IL VANGELO LA VIA PIU’ DIFFICILE
Quando la legge
della croce ci tocca ne siamo profondamente turbati: ma solo qui avvengono la
piena liberazione dal male e il ri-orientamento verso il Padre
C’è veramente una differenza stridente fra l’altezza dei buoni propositi e
la presenza e dell’egoismo in ciascuno di noi: forse è questo che Dostoevskij
chiamava «l’abisso dei doppi pensieri». Fai qualcosa di bene e t’accorgi che
dentro il tarlo del tuo Io non ti abbandona. T’accorgi che è sempre grande la
potenza del peccato.
Gli alti e bassi si susseguono con un’impressionante frequenza: e non solo
sul piano psicologico, ma su quello più profondo delle scelte del cuore, degli
orientamenti della vita.
Certo, occorre imparare a convivere con noi stessi, ad accettare questa
permanente instabilità psicologica e spirituale. Ma ciò esige di comprenderne
il perché, domandandoci come anche attraverso questo cammino contorto Dio ci
ami e voglia farci suoi figli.
Accettare che dalla morte venga la vita ci ripugna eppure deve essere
proprio così, se il Signore ci lascia in questa lotta, che sembra pervadere
l’universo intero.
Forse, però, è proprio questa ripugnanza ad accettare e scegliere la via
dell’amore fino alla morte che mostra, al tempo stesso, la condizione tragica
del peccato e il bisogno che tutti abbiamo di imparare ad amare con un aiuto
che ci venga dall’alto: in questo senso, la fatica a credere che un Dio sia
morto in croce è la riprova della necessità di questa morte.
Il cristianesimo non è la riposta banale alla domanda del dolore e della
morte, un risposta che giustifichi tutto o tutto copra sotto l’incomprensibile
giudizio divino.
Il cristianesimo è la lectio difficilior, la via più difficile, che prende
sul serio la condizione universale di morte e di peccato, e proprio così
annuncia la compassione di un Dio che si fa carico di questa morte e di questo
peccato per sollevare e salvare ciascuno di noi.
Il passo ulteriore è dunque arrivare a intuire che Dio sta dalla nostra
parte e partecipa al dolore per tutto questo male che devasta la terra.
Egli non se ne sta come uno spettatore disinteressato o un giudice freddo e
lontano, ma «soffre» per noi e con noi, per le nostre solitudini incapaci di
amare, perché lui ci ama. La «sofferenza» divina non è incompatibile con la
perfezioni divine: è la sofferenza dell’amore che si fa carico, la compassione
attiva e libera, frutto di gratuità senza limiti.
Sempre più, nel cammino della vita, sotto i colpi di luce del Vangelo, il
Dio di Gesù Cristo mi è apparso come il Dio capace di tenerezza e di pietà fino
al punto di soffrire per i peccati del mondo. Un Dio tenero come un padre e una
madre, che non rinnega i suoi figli. Un Dio umile, che manifesta la sua
onnipotenza e la sua libertà proprio nella sua apparente debolezza di fronte al
male.
Un Dio che per amore accetta di subire il peso del nostro peccato e del
dolore che esso introduce nel mondo.
Proprio così, però, nella morte di Gesù sulla croce, Dio ci insegna a
trarre il bene dal male, la vita dalla morte.
Come vorrei che tutti a questo punto capissero che il mistero di un Dio
morto e risorto è la chiave dell’esistenza umana e il succo del Vangelo e della
nostra fede!
Eppure contro questa roccia del mistero pasquale vanno a cozzare tutte le
onde delle nostre resistenze, mentre diciamo con Pietro: «Dio te ne scampi,
Signore; questo non ti accadrà mai!» (Mt 16,22).
Eppure proprio qui si ricongiungono i nodi del rapporto che lega morte e
vita, dolore e gioia, fallimento e successo, frustrazione e desiderio, umiliazione
ed esaltazione, disperazione e speranza.
Quando la legge della croce ci tocca, ci sconvolge e ne siamo profondamente
turbati: ma solo qui si attua la piena liberazione dal male, fino ad accettarne
le conseguenze su di sé per perdonarlo e superarlo, come ha fatto Gesù sulla
croce.
Per sciogliere l’apparente assurdità della vita non c’è allora che una via
possibile: rimettermi continuamente di fronte a essa, senza sfuggirvi, e
arrendermi senza riserve nelle mani del Dio umile e sofferente, del «Dio crocifisso».
Solo abbandonandomi perdutamente a lui, solo capitolando nelle sue mani potrò
riprendere nelle mie il bandolo della matassa intricata della vita.
Carlo Maria card. Martini
da Un cammino educativo, Gribaudi 2000