GUARDANDO AL FUTURO DEL MONDO E IN CASA NOSTRA

VINCERE LA SFIDUCIA

 

Dai recenti sondaggi della Gallup International emerge la sensazione diffusa a livello mondiale di un futuro pieno di incertezze, dove la sfiducia sembra prevalere sulla speranza. È una realtà che ci interpella come cristiani e sollecita la Chiesa a un impegno _più deciso, anche qui in casa nostra.

 

Lo scorso gennaio è stato pubblicato un rapporto frutto di un sondaggio promosso e realizzato dalla Gallup International, compagnia americana esperta in ricerca sociale. Esso è stato pensato in vista della riunione del World Economic Forum che si è tenuto alla fine dello scorso gennaio a Davos, la nota località invernale della Svizzera.

Si tratta di un sondaggio in sette domande. Di esse, le ultime due sono articolate in altre cinque. Le quindici domande riguardano la situazione del mondo d’oggi in confronto con quella di dieci anni fa e, proiettandosi nel futuro, la situazione che troverà la prossima generazione quanto a sicurezza e a benessere. Viene anche esaminata l’attuale situazione dei singoli paesi in termini più dettagliati, a partire dalla sicurezza internazionale, a quella ambientale, nazionale, economica e sociale, con particolare riferimento alla sicurezza sociale, ossia l’assistenza sociale e la pensione, nel tempo della vecchiaia.

Il sondaggio è stato effettuato intervistando direttamente o per telefono 43 mila persone in 51 paesi diversi, nel corso dell’anno 2003, prima della cattura di Saddam Hussein e della decisione del colonnello Muammar Al-Gheddafi di rinunciare alle armi di distruzione di massa: queste due precisazioni servono a dare la giusta dimensione delle paure e delle speranze degli intervistati. La Gallup International stima che quest’intervista possa onestamente rappresentare le opinioni di 1,1 miliardo di persone nel mondo.

È impensabile dare qui una sintesi delle risposte al sondaggio (e ancora meno i dettagli) che sono, per altro, molto interessanti. Presentano, come è ovvio, delle opinioni che possono essere discutibili, come tutte le inchieste e le statistiche del mondo (ne abbiamo prova nel nostro paese dove raramente Istat e Eurispes sono d’accordo nelle analisi), ma che non si possono ignorare. Esse offrono l’occasione per utili riflessioni e collegamenti sulla situazione della gente, sulle paure e le speranze che la caratterizzano in questi primi anni del nuovo secolo o, se si preferisce, del nuovo millennio. È a questa gente che noi dobbiamo annunciare la Lieta notizia della salvezza. Vogliamo vederne alcune.

 

PIÙ PAURA

CHE SPERANZA

 

Anzitutto c’è una prima constatazione cui è difficile sfuggire. L’inchiesta trasuda un sentimento di paura e di insicurezza e di corrispondente sfiducia nelle istituzioni. Non vi si trovano molte ragioni per essere allegri né per dormire in pace… Sono troppi i segni di sfiducia e di paura che pervadono gli abitanti del mondo d’oggi, specialmente quelli dei paesi occidentali: sembra un’onda lunga e inarrestabile di pessimismo che rischia di sommergerci.

Alla domanda se la situazione interna del proprio paese sia più sicura o meno sicura di quanto era dieci anni fa, la grande maggioranza di coloro che hanno risposto trova che essa è meno sicura (57%), mentre solo il 22% afferma che ora “va meglio”. Guardando più da vicino le risposte, il 79% dei latino-americani accusano una minore sicurezza, così pure gli africani (63%) e gli abitanti dell’Europa occidentale (58%). La stessa cosa vale per la domanda sulla situazione economica in generale: il 50% degli intervistati afferma che oggi c’è meno benessere di dieci anni fa, mentre solo il 31% dice il contrario. Nell’ambito europeo gli abitanti dei paesi che non hanno cambiato la moneta si dichiarano più contenti della loro situazione economica a differenza di quelli che abitano i paesi che hanno adottato l’euro.

In Africa, fatta eccezione dell’Uganda e della Nigeria, più della metà degli intervistati (62%) sono convinti che ora va meglio che dieci anni fa, mentre un terzo (31%) è di parere contrario. È interessante vedere come si sono espressi nei vari paesi: per es. in Camerun e Kenya i due pareri si equivalgono, il Sudafrica già sente una differenza in negativo: andava meglio dieci anni fa, ma l’opinione contraria non è molto lontana (41 e 40 %).

Quando lo stesso interrogativo viene posto a livello della famiglia (“Pensando a te alla tua famiglia, ritieni che essa stia sia economicamente meglio oppure peggio di dieci anni fa?”) le opinioni cambiano e sembrano equivalersi: il 37% ritiene che la propria famiglia stia meno bene che dieci anni fa, mentre il 36% pensa che stia meglio. Coloro che sentono il peso di un benessere che non c’è più sono soprattutto le famiglie dell’America Latina e dell’Europa centrale e orientale (ex comunista) e della regione del Pacifico. In America del nord, nel Medio Oriente, nell’Asia occidentale la gente pensa che le famiglie stiano oggi meglio di dieci anni fa. In Africa i pareri si dividono quasi ugualmente, ma a livello di singoli paesi abbiamo delle situazioni diversificate: in Uganda, Kenya e Nigeria l’opinione è più ottimistica: si sta oggi meglio di dieci anni fa. Non così in Camerun e in Sud-Africa.

