CAMMINO DI CRESCITA SPIRITUALE

BISOGNA CHE IO SIA ME STESSO

 

Dentro di noi c’è un peccato di cui spesso non ci rendiamo conto: è di non saper crescere al ritmo dei propri anni, il rischio di rimanere immaturi trascurando il progetto di Dio sulla nostra vita. Si può così inseguire un’immagine di sé idealizzata e per questo falsa rifiutando ciò che veramente siamo.

 

Quando si parla di peccati, in genere ci si riferisce quasi sempre alla trasgressione dei comandamenti. Ma si tratta di un modo di vedere le cose molto riduttivo.

Gli psicologi affermano che dentro di noi ci sono altri peccati nascosti di cui non siamo spesso consapevoli. Uno di questi consiste nel trascurare la propria crescita e lo scopo della vita così come è determinato da Dio e dalle leggi della natura, il peccato di rimanere immaturi, di non crescere al passo con i propri anni.

Trattando di questo argomento, Stanislaw Glaz sj,1 professore di psicologia presso l’ Ignatianum di Cracovia (Polonia), scrive: «Se vogliamo crescere, dobbiamo rimanere in contatto con noi stessi e con Dio. La mancanza di sviluppo personale porta a delle costrizioni interiori che inducono a fare del male a noi stessi e agli altri».

Molti tra il clero, gli psicologi e i teologi spesso chiedono che cosa si può fare per favorire la crescita spirituale e quindi per promuovere lo sviluppo della propria personalità. Quali sono le condizioni essenziali per uno sviluppo e una crescita adeguati? Diversi psicologi e teologi hanno cercato di rispondere a queste domande ma spesso si sono limitati a porre l’accento sugli aspetti ascetici e teologici. Ma oggi la psicologia della spiritualità fa entrare in gioco un numero maggiore di fattori rispetto a quanto era in grado di fare la teologia un tempo.

 

RICONCILIARSI CON SE STESSI

E CON GLI ALTRI

 

Molti psicologi, osserva Stanislaw Glaz, ritengono che un individuo, se vuol riuscire ad amare il proprio nemico, debba prima imparare ad amare il nemico che porta in se stesso. Deve cioè attuare una riconciliazione fra gli elementi ostili che sono dentro di lui: tendenze aggressive, inclinazioni alla gelosia, paure, tristezza, senso di solitudine e altre emozioni: «Dobbiamo cioè permettere che il sole dell’amore e della benevolenza di Dio risplenda su di noi e dentro di noi, anche su tutto ciò che è oscuro e minaccioso, e ogni altra realtà strana e imbarazzante. Allora la luce dell’amore trasformerà il male» (Powell 1978).

Il senso di colpa è spesso dovuto alla mancanza di riconciliazione con se stessi, al non guardare la verità di se stessi. Gli psicologi affermano che esso è spesso necessario: siccome ci offre la possibilità di conoscere la verità del nostro essere, è una benedizione ma può essere anche una maledizione. Coloro che hanno un atteggiamento negativo verso il proprio senso di colpa sono incapaci di accettare la storia della propria vita. Si ribellano al fatto di essere stati cresciuti in questo o quel modo, di essere nati in questo o quel momento della storia, di non essere stati in condizione di realizzare il loro sogno, di avere sperimentato profonde ferite. Rimproverano i genitori e la società per non aver dato loro l’opportunità di uno sviluppo normale. Si sentono vittime, anziché accettare la loro situazione, le loro ferite, il loro ambito limitato di esperienza. Ma devono capire che i loro genitori e il prossimo non hanno posto questi limiti (percepiti a torto come costrizioni) intenzionalmente, ma soltanto come risultato inevitabile dell’esperienza di limiti analoghi nella loro vita.

La riconciliazione con se stessi, sottolinea p. Stanislaw, gioca un ruolo importante nello sviluppo spirituale dell’individuo. Dobbiamo accettare la persona che siamo diventati, accettare – assieme ai nostri talenti – anche i nostri handicap e le nostre debolezze, la nostra vulnerabilità, le nostre paure e la nostra oscillante perseveranza. Dobbiamo saper guardare a tutto ciò che non ci piace in noi stessi, a qualsiasi cosa che non vorremmo vedere, alla nostra bassa stima. Si tratta di un processo che dura tutta la vita. Allora scopriremo di continuo cose che ci sono nuove. Dobbiamo accettare tutto, compresa la nostra incompiutezza.

