I RISULTATI DI UNA RECENTE INDAGINE

I “NUOVI ANZIANI” UNA GRANDE RICCHEZZA

 

I “nuovi anziani”, dai 55 ai 70 anni, sono sempre più numerosi anche in Italia. È un mondo sommerso tutto da scoprire. Un mondo ricco di potenzialità nel campo della cultura, del volontariato e di altri impegni socialmente significativi, in quello ecclesiale.

 

Il mondo anziano è un universo ancora troppo sommerso. Proprio per questo la recente inchiesta coordinata dal presidente Unisped (università sperimentale decentrata), don Mario Allario sui “nuovi anziani”1 può sicuramente aiutare a scoprire una realtà che riguarda da vicino anche le attività di tanti istituti religiosi, soprattutto femminili. Questa indagine sociologica è stata pensata e realizzata sulla base di una ipotesi di partenza: i nuovi pensionati sono una “nuova” realtà o continuano la loro vita e i loro interessi sulla scia dei pensionati tradizionali?

Diventare anziani o pensionati oggi, commenta don Allario, «è diverso da come avveniva nelle società precedenti». Il fenomeno allora era numericamente più limitato; la media della vita era decisamente più bassa; ciò di cui ci si occupava erano soprattutto i “grandi anziani” (i centenari); ma soprattutto, né economicamente né strutturalmente lo stato non si era mai accorto della loro esistenza.

Oggi le cose sono cambiate. Alla contestazione giovanile degli anni sessanta ne è succeduta una più silenziosa, quella appunto dei “giovani anziani”. «Si può dire però che questa contestazione silenziosa ha avuto e ha un grande valore perché è continuativa, permanente. Il mondo degli anziani è vivo e ha ben diritto di essere studiato e approfondito come parte integrante di tutta la società». Tutti gli sforzi fatti per scoprire le attese e gli interessi di queste categorie di persone, i loro cambiamenti culturali, antropologici e sociali, non possono non essere salutati con favore. Infatti ci sono dati nuovi, nuove prospettive e possibilità forse ancora troppo dimenticate da tanti operatori sociali.

Lo sforzo operato dagli autori di questa indagine aveva uno scopo ben preciso: individuare e capire le volontà operative e gli aspetti razionali di quanti vengono chiamati appunto nuovi anziani; solo in questo modo poteva essere possibile individuare tutte le risposte più adeguate alle loro attese; ma questo è un capitolo che «appartiene a un libro ancora tutto da scrivere».

 

IL LORO INTERESSE

RELIGIOSO

 

I nuovi anziani di questa indagine sono persone dai 55 ai 70 anni; ne sono state intervistate complessivamente 1.754, di cui il 62% donne. Da loro si è voluto sapere qualche cosa di più preciso sulla famiglia, i figli, i nipoti, il lavoro, il patrimonio religioso, il vissuto sessuale e l’innamoramento in età anziana, il tempo libero, gli avvenimenti politici, le aspettative personali, le aspettative verso la Chiesa, i problemi personali e sociali del nostro tempo. Tra gli interessi specifici colpiscono, ad esempio, la ricerca di una “spiritualità umana”, l’interesse per tanti aspetti culturali, la valorizzazione del tempo disponibile proprio nella vita di un anziano, l’esigenza di significative forme di socializzazione, l’accoglienza di un argomento come quello della sessualità, nonché un nuovo modo di rapportarsi alla comunità cristiana.

Dall’indagine, osservano i curatori, emerge un interesse particolare per una “spiritualità umana” ben vissuta, vale a dire il desiderio di vivere la totalità delle doti umane. Anche se l’età anziana comporta spesso parentesi dolorose e mortificanti a causa delle sempre più precarie condizioni di salute, questo però non significa rinunciare a vivere intensamente la propria umanità, predisponendosi a dare un senso anche alle evenienze più problematiche. Così la spiritualità umana può sicuramente aiutare a convivere con il male fisico. Più si è spiritualmente preparati ad affrontare una malattia, più sarà facile reagire positivamente; se poi su questa base umana si innesta anche una fede cristiana, sarà più facile allora una soluzione a problemi umanamente impossibili.