 

UN FUTURO

PIÙ SICURO?

 

Alla domanda se la prossima generazione godrà di maggiore e o minore sicurezza, gli abitanti dell’Europa occidentale hanno espresso delle previsioni più pessimistiche: la prossima generazione avrà da soffrire una maggiore insicurezza politica. Essi sono convinti (64 % degli intervistati) che la prossima generazione si troverà in una situazione di maggiore precarietà sociale, politica ed economica. Solo il 15 % pensa il contrario.

Questa previsione pessimista è confermata anche a livello generale del mondo: 48% contro il 25%. Essa riflette la percezione del momento presente: dopo l’11 settembre 2001, ma non solo, stiamo andando verso tempi che non ci promettono nulla di buono: terrorismo, guerre preventive e difensive, migrazioni forzate di popolazioni, malattie; tutto contribuisce a rendere oscuro l’orizzonte della storia.

Alla stessa domanda in Africa e in Europa orientale è stato risposto invece con più speranza. Non è strano che i paesi che sono oggi vittima di conflitti e di problemi di povertà e sottosviluppo, siano quelli che fanno prova di maggior ottimismo: forse perché peggio di come sta andando, non potrebbe andare e sperare non costa niente. In Africa sono più quelli che sperano per il futuro (38%) di quelli che temono (32%), in Europa dell’est 32% contro 30%. Più della metà degli abitanti dell’Uganda e quasi la metà di quelli del Kenya in Africa pensano che il futuro sarà sotto il segno di una maggiore sicurezza, mentre la metà dei sudafricani già non condivide più quest’opinione. Anche gli intervistati in Afganistan, India e Pakistan attendono con speranza il futuro.

Questo divario si spiega abbastanza facilmente: i paesi occidentali ed europei non credono che il terrorismo internazionale e i problemi correlati possano essere superati nel prossimo futuro o, quanto meno, non prevedono una vittoria nel breve periodo. Del resto anche i politici, dopo tante bugie, non osano più promettere un successo rapido e decisivo.

La sicurezza nazionale è giudicata povera in tutti i continenti e pochi sono i paesi che si aspettano un miglioramento nel prossimo futuro. Ma non è solo sul piano politico che si prospettano tempi di insicurezza. Molti sono anche quelli che hanno paura per il futuro, perché temono di perdere l’assistenza sociale e la pensione: sono il 45% (contro il 22% che pensa che in questo campo non ci saranno problemi). Il problema è sentito molto in Europa occidentale e orientale e nei paesi dell’America Latina, ma anche nelle regione del Pacifico, meno invece in Asia. È un dato del nuovo ordine mondiale della globalizzazione il tentativo di smantellare lo stato sociale.

 

UN MONDO

CARICO DI SFIDUCIA

 

Pensando a quello che abbiamo letto nel rapporto della Gallup International e facendo qualche confronto con il nostro paese, quali sono le conclusioni che possiamo trarre noi religiosi e gente di Chiesa dalla lettura del Rapporto? La prima cosa da dire è che tutto questo ha un senso per noi, perché ci permette di conoscere meglio la gente alla quale noi annunciamo il Vangelo, in modo da fare del nostro annuncio una parola che arrivi a toccare il cuore e l’intelligenza degli ascoltatori. Non sono argomenti estranei alla nostra evangelizzazione e in ogni caso si tratta di preoccupazioni che occupano il cuore dei nostri ascoltatori e della nostra gente. De re nostra agitur, direbbero gli scolastici.

Se ci guardiamo attorno e ascoltiamo la gente che viene in contatto con noi, possiamo renderci conto che attualmente la nostra generazione vive con una sindrome di sfiducia. Il 2003 ci ha lasciato una eredità che Tommaso Padoa Schioppa, membro della Banca centrale europea, ha definito orribile: l’inerzia e l’eclissi dell’ONU oscurata e umiliata dalla guerra in Iraq; il fallimento del vertice di Cancún che doveva riformare il sistema del commercio mondiale in favore dei paesi più poveri; il fallimento della conferenza di Bruxelles che non è riuscita ad approvare la Costituzione dell’Europa; le violazioni del trattato di Ginevra sui prigionieri di guerra; la revoca della firma del Trattato di Kyoto che poteva salvare il mondo dall’«effetto serra»; soprattutto la disfatta del diritto internazionale con la dichiarazione della guerra all’Iraq da parte degli USA; lo smantellamento di istituzioni messe in piedi per garantire la pace (v. l’ONU) e uno sviluppo equo e solidale; la crescita del sistema della deregulation che dà sempre più potere all’economia e favorisce l’instaurarsi di un sistema che privilegia i potenti e i ricchi escludendo impietosamente i poveri dalla condivisione del potere.