Bisogna tener conto di tutto ciò che nella nostra vita abbiamo escluso o rifiutato perché non corrispondeva all’immagine ideale di noi stessi, un’immagine trasfigurata e falsa. Dobbiamo ammettere che nella nostra anima oltre all’amore e all’amicizia, ci sono altri sentimenti come l’odio, la collera, la depressione, la paura; non ci sono solo desideri coraggiosi e disinteressati, ma anche ambiti senza Dio che desiderano rimanere indisturbati e immutati. Se non guardiamo con piena verità alle nostre emozioni, pensieri e comportamenti finiamo col proiettarli sugli altri. Ma guardare in faccia la piena verità della nostra vita vuol dire molto di più che gettare uno sguardo superficiale. È una cosa che richiede coraggio; vuol dire lasciar perdere l’immagine ideale di se stessi (Laing, 1969).

 

UN VITA SINTONIZZATA

CON L’AMORE

 

Le persone felici, scrive p. Stanislaw, non sono coloro che riescono a risolvere i loro problemi o a ignorarli, ma coloro che sono consapevoli del proprio valore in quanto persone, che vivono la loro vita unica, sono se stessi, amano gli altri e permettono agli altri di amarli nei loro limiti. La misura di amore che siamo in grado di offrire agli altri dipende dall’amore che abbiamo per noi stessi. Tutti noi siamo unici. Dobbiamo amare il nostro essere, e la stima che abbiamo per noi stessi non deve essere compromessa dai nostri limiti e dai nostri sbagli. Né il nostro attuale comportamento, né quello degli altri verso di noi e nemmeno i nostri sentimenti costituiscono l’indice della nostro valore, che è qualcosa di costante. Ci sono delle persone che valutano se stesse in base alla definizione di bellezza o di modelli proposti dall’ambiente. Queste valutazioni sono all’origine del falso io che requisisce quello vero, che ci è dato una volta per sempre (Grün 1999, Mellody 1992).

Ciascuno possiede un suo io genuino che è la sua essenza, la sua entità spirituale. È qui dove Dio è presente, dove le paure e le sofferenze non penetrano. Chi permette al proprio io, quello spirituale, di guidare le proprie azioni fa della sua anima una cittadella sicura dove Dio vive e dove la libertà regna. Questa sfera interiore è invulnerabile. Una persona non può mai essere privata della sua dignità intrinseca. Ma bisogna scoprirla e sentire Dio come il fondamento dell’esistenza, di tutta la vita umana. Dio mi dà la vita ed è lui che mi sostiene. Il mio valore non dipende dal fatto di superare un esame, né dal giudizio degli altri. Dipende dall’essere ciò che sono. Dio vuole che io sia me stesso. Il mio valore non deriva da nessun altro se non da lui. (Powell, 1978).

 

LA VIA DELL’ESPERIENZA

DELLA FEDE

 

La fede non è soltanto l’insegnamento della Chiesa, non è solo una dimensione spirituale, ma è anche il modo caratteristico di percepire la realtà, è la percezione appropriata di Dio, degli altri e di me stesso. È l’arte di una vita sana, l’arte del giudizio fiducioso in me stesso, di trattare me stesso in maniera appropriata.

La fede è la via alla libertà; è la fiducia in Dio, la convinzione che Dio raggiunge con tenerezza ogni ambito del mio essere, che la sua grazia pervade ogni angolo dell’animo umano per portarvi la luce della sua vita. La fede mi permette di condividere con Dio tutti i miei misteri. È la convinzione che per mezzo di Cristo e in Cristo gli esseri umani giungono alla partecipazione alla vita divina e che tutta la creazione è permeata da Dio (Grün 1980).

Il vero amore, prosegue p. Stanislaw, non dipende solo dall’essere liberi da un potere esteriore, dal potere di questo mondo e dall’autorità di un altro, ma anche dall’essere liberi da ogni costrizione interiore. Alcuni limiti della nostra libertà possono derivare da tendenze comportamentali ereditate. La mia libertà è limitata quando non conosco Dio, quando disistimo me stesso, quando creo una falsa immagine di un altro, quando seguo pedissequamente il ruolo di modelli che mi sono stati dati dai genitori, quando permetto di essere controllato dalla paura della solitudine oppure quando il mio modo di percepire la vita e il mondo è falso.

A volte capita, sottolinea ancora il padre, di essere stati educati a raggiungere certi ideali irrealizzabili. Ciò avviene, per esempio, quando non accettiamo che Dio ci abbia creati per essere quelli che siamo. Pensiamo che la nostra idea immaginaria sia più importante della volontà di Dio. Non cerchiamo di sviluppare quello che Dio ci ha dato; non realizziamo molte concrete possibilità nella nostra vita. Dentro di noi abbiamo un’immagine di noi stessi derivata o dai nostri genitori o dagli insegnanti oppure dalle nostre ambizioni, dal nostro sogno di essere una specie di eroi o eroine. Allora riteniamo di poter fare quasi qualsiasi cosa senza l’aiuto di nessuno. Pensiamo di poter plasmare il mondo come vogliamo, senza tenere conto dell’ordine datogli da Dio.

