LA VERGINITÀ PER IL REGNO (4)

SESSUALITÀ IMMATURA

 

Possono essere presenti nella persona delle immaturità in campo sessuale dovute a un processo evolutivo precario o alla carente assimilazione _ed espressione delle caratteristiche tipiche _della sessualità umana.

 

Nulla di strano che vi possano essere delle forme di immaturità affettivo-sessuale più o meno gravi nel vergine per il regno dei cieli, che rendono più difficile il vissuto celibatario e meno efficace la testimonianza. Esserne convinti e cercar di precisare dove la propria sessualità non è ancora adulta è già un buon segnale (di integrazione dell’immaturità). Negarlo e non far nulla per identificare ove e perché la propria sessualità è più vulnerabile è al contrario sintomo d’immaturità (stavolta disintegrante).

Con questo spirito positivo vediamo allora di specificare alcune forme d’immaturità sessuale più frequenti nella vita d’un vergine.

 

A livello evolutivo

 

Ci può essere immaturità affettivo-sessuale a livello di sviluppo della sessualità o dei suoi contenuti.

A livello evolutivo l’immaturità può essere dovuta, a sua volta, a un non corretto superamento di certi passaggi evolutivi nella prima educazione, con conseguenti difficoltà d’identità sessuale; a un fenomeno di non crescita della sessualità stessa, con conseguente fissazione a una certa fase evolutiva; o a un suo sviluppo non adeguato a età e stagioni esistenziali, o a esigenze pastorali e nuove situazioni ambientali, con relativa regressione a una stagione precedente dello sviluppo.

Identità e orientamento sessuale

Espressione tipica d’un problema evolutivo è l’omosessualità, legata a una mancata identificazione, nella prima infanzia, col genitore dello stesso sesso (omosessualità strutturale) o a esperienze di tipo omosessuale, nella preadolescenza, che hanno impedito il passaggio dalla fase omoerotica a quella eteroerotica (omosessualità non strutturale).

Ma non significa solo attrazione per le persone dello stesso sesso, quanto difficoltà a interagire col diverso-da-sé, ad accogliere incondizionatamente l’altro, a lasciarsi formare dall’alterità, a distogliere lo sguardo da sé senza omologare la realtà a sé.

Sono segno di fissazione alcune reazioni affettive infantili di consacrati adulti, come ad es., atteggiamenti di gelosia nel vivere un’amicizia o nel modo di gestire la pastorale (“il mio gruppo, il mio ministero”); o una curiosità sessuale di stampo preadolescenziale nel consacrato non più giovane che ruba, con sguardo mai sazio e irrispettoso dell’altro/a, immagini e sensazioni illusorie di gratificazione; o un’enfatizzazione della sessualità comprensibile nell’adolescente e un po’ meno in religiosi adulti che ancora sognano e idealizzano come ragazzi il frutto proibito.

In questi casi la sessualità è rimasta infantile o adolescenziale e l’individuo non è mai cresciuto. Con notevoli conseguenze sul piano dei rapporti e della stessa attività ministeriale, anche se solo raramente la persona coglie la correlazione. Immaturità, comunque, non è solo il singolo episodio, quanto l’atteggiamento abituale e privo di coscienza critica (o di rimorso).

La regressione, invece, è una reazione al presente con stili del passato: ad es. la ricerca ansiosa d’affetto da parte del giovane consacrato, a suo tempo bravo novizio e chierico, che si ritrova a vivere un’inedita situazione di solitudine senza la protezione di certe strutture e s’attacca a qualcuna o si chiude nella masturbazione; o l’innamoramento del religioso sui 40 anni e oltre, che affronta forse per la prima volta la sensazione della vita che gli sfugge o un certo fallimento.

In entrambi i casi c’è come un ritorno al seno materno o a un certo calore già goduto, nell’illusione di evitare la durezza della situazione.

Ma in realtà tutto ciò crea solo uno scompenso nella vita individuale e sociale della persona, che in tal modo non si lascia plasmare dalla vita e dalle sue provocazioni.

 

A livello di contenuti

 

Dal punto di vista del contenuto l’immaturità affettiva–sessuale sarà invece legata a una non realizzazione delle componenti fondamentali della sessualità medesima (cf. Testimoni 3/2004). Avremo allora una sessualità o priva di mistero (e superficiale e banale), o povera di relazione (e tutta centrata attorno all’io), o non aperta alla fecondità (e miseramente sterile e insignificante). Vediamo di approfondire.

Sessualità priva di mistero

Nella sessualità emerge ed esplode il mistero della vita umana, sia nel senso classico della sua profondità insondabile di significato, che in quello più moderno della sua capacità di riunificare gli opposti (carnale e spirituale, maschile e femminile, io e tu…). Un progetto di verginità è tutto costruito su questa dimensione misteriosa, senza la quale esser vergini non avrebbe più alcun senso o sarebbe solo continenza faticosa o comoda assenza d’impicci.

