SAN MARTINO OLTRE I PROVERBI

 

Non ci rallegrano più, nel cuore di un piovoso mese di novembre, le attese giornate di sole nell’estate di san Martino: sono diventate così, le nostre classiche stagioni; ma sarà forse ancora vivo, almeno tra la gente di campagna, il proverbio «per san Martino ogni mosto è vino», o qualche altro legato alla fama di questo santo “autunnale”, tuttora molto amato e venerato nel popolo cristiano che lo celebra anche liturgicamente con ufficio proprio. E chissà che tra le letture degli scolaretti non sia rimasto il racconto dell’antico cavaliere cristiano che con un deciso colpo di spada divise in due... non un crudele nemico ma il proprio mantello, per farne parte a un poveretto incontrato tremante di freddo lungo una strada gelata.

Un santo per altri versi non facile da raccontare, Martino di Tours, dal quale ci separa una lunga teoria di secoli e di universi culturali; eppure di lui evangelizzatore e largamente venerato taumaturgo, assieme ad altri non meno lontani nel tempo, gli studiosi di antichità cristiane continuano a occuparsi, producendo opere sempre più apprezzate dal punto di vista scientifico, opere che contribuiscono a mantenere viva la grande tradizione cristiana.

Lo ha fatto per questo santo del IV secolo Fabio Ruggiero, col 40° volume della Biblioteca patristica delle EDB, curando introduzione, testo latino, traduzione italiana a fronte e commento della Vita Martini di Sulpicio Severo,1 l’opera di maggior pregio letterario sulla vita del santo, che il biografo poté conoscere personalmente negli anni tra il 393 e il 397, anno della morte di s. Martino.

 

UN CRISTIANO

IMPREVISTO

 

Martino nacque, secondo una delle cronologie proposte dagli studiosi, nel 316 a Sabaria in Pannonia, una delle due province in cui i romani più tardi divisero la regione nord-occidentale della penisola balcanica dopo aver assoggettato gli illiri (dai quali discendono gli albanesi); attualmente la regione corrisponde all’Ungheria.

La sua era una famiglia non ricca ma, informa Sulpicio, neppure tanto povera e allevò Martino in Italia, a Pavia; i genitori erano pagani e il padre di Martino, che era tribuno militare, volle che anche il figlio intraprendesse la medesima carriera benché la vocazione del ragazzo fosse quella di dedicarsi al servizio di Dio. Infatti fin dall’età di dieci anni e contro il volere dei genitori frequentava la chiesa ed era entrato tra i catecumeni. Ma suo padre, avvalendosi di un editto imperiale che impegnava i figli dei veterani a essere coscritti nell’esercito, costrinse Martino alla vita militare, che lo accolse appena quindicenne e persino in catene. «Rimase sotto le armi – scrive Sulpicio – all’incirca tre anni prima del battesimo, senza però farsi contaminare da quei vizi in cui tale genere di uomini è solito lasciarsi avviluppare», vivendo nella sobrietà, nella pazienza e nell’umiltà e tanto buono verso tutti i commilitoni «da esserne venerato con straordinario affetto».

Martino cominciava così, da militare, la sua vita da santo, consacrato evangelicamente con l’episodio del mantello sopra accennato: in quella rigida giornata, davanti a quel povero che ignudo chiedeva la carità ai passanti presso la porta di Amiens, «non aveva nulla all’infuori della clamide che indossava, poiché il resto già lo aveva dato in un’analoga opera di carità. Così, afferrata prontamente la spada di cui era cinto, divise la clamide a metà: una parte la donò al povero e la rimanente se la rimise indosso», tra le risate degli astanti perché «mozzato com’era in quell’abito, Martino si presentava infatti sgraziato».

Ma una voce celeste gli si fece udire durante la notte: «Martino, ancora catecumeno, mi ha ricoperto con questa veste».

 

UN SANTO

SIMPATICO

 

Quella voce era, racconta Sulpicio, la voce del Signore che non tardò a manifestarglisi di nuovo e di frequente, nelle circostanze più svariate in cui Martino ne otteneva grazie spirituali come la conversione della propria madre e interventi miracolosi quasi sempre spettacolari: guarigioni innumerevoli e risurrezione di morti; vittorie sul demonio vessatore di innocenti e provocatore di disastri; salvezza personale da vendette di nemici della fede cristiana, come nel prodigio di un pino “sacro” che doveva abbattersi su di lui e invece cadde dalla parte opposta... E l’elenco sarebbe lunghissimo, ma Sulpicio stesso sottolinea nella persona di Martino l’importanza dell’unione con Dio e della sua vita ascetica, la dolcezza dell’approccio ai bisognosi non meno che l’autorevolezza con cui confondeva gli avversari del vangelo di Cristo; la familiarità con i poveri e la dimestichezza con grandi amici tra cui s.Ilario di Poitiers che certo lo confortava dello scarso successo che la sua vita virtuosa riscuoteva anche nella sua cerchia; la premura pastorale con cui si occupava, dopo essere stato acclamato vescovo di Tours, della sua comunità ecclesiale come della comunità monastica da lui fondata a Marmoutier nei pressi di Tours, dove gli ottanta discepoli che l’avevano seguito «si formavano sull’esempio di quel beato maestro».

Dopo aver assunto l’episcopato, infatti, fino alla morte Martino «con esemplare fermezza continuava a essere lo stesso uomo che era stato in precedenza. Medesima era l’umiltà del suo cuore, medesima l’ordinarietà del suo abito. E così, con piena autorevolezza e prestigio, adempiva l’ufficio di vescovo, in maniera tale, tuttavia, da non disertare la vita monastica e le sue prerogative».

La traduzione della Vita Martini curata da Ruggiero rende gradevole non soltanto la lettura dell’opera ma anche la figura che dello stesso autore Sulpicio Severo si intravede nel testo; le utilissime pagine del Commento danno del primo biografo di Martino l’immagine di un cristiano di profonda cultura, che ha composto «un testo letterario inteso alla edificazione spirituale del lettore, prendendo posizione in difesa di Martino» contro gli avversari del santo; un testo appartenente a quelle opere del genere agiografico-biografico dietro le quali – scrive ancora Ruggiero nell’Introduzione – «c’è un sapiente lavoro compositivo e una costante cura perché la freschezza e l’immediatezza della narrazione tengano vivo nel lettore l’interesse per i fatti descritti».

Oltre alla vasta bibliografia, completano l’opera diversi indici (dei passi sulpiciani, dei luoghi biblici, tematico, delle parole notevoli e dei nomi antichi di persona e di luogo).

 

Z. P.

 

 

1. SULPICIO SEVERO, Vita di Martino, EDB, Bologna 2003, pp. 317, e 23,00.