LA VITA CONSACRATA NEL TERZO MILLENNIO
UNIRE MISTICA E AZIONE PROFETICA
La vita consacrata
del terzo millennio deve trovare la giusta integrazione tra dimensione mistica
e azione profetica. Deve partire cioè da un ritorno all’essenziale per
diventare profezia per il regno di Dio. Una sintesi ancora lontana dall’essere
compiuta.
Nei 40 anni trascorsi dal concilio, osservando il cammino compiuto dalla
vita consacrata, si ha l’impressione che permangano ancora delle gravi lacune
in riferimento a quelli che possono essere definiti le colonne postanti su cui
si regge: riguardo cioè all’esperienza di Dio, in cui non si è ancora
effettuata la sintesi tra azione e contemplazione; alla vita comunitaria che
non è stata in grado di passare da uno stile di vita in comune centrata sulle
osservanze regolari, a una vita comunitaria basata sulle relazioni personali e
un’autentica “amicizia nel Signore”, mentre nell’apostolato si è caduti in un
attivismo che ha trasformato alcuni religiosi/e in bravi “impresari
apostolici”, ma forse non in testimoni del Vangelo.
È giunto quindi il momento di ritornare alle radici, di riaffermare i
fondamenti su cui poggia ; e il fondamento è la roccia che è Cristo: «Infatti
nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è
Gesù Cristo» (1Cor 3,11).
È il tema su cui insiste p.Carlos Palmés sj, in un articolo – il primo di
una annunciata trilogia – apparso sulla rivista CLAR della Confederazione
latinoamericana dei religiosi (novembre-dicembre 2003) intitolato La VidaReligiosa
en la encrucijada del Tercer Milenio (La vita religiosa nel crocevia del terzo
millennio).
In questi 40 anni, ma soprattutto in quest’ultimo decennio, scrive, è
maturata un po’ dovunque la convinzione che se si vuole infondere rinnovato
impulso alla vita consacrata non bastano più delle soluzioni parziali e
sensazionali. Bisogna piuttosto riandare alle radici, ai fondamenti. Ne sono
convinti anche molti superiori generali i quali hanno tradotto questa
convinzione con l’espressione “rinascere”, mentre altri, non soddisfatti di
questo termine, hanno parlato di “rivitalizzare” la vita consacrata o di
“fedeltà creativa” oppure ancora di “andare alle radici, all’essenziale”. Ma,
sottolinea p. Palmés, al di là delle parole, tutti sono d’accordo nel sostenere
che bisogna recuperare il radicalismo evangelico, la fedeltà al primo amore;
una fedeltà creativa di una vita consacrata che sia però incarnata nel mondo
attuale.
Sono queste anche le linee su cui si sono orientati i lavori preparatori al
congresso sulla vita consacrata che l’USG e l’UISG stanno organizzando, e che
avrà luogo a Roma dal 23 al 27 novembre di quest’anno, sul tema Passione per
Cristo passione per l’umanità; linee che sostanzialmente coincidono anche con
quelle maturate nell’assemblea CLAR che si è tenuta a Città del Messico nel
giugno-luglio del 2003, dove si è insistito molto sulla necessità di unire
insieme mistica e profezia: mistica intesa non come esperienza di fenomeni
straordinari, ma come un «rimanere in Lui» in modo tale che l’azione di Dio
giunga a pervadere tutta la persona in un’unione intima fondata sull’amore e ne
abbracci l’affettività profonda, così che essa non viva solo per se stessa ma
anche per gli interessi del regno di Dio.
È evidente, rileva p. Palmés, che una vita di preghiera superficiale non
porta né a vivere questa unione mistica né a trasformare la vita dal di dentro.
Ma, ribadisce, l’esperienza mistica deve tradursi nell’azione profetica.
Descrivendo questa esigenza, durante l’assemblea della CLAR, p. Simon Pedro Arnold,
abate benedettino, ha affermato: «Il nostro esagerato attivismo… ha come
conseguenza la perdita del filo profetico della nostra azione, che viene
ridotta a una semplice attività sociale, politica o di assistenza, e
dell’ardore mistico». Lo spirito profetico, commenta da parte sua p. Palmés,
deve manifestarsi soprattutto nell’apostolato, ma un apostolato che scaturisca
dalla fede e dall’amore. L’apostolato non consiste infatti nel fare progetti o
nell’organizzare riunioni, ma nel comunicare l’esperienza di Dio, come scrive
l’apostolo Giovanni: «Ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con
i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno
toccato, ossia il Verbo della vita… lo annunziamo anche a voi» (1Gv 1,1-3).