Coloro che si spingono più in alto di quanto sono in grado di fare, finiscono con il ricadere nella loro stessa prigione. Resistere a Dio vuol dire resistere alla vita. Significa recare danno a se stessi. L’egoismo che uno pone nel realizzare se stesso porta lontano dall’amore al prossimo. Queste persone cercano la loro identità e il loro valore in quello che fanno perché non sono state capaci di trovare il valore in se stesse, come creature amate da Dio.

Fanno fatica ad ammettere di sbagliare e di poter sbagliare. Allora cercano di mascherare i segni dei loro sbagli. Possono spingersi fino a giungere a una conclusione deplorevole anziché ammettere il torto della loro decisione iniziale.

La paura di un giudizio negativo nei loro riguardi è più forte del timore di recare danno: cosa succederà se gli altri sanno quanto sono debole e fallibile? E in questo modo creano dei problemi per gli altri, sovrastimando la propria capacità di controllare il danno. Sono persone che mancano di equilibrio. Il loro pensiero è tutto o niente: se non realizzo grandi cose, a tutti i costi, allora vuol dire che sono vuoto e insignificante, che sono un niente (Sovernigo 1990).

 

IL PERICOLO

DI UN FALSO ASCETISMO

 

Un sano ascetismo è caratterizzato da un atteggiamento positivo verso se stessi. Il suo compito è quello di sostenerci, anche se alcuni lo ritengono un rifiuto del piacere e un’inibizione degli impulsi. Il concetto di affermazione e di sviluppo della vita, non vuol dire sua negazione. Un ascetismo malsano, osserva p. Stanislaw, implica un’immagine povera di Dio, da cui possono derivare insensibilità e desideri distruttivi, che sono aspetti del perfezionismo. I perfezionisti cercano di essere come Dio. Si creano un sistema di costrizioni, di principi e comandi dettagliati. Aderire a questo sistema diventa lo scopo della loro vita.

Si privano di qualsiasi piacere e vivono solo per il sacrificio. Vogliono liberarsi di tutto ciò che è negativo in se stessi. Non hanno fiducia in Dio. Non credono che in qualche modo tutto ha un significato e che Dio può trasformare positivamente tutto ciò che è negativo nella loro vita.

L’atteggiamento di queste persone manifesta una grande sfiducia nell’uomo. Ritiene che gli individui siano buoni solo quando fanno delle cose, come recitare un numero maggiore possibile di preghiere. In realtà solo una solida fede nel vero Dio offre quel genere di fiducia di cui una persona ha bisogno per vivere una vita serena e costruttiva, senza timori. Coloro che non hanno fiducia nell’amore incondizionato di Dio fanno molta fatica a far fronte alla colpa, presente anche nelle persone che si sforzano di essere sempre buone. Chi non confida in Dio non comprende il significato della croce che Gesù ha portato e del nostro prendere la croce con lui. Vivono testardamente secondo i loro ideali e la loro vita diventa rigida, fino ad assumere atteggiamenti nevrotici. In una parola, un ascetismo del genere diventa un processo di autodistruzione (Sovernigo, 1990).

Lo sviluppo spirituale, conclude p. Stanislaw, può procedere correttamente solo se si abbandona l’illusione di essere noi i creatori della nostra vita e se non si abbandonano le illusioni riguardanti il futuro. Una di queste illusioni consiste nel credere di essere noi a crearci la nostra giustizia, l’amore e la verità. In realtà noi siamo stati trasformati da Cristo, siamo chiamati a una vita nuova, a un pieno sviluppo. Vivere questa vita nuova vuol dire vivere in armonia con la nostra intima chiamata, non cedere alle aspettative e richieste che ci siamo imposti personalmente o che altri ci hanno imposto. Significa permettere a Dio di crearci e di plasmarci. Vivere sotto la guida e il potere dello Spirito vuol dire libertà dalle costrizioni con cui vogliamo provare il nostro valore. Significa vivere una vita basata sulla riconoscenza per tutto ciò che abbiamo ricevuto da Dio. Lo scopo della vita consiste nel vivere questa realtà e nel riscoprire la bellezza di vivere il nostro io personale, nel mostrare il nostro vero volto, quello che Dio ci ha dato.

 

1 The spiritual Development of Individuals, In Review for Religious, 1/2004