LA FORMAZIONE NELLA VITA CONSACRATA

PRIORITÀ DELLE PRIORITÀ

 

Da anni in Cile è stato istituito un Centro studi per la formazione dei candidati alla vita consacrata. L’esperienza, partita quasi in sordina, ha ora esteso _il suo interesse a tutte le varie tappe formative. _Con risultati più che apprezzabili.

 

La formazione è la priorità delle priorità. Dalla formazione di oggi infatti dipenderà il futuro stesso della vita religiosa. È stata questa convinzione a suggerire alla conferenza dei religiosi e religiose del Cile (CONFERRE) di istituire un Centro studi (CEC, centro studi CONFERRE) per la formazione che, partito in sordina nel lontano 1965 con dei corsi per le novizie, si è progressivamente sviluppato fino ad abbracciare tutte le varie tappe formative, dal grado propedeutico fino alla filosofia.

Del cammino percorso è stato recentemente tracciato un bilancio, come ha riferito p. J. Guerrero, direttore del Centro, in una riunione con provinciali, formatori e insegnanti organizzata per condividere alcune convinzioni maturate nel corso degli anni e insieme anche le inquietudini, i problemi e le speranze. Confronto quanto mai opportuno anche perché non c’è altro campo nella vita religiosa che sia stato oggetto di un numero maggiore di cambiamenti, esperienze, discussioni e persino disorientamenti e disaccordo come quello della formazione. La ricerca compiuta tuttavia non è stato vana. Valeva la pena sognare, ha affermato p. Guerrero, e cercare di aprire nuove strade per formare meglio i nostri giovani, non in un’epoca di cambiamenti ma in un cambiamento di epoca come il nostro.

Non è stato un obiettivo facile anche perché formare è un compito arduo che esige pazienza, come del resto ogni azione che cerca di rimodellare ciò che vi è di più profondo nell’uomo e nella donna. La formazione, inoltre, è un processo continuo dinamico, progressivo, graduale e integratore. Tutto la persona deve essere impegnata e raggiunta perché è la persona che deve svilupparsi in tutte le dimensioni e in maniera armoniosa.

 

CONVINZIONI

DA CUI SI È PARTITI

 

È importante ora sottolineare le convinzioni che hanno spinto la CONFERRE ad affrontare questa sfida. Il punto di partenza per istituire il centro studi si è basato sulla convinzione che i religiosi/e non si improvvisano e che domani avremo i religiosi/e che saremo stati capaci di formare oggi. È la pista seguita in tutti questi anni, mentre in questi ultimi due sono maturate convinzioni sempre più profonde e sentite che il centro ha cercato di tradurre in pratica. Quali sono queste convinzioni?

Crediamo, ha sottolineato Guerrero, che la formazione è il nome del futuro, un’iniziativa che esige nuove piste di ricerca che favoriscano la qualità. Per decenni, essa si è mossa attorno ai paradigmi della stabilità e fissità, anziché attorno a quello della dinamicità di un’epoca in continua rapida trasformazione.

Crediamo anche di poter affermare senza esitazione, ha proseguito Guerrero, che dalla qualità della formazione iniziale dipenderà la qualità e il futuro delle province e dell’istituto stesso. Per questa ragione, investire su persone capaci, essere capaci di sognare e di impegnare energie in questo arduo e paziente compito vuol dire aver capito ciò che in gioco per il futuro. Non esiste infatti investimento più proficuo a lungo termine. E riteniamo che la maggior parte dei religiosi/e lo abbiano capito e facciano grandi sacrifici per formare meglio i loro giovani.

Siamo anche convinti che i principali e ultimi responsabili della formazione sono i formatori e le formatrici. Per questo ci siamo sforzati per coinvolgerli sempre più nel Centro studi. A noi spetta, in quanto Centro, sostenerli nel loro compito, sapendo che l’obiettivo da raggiungere è di «completare la formazione umana e religiosa dei giovani, appoggiare l’esperienza propria di ciascuna tappa formativa, favorire i diversi carismi congregazionali e impartire una formazione accademica efficiente». Questo è il nostro compito.

