EURISPES: 4° RAPPORTO SU INFANZIA E ADOLESCENZA

GIOVANI A RISCHIO

 

La priorità di una strategia globale a favore dei minori, per promuovere più benessere e più sicurezza: questi i dati emergenti dalla conferenza di Genova sui giovani nel bacino del Mediterraneo e dal IV Rapporto sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza.

 

Abbiamo ora una prima “mappa” del bambino mediterraneo (in realtà è la fascia 0-18 anni): questo il primo frutto della recente conferenza internazionale Children and the Mediterranean (Genova, 7-9 gennaio 2004).

Nelle cinque zone considerate (penisola arabica, nord Africa, costa est del Mediterraneo, Europa dell’est e del sud), vivono 233 milioni di minori, il 65% di essi sulla sponda sud e il rimanente 35% su quella nord (compresa la Turchia). Questo dato conferma il divario esistente tra i tassi di natalità dei paesi europei e quelli dei paesi mediorientali-nordafricani e rilancia la necessità di un più profondo dialogo tra Europa e mondo arabo, dal momento che per l’area mediterranea è aperta una “finestra di opportunità” caratterizzata da una situazione demografica complementare in termini di popolazione attiva. La società europea è infatti sempre più vecchia, attestandosi su una media di 94 anziani ogni 100 minori nella fascia 0-14 anni; un dato che per i paesi dell’Europa del sud si attesta oltre le 100 unità (127 per l’Italia, 110 per la Grecia e 107 per la Spagna). La speranza di vita alla nascita nell’area mediterranea è di 72 anni. Nel Mediterraneo sud questo valore è di 70, mentre nel nord è di oltre 75. Drammatici i dati relativi alla mortalità materna: a fronte di un tasso di mortalità di circa 28 decessi ogni 100mila nati per i paesi della sponda nord del bacino (stima che comprende i paesi dell’est Europa e in particolar modo la Turchia), si registra invece un tasso di mortalità materna che per i paesi della sponda meridionale è di circa 139 decessi annui. Per quanto riguarda i livelli di istruzione, si può rilevare una certa convergenza tra le rispettive aree: mentre per i paesi della sponda nord del Mediterraneo i tassi di alfabetizzazione toccano circa il 99% dei giovani tra i 15 i 24 anni, per i paesi a sud lo stesso si può dire solo per l’80% circa della popolazione considerata.

Con questi dati fondamentali, la conferenza di Genova ha chiaramente indicato l’urgenza di mettere i minori al centro di una strategia globale di giustizia e di pace, che vada oltre le affermazioni di principio per incidere effettivamente sulla loro vita quotidiana. In questa direzione si muove, per quanto riguarda l’Italia, il recente IV Rapporto sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza, curato da Telefono Azzurro ed Eurispes. Ne diamo una breve sintesi, soffermandoci sulle aree di maggior vulnerabilità.

 

TRA ABUSO

E DEVIANZA

 

L’infanzia diviene sempre più oggetto di uno sfruttamento sessuale non più solo istintuale, ma pianificato come terreno di vantaggio economico. Con la Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, l’Italia ha assunto precisi impegni sul piano della lotta alla pedofilia. Questa resta un fenomeno diffuso con capacità di adattamento anche attraverso l’uso delle nuove tecnologie, si pensi a Internet e al settore della pedofilia on line. Il governo ha dichiarato di porre la lotta al fenomeno fra i suoi impegni prioritari: circa un anno fa è stato costituito il “Ciclope” (Comitato interministeriale di coordinamento per la lotta alla pedofilia): il suo ruolo è quello di porre in atto una strategia condivisa, coordinando le attività di prevenzione e contrasto svolte dalle diverse amministrazioni e raccordandole con le azioni messe in atto dal privato sociale. Per quanto riguarda le vittime di abuso sessuale, si riscontra il dato più elevato nell’anno 2000 (700) e una generale diminuzione nel 2001 e nel 2002, mentre il dato parziale relativo ai primi sette mesi del 2003 fa registrare un aumento di quasi il 18% rispetto allo stesso periodo del 2002. Alcune regioni sembrano ai primi posti per numero di tali vittime: in particolare Lombardia, Campania, Lazio e Sicilia. Il dato relativo al 2003, nonostante una preponderanza relativa al sesso femminile (65,9%), conferma comunque che l’abuso sessuale è un problema che coinvolge anche i maschi (34,1%): questi ultimi sono maggiormente vittime nella fascia di età fino a 10 anni (40%). Analizzando il periodo 1999-2003 (primi sette mesi), si rileva complessivamente un aumento in percentuale dei bambini e adolescenti stranieri nel corso degli anni. Dalla analisi delle relazioni vittima-autore di reato viene confermata la relazione di conoscenza tra l’autore e la propria vittima. Si assiste complessivamente ad un aumento di circa 25 punti in percentuale di autori di reato che conoscono la propria vittima tra gli anni 1999 e 2003.