Approfondendo la riflessione (il riferimento è soprattutto all’America
latina, ma vale anche per ogni altra parte) p. Palmés osserva che ci sono
indubbiamente nella vita consacrata uomini e donne di Dio, persone di preghiera
che vivono un alto grado di fede e di amore che poi pervade i loro rapporti con
gli altri e il loro impegno apostolico. Ma, si domanda: è temerario affermare
che ampi settori della vita consacrata non vanno oltre un’aurea mediocrità
nella loro esperienza di Dio? che vi sono religiosi/e che mai sono giunti a
innamorarsi di Cristo, a “perdere un po’ la testa per lui” e a gustare la
soavità delle consolazioni spirituali che lo Spirito concede a chi ha il cuore
puro? persone che non hanno dato a Dio l’opportunità di “impossessarsi”dei loro
pensieri e dei loro criteri, della loro capacità affettiva, di tutto il loro
tempo, delle loro prospettive? che c’è molta mediocrità spirituale e ciò spiega
in parte la vulnerabilità di tante vocazioni, la perdita di entusiasmo,
l’abbandono della strada intrapresa in un numero molto elevato, l’ambiguità
della vita di tante persone consacrate, la mancanza di significato di una
donazione fatta a metà?
Esaminando l’evoluzione della vita consacrata nel corso della storia, p.
Palmés ha rilevato quanto sia stato difficile nel corso dei secoli riuscire a
integrare tra loro azione e contemplazione. Non è stato agevole nemmeno
trovare la formula esatta. E anche oggi si ha l’impressione che molti non ci
siano riusciti. È facile infatti passare da un estremo all’altro; cioè da una
forma di contemplazione che esclude ogni apostolato a un attivismo esagerato in
cui non c’è tempo per la contemplazione.
Se si guarda, per esempio, al rapporto tra vita comunitaria e missione
evangelizzatrice ci si accorge che esiste un notevole squilibrio delle parti:
mentre si dedica gran parte delle energie e del tempo alla missione, la vita
comunitaria e la preghiera sono ridotte al minimo. Altrettanto frequente è
trovare uomini e donne, eminenti come professionisti e amministratori, ma
mediocri come religiosi/e. La loro vita spirituale è superficiale e quella
comunitaria si riduce al semplice “buon vicinato”.
Nelle riunioni dei religiosi/e, ma anche nelle conversazioni private,
prosegue p. Palmés, è frequente sentir dire che siamo caduti nel “peccato”
dell’attivismo, ma siccome il ritmo della vita ci afferra sono pochi coloro che
se la sentono di cambiare. Non è questione solo di orari, è la scala dei valori
che sta sotto che è compromessa.
Tra le donne, prosegue il padre, è meno frequente l’abbandono della
preghiera; esse sono più pie, ma capita che diano grande importanza, quasi
unicamente, alla preghiera vocale e alle pratiche di pietà. Molte sono “donne
che recitano preghiere”, ma non sempre “donne di preghiera”. Riservano del
tempo per assolvere a un obbligo, ma spesso le loro preghiere non toccano la
vita. E ciò suole accompagnarsi con una formazione superficiale che produce
religiosi/e di seconda categoria.
Gesù come buon israelita recitava tutte le preghiere prescritte dal culto
giudaico, ma ciò che caratterizzava la sua preghiera era l’intimità del dialogo
di amore e l’abbandono totale nelle mani del Padre. Trascorreva molte ore in
preghiera in luoghi solitari (Lc 5,16) e a volte passava notti intere pregando
(Lc 6,12) Ma questo non gli impediva di dedicarsi all’apostolato senza
risparmio.
Si può affermare pertanto che il termometro per misurare la qualità della
vita religiosa è, oltre a una vita apostolica impegnata, una vita di preghiera
che trasforma e una vita di comunità veramente fraterna.
CAUSE
DELL’ATTIVISMO
La ragione per cui ci si è lasciati andare all’attivismo, prosegue p.