E invece non è raro il caso del vergine che ha smarrito il mistero della sua sessualità o quel sapore del mistero che poi introduce alla contemplazione mistica, e si condanna a vivere una verginità senza profondità né spessore, senza rimando a un Altro e al senso dell’amore; vergine dall’elettrocardiogramma piatto. Con questi segni o conseguenze:

a) presunzione – costui presume di sé, di conoscersi, di sapere su Dio, d’insegnare agli altri quel che ci vuole per esser perfetti e santi. Così presume anche di saper tutto della vita affettiva e d’aver risolto ogni problema al riguardo, e magari conclude che l’affettività è cosa ingombrante e per tipi deboli, e decide che sia meglio ridurla al minimo; anzi, lui ne può fare a meno;

b) ignoranza – dalla presunzione all’ignoranza il passaggio è breve e il danno grave, poiché un religioso che non conosce la sessualità non sa nemmeno cosa sia la verginità e perché l’ha scelta. Ad es.: costui non sospetta che nella sessualità umana sia inscritto in qualche modo il senso della vita, dono ricevuto che tende a divenire bene offerto; ha un’idea così meschina (e volgare) del sesso che non può credere che la sessualità, che viene da Dio, possa fornire energie importanti per la vita spirituale e che in essa viva lo Spirito di Dio; non sa che sessualità matura vuol dire capacità di relazione con il diverso, con l’altro-da-sé, con chi non è amabile perché si senta amato; non ha mai imparato a benedire la sessualità e magari quando ne parla diventa rosso o fin troppo serioso, o è banale e rozzo… È l’ignoranza del mistero!

c) Analfabetismo e anemotività – non c’è peggiore ignoranza di chi non vuol vedere o sentire, come il consacrato che teme o disprezza la sessualità, non cogliendone il mistero, perché la sente negativa e immonda, e decide di non vederla e negarla dentro di sé, si ostina, cioè, a non ammettere i propri sentimenti e spiritualizza tutto, anche l’eventuale cotta. Ora, chi ignora i suoi sentimenti si fa un gran male, poiché perde i contatti con se stesso, diventa analfabeta sentimentale, uno che non sa leggersi dentro né tanto meno capire l’altro. Col rischio, continuando a reprimere, di diventare anemotivo, di non provare più alcun sentimento, come “frate-orso” o “suor calotta polare”. La sessualità diventa allora come un gigante addormentato, e non è da escludere, se si sveglia di soprassalto, che faccia disastri…

d) Idolatria e primitivismo – oppure, altro possibile rischio è quello di sviluppare la tendenza opposta, quella che rende sempre più dipendenti e dunque anche più deboli nei confronti d’impulsi e pressioni istintuali varie, in base al principio: «quel che sento lo devo anche fare, altrimenti sono meno autentico e vero». Alla faccia del mistero!

In realtà chi (s)ragiona così è solo un primitivo adoratore di sentimenti e istinti, quasi idolatra, così primitivo da non aver ancora imparato a distinguere la sincerità dalla verità al riguardo, o da confondere la libertà del cuore con la dipendenza affettiva.

 

Sessualità povera di relazione

 

Sessualità è relazione, apertura, accoglienza dell’altro diverso-da-sé, rifiuto di porsi al centro della relazione. È impossibile scegliere la verginità se la sessualità non è maturata in tale direzione.

Ma è possibile, purtroppo, fare della verginità un alibi per chiudersi in se stesso. Sarebbe come un… violentare la propria sessualità, costringendola a ripiegarsi su di sé, ad andare contro natura e trasformarsi nel suo contrario, in energia che chiude il soggetto in se stesso e lo rende incapace di relazione. Avremo allora un celibe che tutt’al più osserva il suo celibato, ma non lo ama, ha il cuore altrove. Con svariati segnali d’inautenticità:

a) la negazione del tu – il sintomo più evidente è quel sostanziale egocentrismo che rende insensibili nei confronti dell’altro,1 attenti solo a sé e incapaci di empatia, timorosi della relazione intensa e di qualsiasi segno di vicinanza.

Un segnale molto indicativo e per niente raro di povertà relazionale è l’incapacità di godere della gioia altrui, d’apprezzare l’altro e fare (e fargli) festa (non basta essere vicini solo nel dolore).

Una sessualità centrata sull’io crea ancora tendenza alla selezione nei rapporti e all’“uso” discreto dell’altro/a per i propri bisogni; come pure tendenza al dominio e al possesso dell’altro (libido dominandi). Un risvolto singolare di tale sindrome nella vita comunitaria è la trascuratezza e brutalità nell’uso delle cose di tutti, l’indisponibilità a condividere e la tendenza all’avarizia, all’invidia e alla competitività relazionale.

