IN GIOCO LA VITA DI TANTE PERSONE

AIUTI CHE NON AIUTANO

 

Davanti al flagello della fame per milioni di persone, non è forse un lusso di gente sazia e annoiata mettersi a disquisire di biologia, chimica e di rischi d’allergie? Tanto più che come dice il proverbio: “Non è tutto oro quello che luccica… “. Alcune riflessioni sui prodotti geneticamente modificati.

 

Il proverbio è espressione di una sapienza antica ed è semplice verificarne la verità.

Un anno fa fece un certo chiasso nei nostri ambienti missionari la notizia che il governo dello Zambia, alle prese con problemi di alimentazione, aveva rifiutato una partita di cereali geneticamente modificati, in concreto del mais, offertagli dalle agenzie umanitarie degli Stati Uniti d’America. Sulle prime sembrò una decisione dissennata. Non eravamo forse in presenza della ideologia non global, di quei signori del Social Forum, che da qualche anno ormai fanno parlare di sé per le loro incursioni violente e altrettanto puntuali a ogni riunione degli organismi internazionali, da Seattle a Genova, da Riva del Garda alla… prossima? Davanti al flagello della fame, una catastrofe di dimensioni mondiali, per milioni di persone, non è forse un lusso di gente sazia e annoiata mettersi a disquisire di biologia, chimica e di rischi d’allergie?

 

UNA NUOVA

CONSAPEVOLEZZA

 

È difficile eludere queste domande che toccano insieme gli organismi geneticamente modificati e l’aiuto umanitario per dare da mangiare a tutti. D’altra parte è un fatto incontestabile che le grandi compagnie multinazionali del settore agro-chimico (tra esse prima la multinazionale americana Monsanto), che da anni erano abituate a dettare legge ai governi, oggi si sentono sotto accusa, non riescono più a far “passare” nell’opinione pubblica i loro prodotti. Esse sono riuscite a mettere sul mercato nuovi prodotti agricoli a prezzi concorrenziali, che potrebbero continuare a “creare valore” per i loro azionisti. Ma il sospetto che questi prezzi così concorrenziali siano il frutto di una produzione che punta solo alla quantità e non si cura affatto della “qualità” dei prodotti, e che non ci sia solo l’intenzione di dare una risposta ai veri problemi della fame della popolazione mondiale, ha messo sul chi-va-là molti ricercatori e governanti.

Siamo ancora una volta davanti all’impero dell’auri sacra fames che nella storia non ha mai del tutto capitolato, e che non cessa di essere il criterio delle decisioni degli uomini! Fare del business degli affari sulla pelle della gente è stata sempre probabilmente una tentazione, per quanto odiosa e detestata, ma oggi essa trova finalmente persone pronte a contrastarla. È cresciuta la consapevolezza che non è più possibile permettere che la fame del mondo si trasformi in una maniera per arricchirsi sulla miseria altrui. Gli organismi geneticamente modificati sono sentiti oggi come una minaccia oscura, e sta crescendo il numero degli scienziati e dei ricercatori che non osano dirsi in favore di questi prodotti geneticamente modificati. Così pure molti governi (specialmente in Europa) hanno adottato il principio della prudenza nei loro confronti, chiedono tempo e trasparenza per vedere quali sono i frutti finali di questi nuovi organismi, quali le conseguenze sull’agricoltura e sulla vita della gente.

Essi infatti risultano essere spesso inquinati (portano in sé tracce di erbicidi usati nella loro produzione) e inquinanti: ad essi vengono attribuite molte forme di allergia (come nel caso del mais transgenico Starlink) e di modificazioni ecologiche (minaccia di biodiversità, comparsa di insetti mutanti e resistenti agli insetticidi incorporati in queste piante transgeniche). A causa di queste resistenze la multinazionale Monsanto, per esempio, ha abbandonato lo slogan di un tempo Cibo, salute e futuro e sta cercando di convincere i consumatori che gli organismi geneticamente modificati sono in realtà geneticamente migliorati!

 

IL RECENTE CONVEGNO

IN VATICANO

 

Risolvere o quanto meno cercare di porre un rimedio al problema della fame è un dovere di tale portata che si impone a tutti per essere affrontato senza esitazioni e con ogni mezzo possibile. La Chiesa non cessa di parlarne e di sollecitare l’impegno di tutti i responsabili a tutti i livelli. In questa linea si era espresso la scorsa estate anche il presidente del Pontificio consiglio per la giustizia e la pace, il card. Renato Martino, in una intervista a un quotidiano del nostro paese. Credo di non essere stato l’unico a rimanere sconcertato dall’entusiasmo espresso dal porporato, noto e riconosciuto per altro come un difensore della pace e dei poveri, tanto più che qualche mese dopo, nel novembre 2003, lo stesso Pontificio Consiglio per la giustizia e la pace, organizzava in Vaticano un incontro sul medesimo tema. La riunione era ristretta a un certo numero di “esperti” per dibattere della possibilità e della liceità dell’uso degli organismi geneticamente modificati.