È significativo, in questa indagine, il fatto di come il percorso di adesione o meno a una fede o a una prassi religiosa sia spesso parte integrante di un vissuto storico personale; infatti «la vita rapportata al fatto religioso vissuto, oltre che conservare tutta la sua valenza, fa rivivere i valori e spesso ha anche la capacità e la gioia di trasmetterli ad altri».

I temi religiosi dell’indagine hanno spaziato dalla importante doman­da su Dio, la Chiesa, la pratica religiosa, la preghiera. Nessuna pretesa di esaustività in questa ricerca; più semplicemente ci si è preoccupati di conoscere gli interessi degli anziani di oggi circa i dati e i fatti religiosi. Da molte risposte non emerge con chiarezza, per la verità, il perché di un’affermazione positiva o negativa in proposito; è possibile però capire fino a che punto la religione e la pratica religiosa in genere continuino a suscitare nei “nuovi anziani” un certo interesse.

Se l’86% degli intervistati afferma di credere in Dio, questo può significare che Dio per loro costituisce un valore che resi­ste nei confronti di messaggi spesso dissacranti del nostro tempo. Se il 50% afferma di frequentare regolarmente le pratiche religiose, questo può confermare una non indifferente tenuta di quel patrimonio religioso che ha costituito di fatto un insostituibile punto di riferimento in tutta la loro vita. Notevolmente più alta poi è la percentuale di quanti pregano abitualmente o almeno qualche volta, con una “scontata” prevalenza femminile in proposito.

Risaputa e confermata anche da questa indagine è l’importanza della socializzazione per degli anziani. Volutamente è stato chiesto quanto la parrocchia potesse essere per loro un punto di riferimento. Non a caso la popolazione anziana interpellata vive in grandi città come Roma, Torino, Bologna, Palermo, Cagliari e Bari. Due terzi degli intervistati (non dimentichiamolo, dai 55 ai 70 anni) risponde positivamente a questa domanda. Permane comunque sempre alta la percentuale di quanti la pensano diversamente; questa percentuale poi aumenta ulteriormente quando si chiede agli intervistati se abbiano mai partecipato a delle attività promosse dalla propria parrocchia; i no sono quasi il 40%.

A questo riguardo una mia esperienza personale può forse aiutare a comprendere il senso di queste risposte. Quand’ero parroco a Roma ero stato tra i primi ad accogliere, più di una decina d’anni fa, la proposta di don Mario Allario di aprire nella mia parrocchia di Cristo Re, nel quartiere Prati, una sezione dell’Unisped. La risposta è stata immediata. Grazie ad alcune proposte di carattere culturale, in parrocchia ho visto arrivare persone mai viste né incontrate in tutti gli altri momenti aggregativi religiosamente più connotati. Oggi la Chiesa italiana si sta seriamente (e finalmente) interrogando sul come rendere più missionario il volto delle proprie parrocchie. Mai come oggi stiamo forse scoprendo la ragion d’essere di fondo di una realtà parrocchiale: l’annuncio del messaggio cristiano. L’efficacia di questo annuncio non può prescindere però da una piena valorizzazione di tutto ciò che, in ambienti come i nostri, sul piano umano e culturale dà senso all’esistenza umana. Quante persone di buona volontà non sono ancora pronte a varcare la “soglia del tempio”. Una proposta culturale può aprire molte più porte di quanto non si pensi.

 

“NUOVI ANZIANI”

E PARROCCHIA

 

«Più cultura meno invecchiamento precoce»: questo slogan proposto a migliaia di persone non poteva non avere una significativa risonanza anche nell’indagine sui “nuovi anziani”. Giustamente si osserva che «finora non è ancora stato pensato un progetto culturale anche per le persone anziane»; non è stato pensato né dallo stato né dalla Chiesa. Lo stato, spesso, non è andato oltre la creazione dei “Centri anziani”. La Chiesa italiana, dai tempi del convegno di Palermo, sta perseguendo un suo progetto culturale; i presupposti da cui parte e gli obiettivi che intende raggiungere sembrano a volte prescindere interamente da quella viva esperienza culturale che una semplice e insieme lungimirante proposta come l’Unisped ha saputo inventare in una città disgregante come Roma.

Con la cultura, osserva don Allario, «si amplia la vita comunitaria, si realizzano programmi di viaggi, vacanze, si possono programmare mostre, partecipare a manifestazioni, feste, congressi… in una parola, la cultura per le persone anziane può costituire una grande risorsa».