Palmés, è il disordine che si è introdotto nella scala dei valori. È una storia
molto comune quella di chi ha iniziato con grande entusiasmo la sua attività
apostolica, conservando il giusto rapporto tra la vita interiore e le relazioni
fraterne. Poco alla volta però l’apostolato ha finito col richiedere più
tempo, più attenzione, più dedizione e maggiori energie. D’altra parte in
comunità ciò che si stimava era l’efficienza e così ognuno andava per conto suo
al proprio lavoro. Dopo alcuni mesi, l’attività apostolica ha assorbito a tal
punto la persona che tutto il resto è passato in secondo ordine.
Certamente non è venuta meno la stima per la vita di preghiera, ma con
l’andare del tempo essa si è ridotta al minimo e la sua qualità è divenuta
insignificante. Sono scomparse del tutto anche le consolazioni spirituali e la
gioia quotidiana dell’incontro con il Signore. La preghiera si è ridotta a una
delle tante cose da fare. Non è più la fonte da cui ogni altra cosa prende
significato. Poi si è trovata la giustificazione ideologica di questo modo di
vivere, affermando che ciò che conta è agire con retta intenzione, incontrare
Dio nella vita, servire il prossimo. Ciò è vero, solo che con il tempo anche
questo perde progressivamente di colore e si trasforma in routine se non è
alimentato da una preghiera contemplativa costante e prolungata.
In questo modo, osserva p. Palmés, il religioso/a è diventato un “piccolo
mostro” con una testa piccola, il cuore angusto e le mani lunghe. L’attivismo
gli ha atrofizzato gli altri aspetti fondamentali della sua vocazione. Si è
così passati dalla contemplazione alla recita di preghiere.
Nella mia lunga esperienza di accompagnamento spirituale, di predicatore di
esercizi e di ritiri ai religiosi/e e sacerdoti, sottolinea p. Palmés, ho
notato che non sempre si utilizzano i mezzi adeguati per realizzare l’ideale
delle costituzioni. Ci sono coloro che si accontentano della recita pura e
semplice delle lodi e dei vespri, a volte accompagnata da un momento di
“meditazione”, fatta in fretta, tanto per compierla. Si tratta di una preghiera
“di riempimento” forse mentre si attende il sacerdote per la messa, o di una
preghiera da “passerotto” che becca qua e là, tanto per tranquillizzare la
coscienza. Tutto ciò non sembra sufficiente per giungere a una vita spirituale
solida e consistente. Si richiede piuttosto ogni giorno un tempo prolungato di
incontro personale con il Signore, che aiuti a giungere a una conoscenza
sapienziale di Gesù e a cambiare i criteri mondani con quelli del vangelo, gli
atteggiamenti egoisti con quelli di solidarietà, gli interessi personali con
quelli del regno di Dio; infine, che faccia crescere nella fede e nell’amore di
Dio e dei fratelli. Questo è l’itinerario: “non è possibile conoscerti e non
amarti; non è possibile amarti e non seguirti”, si chiami questa lectio divina
o contemplazione oppure preghiera personale.
Questo, commenta p. Palmés, è il punto centrale, l’esperienza fondante
della vita religiosa, la fonte da cui scaturisce il significato della vita
consacrata e di ogni apostolato. Ciò che distingue l’autenticità della
preghiera è la trasformazione che essa opera della vita per conformarla al
Vangelo.
Naturalmente, conclude il padre, nel cammino di rinnovamento di un
istituto, oltre ad affermare questi aspetti, bisognerà fare anche altri
cambiamenti, benché ciò possa essere risentito come doloroso. Non bisogna
considerare un’infedeltà al carisma se si toccano usi e costumi di altri tempi.
Per esempio, forse occorrerà rivedere la durata di un solo anno del noviziato,
gli esercizi annuali predicati e abbreviati, le grandi opere tradizionali
chiuse ai poveri, la formazione affrettata per motivi apostolici, lo stile
superficiale della vita comunitaria, la povertà e un’austerità bisognosa di
troppe spiegazioni, ecc. E al di sopra di tutto, la mancanza di una vita
spirituale solida e profonda fondata sulla preghiera personale. «Non esiste
altro legittimo apostolato che di proclamare quanto abbiamo sperimentato
nell’intimità della contemplazione. Se non partiamo dall’esperienza di Dio, la
nostra attività sarà sociologica o antropologica oppure scientifica, molto
encomiabile, ma non sarà annuncio del Vangelo a cui sono chiamati i religiosi e
le religiose di vita apostolica».