Purtroppo a delusione si aggiunse nuova delusione perché, stando almeno a quello che la stampa ha riportato, era chiaro che la maggioranza degli intervenuti si erano espressi a favore degli organismi geneticamente modificati. Probabilmente, senza volerlo, gli inviti erano stati indirizzati nella stessa direzione. Forse sarebbe stato opportuno invitare, insieme con gli esperti della biotecnologia, anche i rappresentanti degli episcopati di quelle nazioni che vivono sulla loro pelle il problema della fame e degli organismi transgenici. È noto infatti che gli episcopati del Sud Africa, del Brasile, delle Filippine e della Zambia, per citare solo i più noti, si sono espressi negativamente sugli organismi geneticamente modificati. I vescovi del Sud Africa, in particolare, hanno chiesto al loro governo di sospendere per un periodo di cinque anni l’importazione e l’utilizzo di questi organismi per poter studiarne e valutarne gli effetti sulla salute dell’uomo.

 

QUALCHE VOCE

PROFETICA E CORAGGIOSA

 

Nel corso del convegno in Vaticano, tuttavia, si sono alzate alcune voci, poche, ma valide e coraggiose, per attirare l’attenzione sui risvolti negativi dell’utilizzazione di questi prodotti agricoli, affermando che essi non risolvono il dramma della fame e precipitano invece in una maggiore dipendenza i poveri del mondo. Due gesuiti, esperti di problemi sociali, che lavorano in Zambia, Peter Henriot e Roland Lesseps, hanno dichiarato: «Gli organismi geneticamente modificati non possono trovare riscontro nell’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa, perché non rispettano né i diritti umani né l’ordine della creazione». Un discorso squisitamente etico.

Alla loro denuncia hanno fatto eco, completando il discorso dal punto di vista della giustizia sociale e distributiva, i missionari italiani per bocca del portavoce della Conferenza degli istituti missionari d’Italia (CIMI), che hanno messo, per altro verso, il dito sulla piaga. L’utilizzo dei prodotti agro-alimentari transgenici, dicono i missionari italiani, non risolverà il problema della fame, ma «arricchirà a dismisura le multinazionali che hanno acquisito il diritto di proprietà sulla materia vivente: il contadino non trarrà più la semente dal suo raccolto, ma sarà costretto ogni anno ad acquistarla da loro. L’alimentazione tipica di ogni gruppo umano rischia di cedere il passo a prodotti omologati in mano ai grandi padroni del cibo».

Un impatto grave e carico di conseguenze hanno anche questi stessi prodotti transgenici sul mercato locale dove il prodotto del campo si troverà a competere, ad armi del tutto impari, con gli organismi geneticamente modificati. Nella recente conferenza dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) a Cancún, i paesi del sud del mondo avevano chiesto di poter liberamente competere nelle esportazioni senza essere affossati dalle barriere doganali e dalle sovvenzioni all’agricoltura del nord. Ma la conferenza di Cancún ha fatto orecchi da mercante alla loro richiesta.

È noto che su questo tema c’è una aperta dissonanza di opinioni tra gli Stati Uniti d’America e l’Unione Europea. Quando all’inizio del 2003 il presidente Bush si recò in visita in Africa, fece di questo problema uno dei punti forti della sua presenza cercando in ogni modo di far accettare ai paesi visitati gli organismi geneticamente modificati prodotti in USA. Era così evidente che ciò che stava a cuore all’amministrazione americana non era il problema della fame del mondo quanto l’apertura di nuovi mercati al commercio americano e gli interessi delle grandi multinazionali agro-alimentari. E il suo segretario di stato, Colin Powell, nel corso della sua recente visita a Giovanni Paolo II, anche in quella sede, ha trattato degli organismi geneticamente modificati. Effetti della globalizzazione!

 

BISOGNA

RIFLETTERE

 

L’argomento è uno di quelli che scaldano le discussioni nei nostri ambienti missionari e che dividono coloro che si occupano di sviluppo economico in due gruppi: quelli che per aiutare i poveri sono pronti a fare di tutto e quelli che vogliono invece aiutare allo sviluppo, meglio, all’autosviluppo. Sono temi molto caldi sui quali non è sempre facile essere oggettivi e distaccati, anche perché la buona volontà non si accompagna sempre con la lucidità. Qual è la vera carità? Soddisfare oggi il bisogno emergente creando – pur senza volerlo – forme di dipendenza e di sottosviluppo oppure rispondere all’emergenza evitando quanto possibile di creare degli eterni mendicanti?