Venendo al fenomeno della devianza minorile, siamo di fronte al cosiddetto numero oscuro a causa di mancate denunce. I minori denunciati diminuiscono, tra il 1991 e il 2000, del 14,4% passando da 44.977 a 38.963 unità. Per quel che riguarda i minori stranieri denunciati la situazione è differente: dal 1991 al 1995 la percentuale aumenta del 60%, mentre dal 1996 diminuisce progressivamente avvicinandosi nel 2000 ai valori del 1993. Nel 2002, i minori che hanno fatto il loro ingresso negli istituti penali sono risultati in totale 1.476, di cui l’85% circa composto da maschi. Circa la nazionalità, il 57,3% risulta costituito da stranieri contro il 42,7% di italiani. In merito all’ingresso nei Centri di prima accoglienza (strutture non carcerarie ospitanti minori in attesa dell’udienza di convalida e che aiutano a evitare l’impatto con l’istituto penale), la maggior parte è costituita da stranieri (1.952, circa il 56% del totale) rispetto agli italiani (1.561, 44% circa).

In questo contesto va detto che i 2/3 dei reati commessi da minori sono di natura violenta. Tra i fattori di rischio vanno ricordati quelli legati al gruppo dei pari (il legame con pari devianti o aggressivi può iniziare precocemente, creando un possibile effetto di rifiuto da parte degli altri coetanei), quelli legati alla zona di residenza (i quartieri poveri tendono a essere abitati da popolazioni più transitorie, a essere più disorganizzati e con servizi sociali insufficienti; inoltre, un’alta mobilità rende più difficile lo sviluppo di reti di supporto e di un senso di attaccamento alla comunità), quelli infine legati al livello culturale e sociale (la povertà, specialmente quando associata al razzismo, è fattore di rischio in quanto può generare un senso di ingiustizia, frustrazione, rabbia e mancanza di speranza)..

 

ACCATTONI

SI DIVENTA

 

Un altro fenomeno registrato dal Rapporto è quello dei “bambini ombra” che troviamo ai semafori ma anche ai supermercati e nelle metropolitane. Secondo stime del Comune di Roma, i piccoli nomadi e i minori sfruttati nell’accattonaggio sarebbero circa 2.500, la maggior parte dei quali vive in condizioni di schiavitù, “fruttando” una media di 70 euro al giorno. Molti di loro non sono mai andati a scuola con conseguenze gravi per lo sviluppo della personalità. C’è poi chi finisce sulle strade non per aiutare il proprio nucleo familiare, ma perché è stato “affittato” a organizzazioni criminali. Per offrire a questi minori un’opportunità di recupero, lo scorso anno il Comune di Roma ha promosso un progetto scaturito da un tavolo conoscitivo sul problema mendicità, che ha visto unirsi gli Assessorati alle politiche per l’infanzia e alle politiche sociali con le varie Forze dell’ordine. L’accattonaggio potrebbe infatti costituire uno stile di vita dell’intera famiglia dettato da povertà materiale e culturale, senza che tuttavia si verifichino molestie e una riduzione allo stato di schiavitù. In molti altri casi, invece, quando il denaro raccolto non soddisfa le richieste, sono previste percosse e minacce. Verificato ciò, scatta la linea dura: l’adulto può essere perseguito non solo per sfruttamento del minore a scopo di accattonaggio, ma anche per evasione dell’obbligo scolastico e per violenza privata. I genitori responsabili di tali crimini rischiano un’ordinanza di sospensione dell’esercizio della potestà che comporta l’affido dei bambini a un istituto e poi, eventualmente, a una famiglia. Tutto ciò ha fatto sì che nella seconda metà del 2002 siano state denunciate 263 persone, su base nazionale, per sfruttamento di minori in attività di accattonaggio. Le regioni in cui l’azione di contrasto ha prodotto maggiori risultati sono la Lombardia (71 persone denunciate), e il Lazio (40 persone denunciate soltanto nella capitale). Seguono la Liguria (25) e la Toscana (20). In Campania invece, dove pure lo sfruttamento minorile è particolarmente diffuso (soprattutto a Napoli), i denunciati sono stati soltanto 6.