Ma anche qui a casa nostra sentiamo crescere la sfiducia nelle istituzioni, nei centri di potere, nei partiti e nei governi. La gente va sempre meno a votare, probabilmente perché ha l’impressione di non riuscire più a controllare il processo della ricerca del bene comune. Anche a livello del potere, si direbbe si faccia di tutto per far perdere la fiducia: la menzogna usata sistematicamente e senza alcuna vergogna, anche da gente di governo, la litigiosità della classe politica che si perde nelle proprie faide e dimentica il bene del paese, una maggioranza che legifera sulla base della sfiducia nella magistratura, la sfiducia nel pluralismo dell’informazione, la sfiducia nell’opposizione. Quest’ultima, a sua volta, non sembra più in grado di intervenire efficacemente, critica aspramente il governo ma non riesce a elaborare dei progetti alternativi.

L’impressione è che la sfiducia si sia ormai istallata nella nostra gente, e forse anche in noi e nelle nostre comunità togliendoci la voglia di sperare. Ma senza fiducia, non possiamo neppure metterci a progettare quello che possiamo fare. Ci dicono gli economisti che senza fiducia non funziona neppure il mercato, immaginiamoci il resto!

 

QUAL È

IL NOSTRO IMPEGNO?

 

È presto detto, ricuperare e far crescere la fiducia e la speranza. Abbiamo in noi quello di cui abbiamo bisogno, non occorre che andiamo a chiederlo in prestito a nessuno. Noi, comunità della risurrezione di Gesù Cristo, abbiamo il principio della speranza iscritto dentro la nostra vocazione cristiana e religiosa. La vicenda di Gesù di Nazaret non avalla l’ordine dei potenti, ma lo contesta. Con il suo stesso esistere, il Risorto dice che il potere non è per nulla vincente, che gli umili e i poveri non sono nati per fare da marciapiede ai potenti di questo mondo, che i poveri possono essere “beati” e che il mondo può diventare regno di Dio. Il male non ha e non avrà l’ultima parola.

Grazie a questa speranza, noi possiamo e abbiamo il dovere di essere punti di riferimento per la speranza di tutti. Noi non abbiamo progetti politici nostri, ma abbiamo la forza dello Spirito del Risorto per alimentare la speranza di tutti.

Dobbiamo cominciare col conoscere i problemi e non girare lo sguardo per non vederli, come spesso avviene sotto l’influenza di un certo spiritualismo che non ha nulla da spartire con la vita cristiana e con la vita religiosa. Non basta pregare e far dei sacrifici: la preghiera deve diventare fonte della riflessione e dell’azione.

Dobbiamo ritrovare lo spirito di alcuni documenti della CEI che hanno aiutato la chiesa italiana negli anni 80-90: la Nota pastorale su La chiesa italiana e le prospettive del paese dell’ottobre 1981, Educare alla legalità del 1991, Stato sociale ed educazione alla socialità del 1993. Nella pletora dei documenti questo spirito rischia di perdersi lasciandoci senza riferimenti per la nostra azione sociale.

Dobbiamo stimolare i nostri pastori perché parlino, perché non cadano vittime di un’afasia, prodotta dalla paura di offendere i potenti. Dobbiamo noi stessi vincere la paura e la sfiducia e sostenere quelle persone che si impegnano in politica per il bene di tutti e non solo di qualcuno. La peggior cosa che potremmo fare in questo momento sarebbe di starcene alla finestra a guardare come e dove vanno a finire le cose. Noi abbiamo la possibilità di animare la gente e di aiutarla a reagire a questa sfiducia, a vincere la tentazione dell’inerzia, del lasciar andar avanti le cose, di delegare ai politici tutto. Bisogna vegliare per non lasciarci lavare il cervello dalla propaganda e dalle chiacchiere dei politici, e vegliare perché coloro che sono stati mandati a rappresentarci rispondano davvero alle nostre attese ed esigenze.

Dobbiamo soprattutto esigere che la politica riprenda in mano l’economia e le dia delle norme etiche affinché il denaro non sia più il padrone di tutto. Tutto questo sistema di condoni fiscali “tombali” devono essere smascherati non come sistemi sani di ricupero del denaro pubblico, ma come sono: legalizzazioni degli abusi e dei crimini di chi non paga le tasse. È ora che la politica come ricerca del bene di tutti ritrovi la sua centralità e esca dalla sudditanza all’economico e al finanziario.

In un mondo che sta rovinandosi sotto i nostri occhi, dove i più gravi problemi come la fame, la malattie, la disoccupazione, la legalizzazione della ingiustizia, la precarietà… rimangono volutamente irrisolti, noi gente di chiesa non dobbiamo stancarci di parlarne e di disturbare la pace di coloro che vorrebbero essere lasciati in pace a saccheggiare il bene di tutti.

Gesù Cristo ci ha insegnato che l’uomo viene prima del sabato e che questo è in funzione dell’uomo. E per questa ragione egli ha pagato il conto morendo sulla croce. Non possiamo starcene quindi a guardare i ladroni che dilapidano il bene di tutti. È dovere di ogni cristiano (anche di ogni uomo) preoccuparsi del futuro per preparare un mondo che sia vivibile per le future generazioni.

 

Gabriele Ferrari s.x.