È sconcertante vedere quanta gente affronta questo genere di problemi con una mentalità assistenzialistica senza mai risolvere le cause strutturali delle emergenze e senza preoccuparsi di non moltiplicare le dipendenze. Ci sono degli aiuti che non sono veri, perché non rispettano la persona e il suo futuro. Come pure dovrebbe preoccupare il fatto che anche nei nostri ambienti di Chiesa rimaniamo spesso impigliati nelle trame tese dalla società dei consumi e della tecnica senza riflettere in modo adeguato alle conseguenze delle proprie scelte. Per questo è bene guardare questi problemi da una prospettiva globale e non solo settoriale. Alcune riflessioni sembrano urgenti a questo proposito.

Non dare il cibo,ma i mezzi per produrlo

Dobbiamo anzitutto affermare senza ambiguità che il problema della fame non trova soluzione vera e duratura se non vengono coinvolti i diretti interessati. Certamente tutti noi siamo responsabili della sua soluzione, ma sarebbe un guaio se, per dare una soluzione qualsiasi al problema, finissimo per deresponsabilizzare i diretti interessati, coloro che soffrono la fame, mentre proprio questi dovrebbero diventare protagonisti della propria liberazione. Non sono gli aiuti che vengono da fuori, neppure l’abbondanza degli organismi geneticamente modificati, che risolvono questa emergenza.

Ciò di cui c’è bisogno non è di più cibo, ma di un cibo prodotto localmente dai contadini del sud del mondo. Se oggi da qualche parte nel mondo si produce molto più cibo del necessario e altrove c’è della gente che muore di fame, ciò significa che questa gente o non ha terra da coltivare, o non ha tempo per coltivare (le guerre impediscono di coltivare!), o non ha i mezzi per lavorare la terra o non ha dei crediti per comperare o produrre le sementi.

Rispettare la naturae i suoi ritmi

Inoltre la riflessione della Chiesa e della teologia morale dovrà cercare di individuare i limiti e le possibilità di questa possibile “ingerenza” tecnologica nell’ambito della natura, perché laboratori e industrie impegnate nello studio delle biotecnologie non possono essere guidati dal solo interesse del profitto economico. «Ognuno dovrebbe vivere con la certezza che le nuove scoperte sono conformi all’universo creato – ha scritto il rettore dell’Università lateranense – perché condotte da scienziati che hanno piena consapevolezza della loro responsabilità e dell’integrità dell’esistenza raccolta in un ordine che a nessuno è lecito modificare, perché non può essere posto a servizio dell’arbitrarietà o di alcuni poteri occulti».

Come è giusto che la Chiesa richiami al rispetto della natura nel campo della vita sessuale e della genetica umana, così dovrebbe essere attenta alle altre implicazioni di una ricerca sulla natura che rischia di trasformarsi in manipolazione e di non riconoscere i propri limiti, finendo per fare dei danni irreparabili alla persona umana. Proprio il card. Renato Martino ha affermato che, se secondo la Bibbia l’uomo deve «dominare il creato», questo deve essere «un dominio non dispotico e dissennato», ma al contrario deve «coltivare e custodire i beni creati da Dio e cioè intervenire, decidere, fare, non lasciare che le piante crescano a caso, potenziare e perfezionare, affinché vengano frutti migliori e più abbondanti, ordinare, pulire, eliminare ciò che distrugge e rovina». Insomma, sì al miglioramento, no alle manipolazioni.

Attenzionealle dipendenze

C’è infine il rischio concreto che le grandi compagnie multinazionali s’impadroniscano dell’agricoltura e attraverso questa egemonia rendano gli uomini schiavi dell’economia e della volontà di trarre il massimo profitto per alcuni pochi, che potranno esercitarla. E questo deve trovarci vigilanti. La Conferenza degli istituti religiosi italiani (CIMI) ha ripetutamente fatto presente il rischio che in operazioni di questo genere che favoriscono i grandi gruppi agro-alimentari, siano danneggiati in modo grave e definitivo i contadini dei paesi poveri. I mercati più deboli non devono essere infatti invasi da prodotti a basso costo che affonderebbero le economie locali. Senza contare che le sementi modificate sono prodotte dalle stesse industrie del settore e presso queste andrebbero acquistati creando un meccanismo di dipendenza.

Quando il governo della Zambia ha rifiutato il cibo transgenico offertogli per combattere la fame, lo ha fatto perché se avesse accettato quel mais, i contadini l’avrebbero seminato. Avrebbero così avuto un raccolto contaminato che non sarebbe più potuto essere esportato in Europa, visto che i paesi dell’Unione Europea non vogliono accettare cereali geneticamente modificati.

È urgente riflettere su questi problemi e non lasciare le decisioni di questo tipo solo ai potenti di questo mondo o all’andazzo generale. Dovremmo anche far sentire la nostra voce per difendere i più poveri che non riescono a far giungere la loro voce là dove si prendono le decisioni, e sollecitare la nostra Chiesa a trattare apertamente questi problemi: non si tratta certo di stabilire delle verità dogmatiche, ma di salvare la vita di tante persone. E anche questo è un elemento che entra nella missione della Chiesa.

 

Gabriele Ferrari s.x.