Le condizioni di povertà e disoccupazione, l’escalation del crimine organizzato, la carenza nell’istruzione, la debolezza delle leggi: tutto contribuisce al traffico dei minori verso il nostro paese e l’Unione europea. Bambini e ragazzi passano dai nostri valichi di frontiera e poi spariscono, vittime di affari illeciti. Negli ultimi dieci anni il numero di minori stranieri che entrano in Italia ha conosciuto un notevole incremento: dal 1996 al 2000 si è passati da circa 126.000 (14,2% della popolazione straniera regolarmente soggiornante) a 277.976 (19%). Va però sottolineato che i dati si riferiscono esclusivamente ai minori iscritti sul permesso di soggiorno dei familiari. È quindi evidente che l’universo sommerso della clandestinità continua a restare tale per l’impossibilità di un riscontro certo. Per quanto concerne la provenienza dei minori stranieri, la maggior parte viene dall’Albania (50%), segue poi il Marocco (17%, percentuale in continuo aumento), la Romania (8,5%) e la ex-Jugoslavia (5%). L’86% dei minori stranieri è di sesso maschile. Cercando di capire quanti minori stranieri con o senza famiglia sono caduti nell’accattonaggio o in reati penali, ci imbattiamo in un dato allarmante: i responsabili dei reati di spaccio e consumo di stupefacenti sono in primo luogo gli stranieri non accompagnati (46,5%); la percentuale scende nel caso di stranieri con famiglia (13,1%). I minori stranieri maschi senza famiglia sono responsabili nel 43,8% dei casi di rapina aggravata, nel 63,7% dei reati di estorsione e nel 60% dei reati di ricettazione. È naturale che numeri così preoccupanti possano generare, qualora non ben interpretati, una vera e propria “psicosi da immigrato”.

 

SICUREZZA

E POLITICA FAMILIARE

 

Oltre agli ambiti appena indicati, vanno segnalati in generale alcuni indicatori di rischio cui sono esposti i nostri ragazzi. Basti pensare allo stato dell’edilizia scolastica pubblica, dove sul piano della prevenzione degli incendi la situazione appare peggiore di quanto si possa immaginare: la media nazionale delle scuole in possesso di certificazione idonea è inferiore al 27%; in valore assoluto si tratta di 11mila scuole, su oltre 41mila edifici scolastici statali. E che dire delle giovani vittime della strada? I dati del 2001 indicano che 1.224 sono state le vittime tra i 15 e i 24 anni, guidatori e passeggeri, con un’incidenza sul complesso del 18,5%. Sul piano della sicurezza in ambito domestico, inoltre, dovrebbe far riflettere il dato sui 300 minori fino a 14 anni che nel 2000 sono rimasti vittime di avvelenamenti accidentali, cadute, ingestione con soffocamento, ecc. E ancora, l’indagine mostra la crescita quasi costante dei sofferenti di disturbi allergici, passati dal 6% del 1993 all’8,2% del 2001, da collegarsi in primo luogo a fattori ambientali come la presenza di smog e traffico. L’inquinamento dell’aria può essere considerato tra i principali responsabili dell’incremento: nel quadriennio 1997-2001, nei grandi centri urbani italiani il fenomeno delle allergie si è intensificato in misura piuttosto rilevante (+2,1%).

La rilevazione, inoltre, in relazione alla diffusione di modelli e di comportamenti a rischio, ha confermato tra i giovani nella fascia 12-19 anni un elevato consumo di alcolici (il 26% li consuma “spesso” e ben il 45% “occasionalmente”) e superalcolici (con un uso frequente per circa il 13% e occasionale per oltre il 30%). Per quanto riguarda l’assunzione di droghe, si rileva una discreta tendenza a consumare hashish e marijuana: usa spesso queste sostanze il 6,5% degli intervistati, più raramente l’11%. Segue il consumo di cocaina, molto frequente per circa il 2% dei giovani e occasionale per circa il 3%, mentre l’eroina registra un grado di penetrazione minore. Il consumo delle droghe di sintesi tende ad affermarsi in contesti specifici spesso legati alla vita notturna: ketamine, crystal ed ecstasy vengono utilizzate “spesso” o “occasionalmente” da oltre il 4% del campione. Una delle caratteristiche dei consumatori delle nuove droghe è la poliassunzione, ossia la tendenza ad assumere più sostanze in una stessa serata.

Sul piano sociale e dello sviluppo delle opportunità formative infine, non si è ancora riusciti a contrastare la dispersione scolastica in diverse aree regionali del paese: un fenomeno strettamente correlato alla diffusione della manodopera minorile. In Italia, nel 2000, i minori di 15 anni impegnati in attività lavorative risultavano 147.285, pari a circa il 3% dei ragazzi di quella fascia d’età. L’incidenza dei minori lavoratori sulla popolazione minorile complessiva è strettamente correlata all’età: nella classe tra i 7 e i 10 anni è dello 0,5% e sale progressivamente fino ad arrivare all’11,6% tra i 14enni.

Per un corretto inquadramento dei dati emersi non va dimenticato che l’Italia dedica appena lo 0,9% della ricchezza nazionale alle politiche familiari. Tutti gli altri paesi dell’Unione spendono molto di più per la famiglia, a partire dal Portogallo e dai Paesi Bassi che destinano l’1,2% del Pil alle suddette politiche.

 

Mario Chiaro