Siamo anche convinti, ha affermato ancora Guerrero, che ogni progetto formativo dovrà adottare l’accompagnamento come una coordinata essenziale. Senza di esso non potremmo nemmeno parlare di formazione; di qui l’interesse per accompagnare il meglio possibile i nostri formatori e le nostre formatrici.

Costatiamo con gioia che il Centro è diventato sempre più una famiglia, vale a dire un luogo di calore umano, di amicizia, di accoglienza, di stimolo e di sostegno dove i giovani si sentono a loro agio e desiderano concorrere non tanto per trovarsi bene tra amici e amiche, ma per formarsi in maniera seria e responsabile. La intercongregazionalità li arricchisce e non sfuma i carismi; al contrario li rinvigorisce.

Siamo convinti che bisogna avere a cuore le esigenze degli alunni, ma con comprensione tenendo presenti le loro storie personali e sapendo che lo studio non è la cosa più importante e decisiva in queste prime tappe della formazione. Per questo ci sforziamo di tenere alto il profilo accademico e ciò ha significato una maggiore qualità dell’insegnamento in un clima di maggiore responsabilità. Il Centro ha organizzato a questo scopo varie riunioni anche con i formatori e le formatrici per elaborare insieme gli obiettivi e la metodologia dei corsi.

Siamo convinti, ha sottolineato Guerrero, che gli insegnanti costituiscono un fattore chiave nel funzionamento del Centro. Di qui l’attenzione nel selezionarli. Con la loro vita e la loro fede devono essere delle guide e ciò esige che si presentino più come testimoni e compagni di viaggio che come persone che fanno cadere dall’alto il loro insegnamento.

LE VARIE

TAPPE FORMATIVE

Guardando ora alle tappe formative è facile notare il grande progresso compiuto nel cammino di questi anni. Il noviziato, per esempio, ho sottolineato Guerrero, è una tappa abbastanza riuscita, e arricchita da un accompagnamento più prossimo e personalizzato. Il noviziato non è un luogo o un tempo; è un’esperienza che si concretizza in un luogo e nel tempo. Quando l’esperienza pervade la vita, questa si arricchisce, rinasce, si rifonda. È un laboratorio in cui la persona è curata, si equilibra e si prepara a rispondere a una chiamata, a una formazione appassionante. È un’esperienza che ha come scopo di centrarsi in Cristo e nel suo progetto di vita, il Regno che è filiazione e fraternità. Questa esperienza è vissuta in un istituto determinato a cui uno si sente chiamato. L’amicizia con Dio diventa sempre più il centro della sua persona e lo porta alla vetta più alta sognata. Il noviziato tende a un’introduzione serena, decisa e totalizzante del candidato alla vita di preghiera, di comunità, sviluppando il senso di appartenenza al proprio istituto e aprendosi alla sua missione a partire dalla realtà che lo circonda e lo interpella.

Il postulato costituisce una tappa previa in cui è necessario chiarire la vocazione, vale a dire scoprire nel discernimento personale, accompagnati da qualcuno che sta vicino e sia esperto, per tutto il tempo necessario, per costatare se Dio chiama quella persona per nome e cognome, con la sua storia personale, i suoi aspetti positivi e le sue debolezze, a condividere la sua vita e il suo destino a tempo pieno e con lo stesso stile che lui ha vissuto stando in mezzo a noi: povero, casto e obbediente.

Questo cammino suol essere normalmente più o meno lungo e richiede un buon accompagnamento personale. Si tratta di fare in modo che il candidato o la candidata identifichino le motivazioni che lo portano a optare per la vita religiosa.

