LA VITA CONSACRATA NELLA CHIESA
CAMMINI DI COMUNIONE
Le seguenti note vengono dall’America latina, frutto di un incontro tra religiosi e vescovi in vista di una vera Chiesa di comunione. Un cammino ancora lungo per la poca conoscenza reciproca e per una diffidenza non del tutto superata. Un problema che esisteanche da noi.
Nessun carisma può esistere in maniera solitaria ma in comunione e nella complementarità. Per questa ragione a ciascuno dei carismi e dei ministeri è intrinseca la complementarità con gli altri: essa non è semplicemente funzionale ma vitale poiché si tratta di persone libere in cui agisce lo Spirito e in questo consiste esattamente la comunione.
Tra i carismi non può esistere una “competizione” – dal momento che tutti derivano dalla santissima Trinità per l’edificazione della Chiesa (1Cor 12,1-7) – ma una “complementarità”. Per questo abbiamo bisogno di conoscere i carismi degli altri, rispettarli, averne stima ed esserne riconoscenti. Tutti noi ne abbiamo bisogno.
Ma li conosciamo? Abbiamo sentito ripetere che è necessario dialogare tra di noi per conoscerci e rafforzare la nostra comunione ecclesiale.
Credo che sarebbe opportuno conoscere la realtà in cui viviamo e a partire da essa cercare cammini di comunione.
Ritengo che non sia azzardato dire che vi sono vescovi e sacerdoti che conoscono poco il significato ecclesiale della vita religiosa: la stimano per quello che produce non per quello che è. Vi sono coloro che la rispettano, ma non giungono a scoprire qual è il contributo specifico che è chiamata a offrire al popolo di Dio. Non conoscendo il carisma e la missione degli istituti religiosi, alcuni vescovi e sacerdoti non valorizzano né utilizzano adeguatamente i doni che lo Spirito Santo concede alla Chiesa nelle persone dei religiosi e delle religiose. La vita religiosa non vale per quello che fa – e lungo la storia ha scritto pagine meravigliose che ancor oggi ammiriamo e che ci sorprendono – ma per la sua funzione profetica, simbolica ed escatologica.
Ma non mancano anche religiosi/e che non conoscono il carisma dei vescovi e dei sacerdoti al servizio del popolo di Dio. Sanno alcuni religiosi/e che i vescovi sono i responsabili e i garanti della fedeltà di tutti nella fede? Sanno che il ministero apostolico occupa un posto specifico e strutturante, che garantisce il “concorso” dei diversi carismi nella missione della Chiesa? Stimiamo e accogliamo con riconoscenza questo servizio di conduzione, di guida e di presidenza dei nostri vescovi?
I rapporti tra persone che non si conoscono non sono fedeli né profondi. I vuoti e le fenditure che rompono o ostacolano la comunione ecclesiale sono dovuti in gran parte alla mancanza di reciproca conoscenza e alla scarsa stima degli uni per gli altri.
Se non conosciamo meglio i nostri rispettivi carismi e ministeri corriamo il rischio di creare delle tensioni non necessarie e dei conflitti senza senso e, ciò che è peggio, di impoverire la Chiesa non approfittando dei doni con cui lo Spirito Santo l’ha arricchita.
Siamo sempre più convinti che i cammini del futuro della comunione ecclesiale non passano attraverso il sospetto, la sfiducia e i pregiudizi. Il dialogo è la medicina preventiva e curativa più efficace delle tensioni e dei conflitti. Ma se pretendiamo di dialogare trincerati nelle posizioni prese in antecedenza e con l’intenzione di non rinunciare ad essa per nessuna cosa al mondo, il dialogo serve solo a inasprire le relazioni.
Con queste premesse abbiamo pensato che prima di sederci a condividere (vescovi, sacerdoti e religiosi/e) le nostre inquietudini, i nostri problemi e le nostre speranze in vista di una comunione ecclesiale più profonda e fraterna, occorre che ciascun gruppo (vescovi–sacerdoti e religiosi/e) si fermi a riflettere in atteggiamento di discernimento e di fraternità, su che cosa ci attendiamo gli uni dagli altri e quali sono le rispettive preoccupazioni. Cerchiamo di concretizzarne alcune.