Opportunamente i curatori dell’inchiesta hanno voluto evidenziare la differenza tra tempo libero e tempo disponibile. Quanto spesso nella vita di un anziano il tanto tempo libero diventa anche tanto tempo perso; questo succede quando viene meno lo stimolo a destinare a spazi e tempi per cose utili per sé e per altri. Nel volontariato in Italia ci sono anche tanti anziani; potrebbero essere molti di più, se solo cambiasse la prospettiva con cui valutarne le potenzialità; il pensionato, infatti, «finora è stato considerato più un essere passivo, che attende, che spera, che chiede aiuto, e non invece una persona ancora capace di essere attivo, protagonista insieme agli altri».

 

In questo modo sarebbe garantito anche il perseguimento di un obiettivo fondamentale nella vita degli anziani, quello della socializzazione. In tutti loro, infatti, c’è spesso il desiderio, il bisogno di parlare, dialogare, incontrare persone, creare nuove amicizie. È questa la ragione per cui, si osserva nell’indagine, molte persone anziane sono fedelissime alle funzioni religiose anche quotidiane. Nulla di grave, anzi tutt’altro, se anche la preghiera diventa occasione di incontro, di socializzazione. Quanti gruppi giovanili, del resto, si consolidano come gruppo anche attraverso incontri di preghiera. Perché non riconoscere la valenza positiva di analoghi incontri anche nella vita degli anziani, sia pure in tempi e modalità diverse?

Anzi è proprio questa indagine a dirci che le persone anziane non devono essere considerate una categoria a parte ma realtà vive di comunità attive. In una parrocchia, si permettono di suggerire i curatori dell’inchiesta, il posto dei nuovi anziani potrebbe essere determinante per l’impostazione di molte attività; basti pensare a settori come: anagrafe parrocchiale, caritas, oratorio, feste, celebrazioni, gite, soggiorni, catechisti, missioni, vocazioni, ripetizioni, corsi di informatica, di lingue straniere, di ginnastica motoria. In altre parole, quante professionalità dei nuovi anziani potrebbero trovare uno straordinario sbocco, importante per sé e per altri, in una realtà aggregativa come la parrocchia.

Ma il coinvolgimento di un “giovane anziano” in una parrocchia, ci permettiamo di aggiungere, potrebbe essere sapientemente motivato anche da altre esigenze. Il calo numerico dei sacerdoti è sotto gli occhi di tutti; già ora, in non poche diocesi, molti sacerdoti si devono sobbarcare alla responsabilità diretta di più parrocchie contemporaneamente. Soprattutto nelle grandi città prese in considerazione dalla nostra indagine, di fronte a parrocchie di venti, trentamila abitanti (e anche di più, almeno a Roma), è impensabile che i sempre più pochi sacerdoti possano coprire le tante esigenze di una realtà parrocchiale.

 

Non si tratta, oltretutto, di una semplice questione di numero, ma anche e soprattutto di una nuova visione teologica ed ecclesiale del problema. Stanno cambiando, forse troppo lentamente, le ragioni della presenza dei laici, giovani e non giovani, nelle nostre realtà ecclesiali. C’è voluto un concilio ecumenico come il Vaticano II a ricordarci che la Chiesa non è costituita solo dalla gerarchia ecclesiastica, ma da “tutto il popolo di Dio”. C’è voluto lo stesso concilio ecumenico a ricordarci ancora non solo la chiamata universale (non solo quindi dei preti e delle suore) alla santità ma anche la chiamata di tutti i battezzati (compresi quindi i laici, giovani e meno giovani) a partecipare, in modi e responsabilità diverse, all’unica missione di Cristo: l’annuncio e la testimonianza del suo vangelo di salvezza.

Anche i laici hanno una loro “originaria”, e non sempre finora adeguatamente riconosciuta e valorizzata, responsabilità all’interno della Chiesa. Questa indagine, anche se non corredata di tutti i crismi di una ricerca rigorosamente scientifica, ce lo conferma; nello stesso tempo suggerisce opportune indicazioni che i parroci da una parte e i “nuovi laici” interessati dall’altra non dovrebbero lasciar cadere troppo in fretta.

 

Angelo Arrighini

 

 

1. Mario Allario, I “nuovi anziani”: interessi e aspettative, Franco Angeli, Milano 2003.