Ma l’egocentrismo è così invadente che può disturbare anche la vita spirituale e rendere insignificante il rapporto con Dio e fredda e vuota la preghiera.

b) L’alterazione dell’io – quando l’io si chiude in se stesso… butta fuori la parte più vera e più bella di sé e la sostituisce con una falsa e caricaturale, che renderà artificioso e bugiardo il modo di vivere e di esser consacrati. Di qui l’avvio di pericolosi processi di compensazione: abuso di cibo e alcool, accumulo di denaro e oggetti,2 senso ostentato di superiorità e autosufficienza, protagonismo e ricerca narcisista del proprio successo, sottile autocompiacimento nel sentirsi “interessante” e magari conteso, rozzezza nel tratto, razionalismo esasperato ed esasperante, trasandatezza generale o all’opposto ricercatezza eccessiva nel vestire, mancanza di creatività apostolica, assenza di gusto estetico, malumore e nervosismo costanti…

Tutte espressioni della cosiddetta gratificazione vicaria (o indiretta) d’una sessualità centrata attorno all’io, che non ha trovato adeguato spazio e respiro nella relazione.

Sessualità non aperta alla fecondità

Sessualità significa generatività, vita ricevuta e data, dono creatore. Anche il vergine deve saper generare, come ogni vivente, altrimenti la verginità è maledizione. Ma non può farlo se non ha imparato a vivere la propria sessualità come forza creativa che cerca il bene altrui. Segnali specifici negativi saranno allora:

a) sterilità e solitudine – è la storia di tanti celibi, “uomini mancati” anche se indaffarati, perché invece di generare e far crescere l’altro, renderlo autonomo e libero, lo legano a sé, gli impongono per forza il proprio “nome” come un marchio di fabbrica (“che si sappia che quella cosa l’ho fatta io”), o diventano “figli dei loro figli”, cioè fanno consistere la loro identità in quel che producono, nei risultati delle loro prestazioni. Sono celibi che non creano libertà attorno a sé, perché non sono liberi di consegnare loro stessi all’altro, alla vita, alla malattia, alla morte, né di consegnare il proprio “figlio” agli altri senz’alcun diritto di proprietà. E si ritrovano soli, come il chicco di grano che non si consegna alla morte e rimane “solo”, non genera né dà alcun frutto (cf. Gv 12,24).

b) Fecondità deviata – altro segnale di sessualità sterile è il caso del celibe che dirotta la sua capacità generativa dalle persone alle cose, agli oggetti inanimati, agli animali, all’attività professionale. Esiste al riguardo una certa galleria di personaggi interessanti, come il consacrato che si dedica a varie collezioni (dai francobolli alle farfalle), o che coltiva hobby strani (il primato spetta a un religioso, forse non proprio pacifista, costruttore di pistole!), o preso da manie infaticabili (il famoso “mal della pietra” di religiosi ingegneri), o che fa l’agricoltore o il meccanico o il topo-di-biblioteca o il tuttofare così chiuso nel suo mondo da non saper più godere del rapporto con l’altro.

c) Diversità temuta – ciò che rende feconda la sessualità è l’incontro delle diversità, complementari l’una all’altra. Il timore del diverso, invece, rende sterile il rapporto. C’è in giro oggi un’omosessualità strisciante quale problema essenzialmente relazionale prima ancora che esplicitamente sessuale, che impoverisce lo scambio e conflittualizza all’istante la diversità, invece di sfruttarla come una risorsa; porta a rifiutare l’altro e a sentire come una minaccia la sua differenza di idee, di sensibilità, d’esperienza, di religione, fino a pretendere di renderlo simile a sé, rendendo infeconda la relazione.

Se la sessualità indica la diversità radicale ed è scuola per imparare a vivere nella differenza, questo timore segnala un rapporto negativo con la propria sessualità, ancora una volta inibita e castrata nella sua vitalità e fecondità.

 

Amedeo Cencini

 

1 Così don Calati: «Una vita celibe che non sa commuoversi per le sofferenze umane, che non rivela soprattutto compassione, che rimane chiusa in se stessa ed è arcigna, è biblicamente maledetta» (B.Calati, Il primato dell’amore, Camaldoli 1987, 15).

2 «Se si ha l’essenziale, non ci si fissa sui dettagli. Ma se l’essenziale non c’è, ci si riempie la vita di soprammobili. La vita di uomini e donne veramente felici è fatta in genere di molta sobrietà…» (M.Danieli, Liberi per chi? Il celibato ecclesiastico, Bologna 1995, 51).