Molte discordie nascono dalla mancanza di rapporti umani. A volte basta cambiare gli interlocutori perché i problemi si risolvano. È necessario pertanto favorire le relazioni umane che non devono essere semplicemente formali, ma cordiali, vale a dire basate sull’amicizia, la trasparenza, la fiducia e la lealtà.
Non si tratta di un atteggiamento diplomatico, ma fraterno. Per questo i canali di comunicazione devono essere fluidi e affidabili. Per creare questo clima sono necessarie la fiducia reciproca, l’accettazione e la stima dell’altro, del diverso e la sincerità, la tolleranza amorosa e vivere un legittimo e ragionevole pluralismo. È opportuno che ciò avvenga a partire allo stesso tempo dallo studio con giornate congiunte di riflessione e di riposo, seminari, tavole rotonde, ecc.
La Chiesa trova la sua caratteristica più intima nell’essere “un corpo comunionale” più che (e “prima di”) essere un “corpo gerarchico”. Ciò significa che il rapporto fondamentale fra tutti i membri della Chiesa è quello che ci unisce per il fatto di essere tutti “persone” e non di svolgere “ruoli funzionali” diversi. E la missione della Chiesa compete a tutti. È un compito comune, benché diversificato secondo il carisma di ciascuno. Ma il sentirsi membro vivo della chiesa particolare comporta la partecipazione attiva ed entusiasta e la corresponsabilità in tutti gli ambiti della vita e nella missione della Chiesa particolare, negli organismi come i consigli pastorali parrocchiali e in tutti i progetti che vengono in essa promossi.
Questa partecipazione e corresponsabilità deve esercitarsi non solo nella fase esecutiva, ma in quella fondamentale del discernimento concreto delle esigenze della missione. Ciò vale per tutti i membri della Chiesa. In concreto, i religiosi non possono addurre l’esenzione per un certo isolamento dalla pastorale d’insieme o per vivere una incardinazione reale povera nella chiesa particolare. L’esenzione non costituisce alcun privilegio, ma è un dono di disponibilità per tutta la Chiesa, un impegno per un maggior servizio. Ma è anche chiaro che tutti, compresi i laici, devono lavorare nella pastorale parrocchiale in stretta unione con i loro sacerdoti, senza però che questa unione significhi annullamento della creatività o sottomissione passiva.
È opportuno, come ho detto sopra, che conosciamo i nostri rispettivi carismi. Credo sia importante che nella formazione rivediamo alcuni temi riguardanti la mancanza di incontro. Ne enumero alcuni:
– che cosa intendiamo per Chiesa di comunione? Tutti noi parliamo di una “ecclesiologia di comunione” e cerchiamo di viverla. Ma cosa avviene in pratica? come la intendiamo? Per alcuni la comunione è soprattutto sottomissione, e la partecipazione e la corresponsabilità, una semplice delega; per altri, questa interpretazione è riduttiva e non risponde alla ricchezza implicita nella ecclesiologia di comunione né la esprime;
– l’autorità nella Chiesa: è necessario che riflettiamo insieme con serietà e onestà sul significato dell’autorità nella Chiesa e specialmente nella gerarchia. In una chiesa di comunione, essa costituisce il principio strutturante, il centro motore di tutti gli impulsi e la realtà primordiale e autonoma (realtà anteriore, esteriore e superiore alla comunità ecclesiale) oppure è un servizio a questa comunione? Qual è la sua funzione principale: animare la vita religiosa che lo Spirito liberamente suscita nella Chiesa (accettarla, rispettarla, orientarla e promuoverla) oppure controllarla o organizzarla?
