CONVEGNO AD ANAGNI
RELIGIOSE NELLA PASTORALE
Un simposio celebrato presso il Pontificio collegio
leoniano di Anagni ha messo a fuoco il valore della presenza delle religiose
quale «dono e risorsa della vita pastorale». Le esperienze e le riflessioni
proposte.
È stato «il coraggio di un vescovo» a far sì che una comunità religiosa femminile ricevesse in «affidamento» la cura di una parrocchia, ma la possibilità di tale atto coraggioso è sorta da una nuova comprensione della presenza delle suore nella pastorale della Chiesa. Ne ha dato atto sulla base del carisma del suo istituto sr. Francesca Berton, delle suore di Gesù buon Pastore (pastorelle) al simposio che aveva per oggetto, appunto, tale presenza delle religiose e si è svolto ad Anagni, presso il Pontificio collegio leoniano, il 19.1.2004.
UNA PRESENZA
DI VALORE
Organizzato a livello nazionale dal COP (Centro di orientamento pastorale) in collaborazione con l’Istituto teologico leoniano di quella città e con l’Unione delle superiore maggiori d’Italia (USMI), il simposio ha raccolto il pensiero di diversi relatori e le esperienze di un gruppo di religiose impegnate nella pastorale parrocchiale, gli uni e le altre riconoscendo due fatti: il passo avanti compiuto nella comunità ecclesiale nel considerare la presenza specifica delle suore nella pastorale e, all’interno degli istituti, nella coscienza della dignità del loro posto nella Chiesa.
Sono lontanissimi i tempi in cui alle religiose non era permesso insegnare il catechismo se non alle bambine e ai fanciulli al di sotto degli otto anni; e pur dovendo rilevare che tutto un secolo dalla Conditae a Christo di Leone XIII (1900) non è bastato a una piena liberalizzazione pratica del loro statuto nella Chiesa, nessuno esiterebbe oggi a sottoscrivere quanto ha osservato nel suo intervento d. Lorenzo Cappelletti, direttore del citato Istituto teologico: «La mutata attitudine verso la vita religiosa femminile, avvenuta in tempi relativamente recenti, può essere letta come puro adeguamento alla rapida evoluzione dei tempi e al mutato ruolo sociale che la donna è venuta ad assumere. Ma, dato per scontato il mutamento sociologico, la partecipazione delle religiose all’apostolato può essere letta – e, sia per un rispetto maggiore della dimensione teologica e spirituale sia per mia personale esperienza, preferisco leggerla così, in termini cioè assoluti, di valore - come il necessario, indispensabile complemento all’azione pastorale di laici e sacerdoti».
È questa, del resto, la lezione del Vaticano II, il quale in Lumen gentium 44 ci ha detto che «lo stato di vita costituito dalla professione dei consigli evangelici, pur non concernendo la struttura gerarchica della Chiesa, appartiene tuttavia indiscutibilmente alla sua vita e alla sua santità»: con le conseguenze anche pratiche sviluppatesi mediante la riflessione e l’esperienza nella graduale messa in atto della lezione conciliare.
Si sa quanto impegno abbiano posto gli istituti religiosi femminili nel loro cammino di rinnovamento durante i decenni successivi al Vaticano II: rinnovamento teologico-spirituale ed estesamente culturale all’interno ma pure nel loro proiettarsi all’esterno quale viva e fattiva espressione di Chiesa. E questo il simposio di Anagni ha confermato: si tratta di una presenza non suppletiva di altre o riempitiva di vuoti estemporanei, ma di una presenza a pieno titolo insostituibile tra le componenti ministeriali della Chiesa a servizio del Vangelo: una presenza che integra, senza mai venir meno, il volto della Chiesa.
Si comprende, perciò, quanto sia stato forte il lavoro di coscientizzazione svolto dalle suore pastorelle nell’assumere la cura di una parrocchia, con un sacerdote non residente quale amministratore parrocchiale, nella diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, come ha elencato sr. Berton: l’attenzione allo sfondo necessario di «una ecclesiologia di comunione; la consapevolezza che tutti i christifideles partecipano della triplice missione di Cristo di insegnare, di santificare e di governare; la convinzione che tutti i christifideles devono cooperare all’edificazione del corpo di Cristo; la riflessione sulla ministerialità laicale unita a una ricomprensione del ministero ordinato e del suo operare in persona Christi capitis».
NEL “PICCOLO
RESIDUO” CRISTIANO
Quantunque «oggi non siamo più in situazione di cristianità» – come ha ricordato al simposio mons. Salvatore Boccaccio, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino –«c’è un piccolo residuo della cristianità, molto povero per altro, perché inquinato dal secolarismo e dal consumismo», ma nel quale la sensibilità delle religiose, inserite come esse sono nel vivo tessuto socioculturale odierno, percepisce una domanda religiosa che non può e non deve essere elusa.
«È vero – ha detto sr. M.Micaela Monetti, Pia discepola del divin Maestro – che viviamo in una società sempre più scristianizzata e secolarizzata, nella quale la domanda religiosa si esprime per lo più nella richiesta dei sacramenti, tuttavia occorre prendere atto che permane in molti battezzati una forte domanda di senso. Purtroppo non trovando nella comunità cristiana luoghi e tempi di ascolto molti cercano altrove le risposte, in religioni esoteriche, nella magia o nell’astrologia».