Ci sono ancora degli istituti che hanno l’abitudine di fare “reclutamento vocazionale”, accogliendo indiscriminatamente giovani che manifestano un qualche desiderio di entrare nella vita religiosa. Ci sono giovani che non cercano il radicalismo evangelico, ma solo un luogo tranquillo e piacevole dove poter prendersi cura di sé e costruirsi un futuro promettente. Se crediamo in un futuro della vita religiosa che valga la pena, dobbiamo dire e mostrare chiaramente al giovane ciò che vogliamo e attendiamo da lui senza rendere facile la vita con pratiche paternalistiche. Oggi probabilmente come mai si richiede una pastorale vocazionale più conseguente ed esigente, non ossessionata dal numero e nemmeno della quantità. Scegliere una strada diversa da questa vuol dire cacciarsi in una via morta. Di qui l’impegno a rinforzare l’obiettivo della ricerca e della chiarificazione vocazionale del tempo del postulato.

 

Molto importante è ritenuto nel Centro anche il cosiddetto periodo propedeutico. Si tratta di un corso che non deve essere considerato come un’introduzione agli studi superiori (filosofici o teologici). Questa tappa, al contrario, deve rimanere essenzialmente formativa; ciò non significa trascurare l’esigenza accademica intellettuale, ma è fondamentale nel processo formativo dei religiosi/e la riflessione orante, l’atteggiamento autocritico, la capacità di un ascolto personale, la flessibilità e l’apertura.

È molto importante, pertanto, questa dimensione accademica, a condizione che tutto sia integrato nei piani di studio del Centro e non risulti la somma di frammenti. Il nostro intento, ha dichiarato Guerrero, non riguarda solo l’aspetto intellettuale, che curiamo molto, ma anche una formazione più integrale dei giovani.

Altrettanto importante è la tappa dello juniorato. A volte si sente ripetere: è un tempo di crisi o di maturazione? Non mancano ambienti dove si ritiene che essere giovani sia sinonimo di “essere in crisi”. Forse si esagera un po’, ma è certo che lo juniorato è una tappa di formazione piuttosto complicata, ed è forse quella su cui si riflette di meno. Spesso manca di un accompagnamento personalizzato e organizzato che aiuti il giovane a crescere in libertà nella responsabilità.

Il Centro di formazione ha sentito la necessità di organizzare un corso per questa tappa. Purtroppo, il criterio più comune seguito in tante parti è stato quello di rispondere alle urgenti necessità della provincia (“ci sono tanti buchi da riempire”), anziché prendere coscienza che è invece il tempo più opportuno per la formazione degli/delle juniores. Non si tratta infatti in primo luogo di “produrre” ma di continuare a formarsi in un altro luogo e secondo un’altra prospettiva. Quest’ultimo criterio, a parere di molti, è quello giusto.

Lo juniorato, ha concluso Guerrero, è stata un’esperienza molto valida e apprezzata sia dagli alunni e alunne sia dai formatori. I programmi sono stai elaborati ascoltando tutti i suggerimenti giunti da molti/e provinciali, da formatori e formatrici. Ci siamo sforzati di scoprire quali erano le sfide che si pongono oggi allo juniorato. Abbiamo individuato le aree più significative da sostenere e cercato insegnanti che per la loro ampia esperienza e la loro perizia nelle materie loro assegnate, con la loro amabilità, la loro comprensione della vita religiosa e la loro conoscenza della gioventù di oggi, potessero aiutare a raggiungere l’ideale desiderato e in effetti non siamo rimasti delusi.

L’iniziativa della conferenza dei religiosi/e del Cile non è certamente l’unica. Centri analoghi sono stati istituiti anche altrove. Ciò che la qualifica è tuttavia la serietà con cui questa esperienza è stata ed è portata avanti: un’esperienza che va ben oltre le vecchie categorie formative e che guarda avanti, verso un domani in cui le vocazioni saranno meno numerose, ma meglio formate e più preparate ad affrontare le sfide del futuro.