– una pastorale più vicina, pronta e disinteressata: ci pare, a volte, che per l’eccessivo peso pastorale, non sempre la pastorale sia vicina e pronta, cosa che la nostra gente vivamente desidera e gradisce. Se i sacerdoti potessero lavorare di più in équipe, e alcuni potessero vivere insieme, quando è possibile, come già avviene in alcune diocesi, benché con incarichi diversi, si potrebbe ovviare a questo eventuale problema. Non è bene che la gente ci veda preoccupati del denaro anche se non possiamo vivere come mendicanti.
E deve essere una pastorale organica con un progetto pastorale d’insieme. Una Chiesa senza chiari orientamenti è una Chiesa “disorientata”, che improvvisa, dove tutti si sentono a disagio perché non sanno dove si va né quali finalità raggiungere;
– una maggiore valorizzazione e stima della vita religiosa femminile: stiamo vivendo un cambiamento culturale nella società in cui si sta scoprendo la dignità della donna e il suo posto nella società. Si riconosce il contributo della vita religiosa femminile nello stare nei luoghi di avanguardia vicino al popolo che soffre. Nonostante questo, la religiosa partecipa anche alla mancanza di stima da parte della società per essere donna. È diffusa un’immagine negativa in molti circoli della nostra società verso la vita religiosa femminile. All’interno di una struttura ecclesiale diretta da uomini, il posto della religiosa di solito è ai margini dei processi decisionali. Ci domandiamo: che passi compiere perché anche la dignità della religiosa sia riconosciuta nella Chiesa e nei processi decisionali che riguardano la vita della gente e della comunità ecclesiale? Non sarebbe un segno di speranza per il nostro mondo d’oggi?
– un maggior sostegno alle conferenze nazionali dei religiosi: i religiosi e le religiose sanno di poter contare sul sostegno dei vescovi delle commissioni miste e anche di altri vescovi. È sconcertante sentire che alcuni vescovi dicono di avere stima della vita religiosa ma poi manifestano sfiducia nei riguardi dell’animazione della vita religiosa promossa dalle conferenze nazionali dei religiosi e non mancano nemmeno coloro che invitano le religiose e i religiosi a non partecipare e guardano con diffidenza ai loro lavori. È difficile comprendere atteggiamenti del genere dal momento che secondo il diritto canonico le conferenze nazionali dei religiosi costituiscono un organismo riconosciuto per promuovere la comunione e l’animazione dei religiosi e delle religiose nel paese;
– la parrocchializzazione della vita religiosa: a volte, in certi ambienti si scopre che la vita religiosa sia femminile sia maschile è assorbita dalla vita parrocchiale. La conseguenza è che si attenua l’esperienza comunitaria e carismatica di ambedue perdendo il contributo che ciascuna comunità religiosa può offrire alla vita della Chiesa in base al proprio carisma congregazionale. In modo speciale la vita religiosa maschile nel suo ministero sacerdotale vive una forte tensione tra la risposta alla comunità e le esigenze parrocchiali. Cosa possiamo fare per aiutare i sacerdoti religiosi a recuperare il loro significato in quanto religiosi affinché a partire da lì diano il loro contributo alla parrocchia?
– la vocazione dei fratelli è compresa e stimata? A volte la vocazione dei fratelli nella vita religiosa da molti non è compresa e da altri è sottovalutata oppure vengono esercitate pressioni in vista dell’ordinazione sacerdotale, ignorando così l’apporto dei fratelli in forza della loro consacrazione religiosa. Cosa fare in forza della nostra esperienza pastorale per accogliere e valorizzare il contributo dei fratelli e aiutare il popolo di Dio a fare altrettanto?
– bisogna tenere maggiormente conto dei religiosi quando si parla in nome della Chiesa: succede a volte che quando i vescovi parlano in nome della Chiesa non tengono conto dell’opinione della vita religiosa né delle conferenze nazionali, né dei laici e parlano in nome della Chiesa che siamo tutti. Ci auguriamo che la spiritualità di comunione promuova un modo nuovo di pensare e di agire e faccia crescere la Chiesa in profondità ed estensione.
La vita di comunione sarà così un segno per il mondo e una forza di attrazione che porta a credere in Cristo (VC 28).
J. Guerrero