E sr. Micaela, interrogandosi sugli ambiti appropriati alla pastorale diretta delle donne consacrate, prende avvío dal carisma delle Pie discepole incentrato sull’apostolato liturgico e attinge alle risposte date da Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia: tale comunicazione, dice infatti il documento al n.32, «si attua, in primo luogo, facendo il possibile perché attraverso la vita liturgica la parola del Signore contenuta nelle Scritture si faccia evento, risuoni nella storia, susciti la trasformazione del cuore dei credenti. Ma ciò non basta. Il Vangelo è il più grande dono di cui dispongono i cristiani. Perciò essi devono condividerlo con tutti gli uomini e le donne che sono alla ricerca di ragioni per vivere, di una pienezza di vita».
Ma qual è il campo concreto di tale condivisione? È anzitutto «la parrocchia, la quale – prosegue sr. Monetti – per la sua funzione storica a partire dall’eucaristia, fonte e manifestazione del raduno dei figli di Dio, è vero antidoto alla loro dispersione nel pellegrinaggio verso il Regno, è il luogo di cui dobbiamo recuperare la centralità». Un recupero inteso non a chiudere le persone nel piccolo cerchio parrocchiale, ma ad aprirsi in senso missionario reso forte dall’impegno «in ordine alla qualità formativa, in senso spirituale, teologico, culturale, umano investendo in questo campo le migliori energie».
I CARISMI
CONVERGONO
Su Preghiera e vita liturgica alla luce della sacra Scrittura ha proposto la sua testimonianza anche Emilia Donati, suora adoratrice del sangue di Cristo: «Nelle parrocchie, dove mi è stato dato di partecipare a vari ministeri, ho cercato di condividere il dono della preghiera e della liturgia, come catechista e formatrice di catechisti, guida in centri d’ascolto, animatrice di liturgia, di gruppi e di commissioni di liturgia. Il servizio pastorale parrocchiale come religiosa, arricchito dal proprio carisma fondazionale e personale, è di aiuto concreto al popolo di Dio, contribuendo alla formazione spirituale e liturgica dei battezzati, alla comunione dei credenti, alla loro testimonianza del Cristo morto e risorto».
Carismi dell’unico Spirito e diversi tra loro nella vita delle religiose si rendono visibili convergendo al vissuto spirituale delle comunità parrocchiali: e anche il dono di insegnare vi ha un suo spazio di notevole rilievo, soprattutto se viene sapientemente integrato nell’insieme della pastorale locale. Sr. Luisa Zappata, delle Piccole figlie dei sacri cuori di Gesù e Maria, ha parlato di questa presenza forse non facile da cogliere ma che concorre a far crescere “in età e grazia” tanti bambini e adolescenti e in consapevolezza del loro ruolo anche in ordine alla fede i genitori e le famiglie.
Se infatti «si può affermare che la scuola non è l’unica fonte educativa, e che il Vangelo trascende ogni cultura, è altrettanto vero però che la cultura è quello strumento privilegiato di cui la scuola si serve per mediare i valori evangelici. L’antropologia cristiana da cui la scuola cattolica prende le mosse per costruire la sua Proposta dell’offerta formativa è determinante nella formazione della persona». E la singola suora insegnante – testimonia sr. Luisa – vi si può situare mediante una comunicazione che lasci emergere il significato della vocazione cristiana, lasciando parlare nei propri gesti quel primato della vita spirituale che si nutre alla tavola comune nella chiesa locale.
Sulla stessa lunghezza d’onda sr. Giovanna Della Luna, Figlia della carità canossiana, racconta il suo ministero della carità nell’ambito parrocchiale e confida quanto ne sia stato arricchito il suo stesso «essere donna consacrata inserita nella pastorale ecclesiale»: carità come accoglienza delle persone «più varie, dal ragazzino che quotidianamente entra nella nostra casa per la catechesi o il gioco, all’adolescente che chiede aiuto per un’interrogazione o una ricerca di religione, alla mamma che non sa come riaprire il dialogo interrotto con la figlia, alla persona sola che chiede un po’ di ascolto e di compagnia, al povero italiano, albanese o romeno che chiede sostegno, lavoro o almeno un’indicazione come risposta concreta per andare avanti con una nuova speranza». Vi si aggiunge l’assistenza concreta e quasi spicciola che fornisce all’occorrenza cibo, indumenti, alloggio per un breve periodo... E tutto sorretto dalla parola evangelica che illumina l’intera chiesa locale e si irradia variamente nei gesti e nelle parole, nella simpatia senza pregiudizi di sorta, com’era la simpatia di Gesù nel cui nome ha valore supremo anche il semplice bicchiere d’acqua offerto all’assetato.
Vi si sente – come in tutte le esperienze esposte dalle interessate – ciò che ha fatto notare nelle conclusioni del simposio da lui tratte d. Domenico Sigalini, vicepresidente del COP: quel dono necessario della femminilità, quella sensibilità che il popolo apprezza molto, per cui «la religiosa è umanamente significativa nella misura in cui esprime la pienezza del suo essere donna, la carica della sua affettività, la dedizione dei suoi sentimenti e dei suoi pensieri, dei suoi gesti di accoglienza e la sua capacità di com-patire», tanto più efficace quanto più si rende visibile come qualità della propria comunità religiosa.
Zelia Pani