tema I cambiamenti in atto nelle nostre congregazioni: esperienze, valutazioni, prospettive, per una fedeltà creativa era quanto mai aperto sia sul versante della vita consacrata femminile che di quella maschile. Di fatto, poi – a parte la relazione di padre Innocenzo Gargano e la presentazione di alcune esperienze che sono sempre importanti e significative per tutti – le due relazioni di fondo di padre ­Piergiordano Cabra all’inizio e di padre Gabriele Ferrari alla fine, erano calibrate su due binari diversi. Padre Ferrari si è chiaramente sintonizzato su un dibattito da tempo in atto soprattutto all’interno degli istituti maschili. Ha saputo condensare nel suo intervento le sue salutari provocazioni non solo sull’esaurimento di un certo modello di vita religiosa, ma soprattutto sulla riscoperta del radicalismo evangelico come via obbligata per un autentico rinnovamento della vita consacrata.

Padre Cabra, invece, aveva il compito di sintetizzare le risposte a un questionario preparatorio del convegno e precedentemente distribuito alle partecipanti. Si tratta perciò della percezione dei cambiamenti in atto soprattutto all’interno della vita consacrata femminile. Rispettare e, anzi, stimolare la specificità, i ritmi, i tempi propri di un cammino di rinnovamento della vita consacrata femminile, è nell’interesse non solo dei religiosi ma anche di tutta la comunità cristiana, di tutta la Chiesa.

 

IL “PASSATO GLORIOSO”

NON BASTA PIÙ

 

Padre Cabra è partito da una premessa, in qualche modo scontata. Le interpretazioni del momento presente e dei cambiamenti in corso non sono affatto univoche. Sono sotto gli occhi di tutti la contrazione numerica delle religiose, il cambiamento dello stile di vita delle comunità e nelle comunità, il serpeggiare non solo dell’individualismo ma anche di tante forme di narcisismo, i rischi di un isolamento delle persone e di un conseguente allentamento dei vincoli comunitari connessi a una sempre più ampia diffusione di internet.

Alla complessità del momento presente non poteva non corrispondere anche una sua diversità interpretativa. Non mancano letture apocalittico-pessimistiche. Anche nel mondo religioso femminile si è sempre più convinti dell’esaurimento a cui è ormai giunto un certo modello di vita consacrata. Questo modello, che riguarda poi la gran parte degli istituti, non dice più nulla né a noi né agli altri, ha smarrito una sua identità in seno alla Chiesa e alla società, è destinato alla insignificanza e anche alla estinzione. «La situazione attuale, sintetizza padre Cabra, è un duro colpo per la vita consacrata, un segno della durezza dei tempi».

Non mancano, però, anche letture profetiche. La situazione attuale potrebbe anche essere «una opportunità unica per convertirsi», «un segno dei tempi da decifrare per comprendere che cosa possa volere il Signore da noi». Tra le letture pessimistiche e quelle profetiche, le più diffuse sono forse quelle disincantate. La sfida più inquietante sta forse nel fatto che se oggi si continua a essere bene accetti nella società, però non si riesce ad essere incisivi. Inevitabile allora un interrogativo: i nostri cambiamenti, il nostro rinnovamento mirano realmente a una maggiore incisività o non si limitano a ridurre i danni di un inarrestabile calo numerico diffuso nei nostri istituti?

Proprio partendo da questa complessa e diversa interpretazione dello stato attuale della vita consacrata femminile, padre Cabra ha provato a enucleare alcuni dei temi più dibattuti del momento. Anche le religiose parlano con sempre maggiore insistenza del ridimensionamento delle opere. Ma in tanti istituti il discorso fa ancora paura. Lo si aggira con strategie di sopravvivenza. Con quali rischi però? Da una parte con il superlavoro di quanti non credono in questa strategia e bollano come accanimento terapeutico ogni tentativo di ridimensionamento, dall’altra con il logoramento, non solo fisico ma anche spirituale, di chi è costretto ad assumersi più di una responsabilità. Non è solo un problema di invecchiamento fisico delle persone, ma anche di obsolescenza vera e propria nel campo delle competenze di troppe religiose. Di fronte al numero crescente di persone spiazzate dalle novità imposte dalla gestione di tante opere, «il numero del personale religioso utilizzabile risulta ancor più esiguo».

È risaputo come il coinvolgimento della base sia determinante in ogni operazione di ridimensionamento. In alcuni casi, però, «la base ha opposto una tenace resistenza all’abbandono di alcune attività». Alla luce anche di una riscoperta spiritualità del ridimensionamento si è proceduto, a volte, con coraggio alla chiusura di alcune comunità, individuando quelle opere che mostrano di avere futuro. Ma quanta fatica a «pensare a una presenza alternativa o al di fuori di opere già esistenti». Ad una ricorrente nostalgia del “passato glorioso”, non va sottovalutato il fatto che, come emerge dal questionario, i laici coinvolti in tante attività di un istituto «spesso sono quelli che si oppongono al cambio di gestione». Senza un radicale cambiamento di mentalità, ogni tentativo di ridimensionamento o di ristrutturazione di una unità religiosa o di un’opera apostolica sarà sempre non solo un fatto doloroso, ma condannato in partenza alla sterilità.

Non è possibile ridimensionare anche una semplice attività apostolica senza una preventiva opera di discernimento. Qui entrano in gioco il dialogo comunitario da una parte e il ruolo dell’autorità dall’altra. Quante volte l’urgenza delle decisioni, la possibile strumentalizzazione da parte di qualcuno, ma soprattutto la «scarsa dimestichezza con la complessità e la profondità spirituale che un vero discernimento richiede» ne compromette in partenza la sua efficacia. La ferma convinzione che lo «spirito del discernimento dovrebbe permeare le decisioni più rilevanti», troppo spesso però si scontra con quella di quanti lo ritengono utile solo in casi straordinari. Il discernimento non è qualcosa di magico o di miracolistico per la soluzione di questioni complesse. È un qualcosa che chiama in causa direttamente l’azione dello Spirito e insieme la crescita della fraternità. «È uno dei compiti più decisivi per il futuro della missione, e non solo della vita consacrata».

 

IL CICLO CELEBRATIVO

EUCARISTICO “OTTIMALE”

 

A sua volta il discernimento ha bisogno di una autentica spiritualità, i cui punti forti sono la Parola, il carisma, la vita fraterna. La riscoperta della vita fraterna «è la vera novità di questi anni». La conversione alla fraternità è uno dei passi decisivi per dare una risposta convincente anche a vari altri problemi analizzati nel questionario, come la collaborazione con i laici e quella fra gli istituti, la pastorale vocazionale, la formazione permanente. La fraternità, dentro e fuori l’istituto, può sicuramente avviare a soluzioni meno traumatiche molti dei problemi della vita consacrata di oggi.

Ora però la spiritualità spesso sollecitata dalle generazioni più giovani deve convivere con la mentalità delle pratiche di pietà e con la eccessiva rigidità di certi schemi disciplinari ereditati dal passato. Se le nostre comunità rischiano di offrire spesso all’esterno una testimonianza debole, questo potrebbe derivare da una mancata condivisione di fede anche nei suoi significati più profondi. Il recupero della dimensione spirituale «è una sfida che dobbiamo affrontare prima di tutto per ridare significato agli elementi essenziali della nostra vita, ma poi anche per rispondere a quanto ci chiedono i nostri giovani: una fede che non solleciti soltanto l’intelletto, ma che sia percepibile anche dai sensi e dalle emozioni e abbracci tutti i campi dell’essere».

Sempre nell’ambito della spiritualità, sull’importanza della Parola, qualcosa di insolito è stato aggiunto da padre Gargano. È possibile rinnovare la vita consacrata, ha osservato, riattingendo con generosità e con entusiasmo «alla duplice mensa della Parola e del Pane unificati nell’incontro, più intimo possibile, di ciascuno dei membri di una comunità e della comunità nel suo insieme, col Signore risorto».

Quando il concilio parla di celebrazione eucaristica, non parla però di devozione, di adorazione o altre forme simili abituali. Questo linguaggio «dovrebbe farci riflettere un po’ di più». Bisogna assolutamente ripartire dall’interiorizzazione di questi testi fondanti del concilio «se si vuole offrire ossigeno vitale a ciascuna e all’insieme delle nostre comunità di vita consacrata». La centralità dell’eucaristia nella vita cristiana, e tanto più in quella consacrata, ha precisato, «non si misura né con il numero o le frequentazioni delle sante messe, né con i minuti o le ore passate in adorazione davanti al santissimo sacramento esposto». L’eucaristia dev’essere centrale nella vita cristiana e in quella consacrata, soprattutto in termini qualitativi.

Ora il ritmo celebrativo setti­manale dell’eucaristia, scaturito dalla sapienza tradizionale della Chiesa, è un ritmo celebrativo ottimale per la comunità dei credenti, proprio «perché teologicamente fondato sulla centralità annuale della Pasqua ­vissuta all’alba dell’ottavo giorno di ogni settimana». E perché non potrebbe esserlo anche per le comunità di vita consacrata? Proprio partendo dal senso pastorale della Chiesa, anche per molte di loro «potrebbe essere opportuno allora ripensare a fondo la centralità dell’eucaristia celebrata, sganciandola sia da un forzato ritmo quotidiano – spesso vissuto senza una piena partecipazione del cuore e della mente, ma anzi in tutta fretta, ­perché urge il lavoro quotidiano e il prete celebrante ha i minuti contati – sia da una riduzione a pratica devota più o meno sentita o motivata».

Certo, il dono del sacramento «supplisce in se stesso». Ma perché non si prende in più attenta considerazione la “liturgia delle ore” che, a sua volta, «è strettamente connessa al mistero pasquale solennemente riproposto in ogni celebrazione eucaristica»? In questo modo, «si potrebbe trovare anche una strada più appropriata per vivere una rinnovata esperienza comunitaria di preghiera». Una volta presupposta la lectio divina personale, la liturgia ­delle ore potrebbe «esprimersi simultaneamente come “azione di grazie” nutrita di parola di Dio veicolata dai salmi e centrata sul pane eucaristico spezzato dal Signore per la vita del mondo, con conseguente apertura alla storia e ai bisogni dei singoli, presenti nella Chiesa e nell’umanità».

 

Angelo Arrighini

 

1Relazioni di p. Piergiordano Cabra, Il cammino percorso in questi anni; sr. Enrica Rosanna, Fedeltà creativa o creatività fedele?; p. Innocenzo Gargano, Il respiro della vita nella Parola di Dio; p. Carlo Fasano, Rileggere il passato cogliendone le suggestioni per l’oggi; sr. Margit Foster, Chiamate a riappropriarci del nostro carisma; il cammino di una presa di coscienza; fr. Lino da Campo, La fraternità: progetto evangelico per una ristrutturazione e rifondazione delle comunità e delle opere; p. Gabriele Ferrari, La strada del futuro: il ritorno allo spirituale, il primato dello spirituale.