I FRATELLI DELLE SCUOLE CRISTIANE E IL 4° VOTO

PER UN DI PIÙ DI AMORE

 

Fr. Echeverría spiega il significato del quarto voto riguardante il servizio educativo dei poveri nella realtà del mondo d’oggi. Ciò implica anche una rilettura del significato e del modo di vivere gli altri voti.

 

I Fratelli delle scuole cristiane, oltre ai consigli evangelici di castità, povertà, e obbedienza, professano anche un 4° voto di associazione per il servizio educativo dei poveri e stabilità nell’istituto. È un impegno solenne assunto davanti a Dio e alla Chiesa, non qualcosa di marginale al loro carisma; diventa anzi un richiamo continuo a seguire oggi Gesù casto povero e obbediente avendo come attenzione primaria l’educazione dei poveri.

Ma come tradurre nella realtà contemporanea questo impegno?

Lo spiega il superiore generale Avaro Rodríguez Echeverría in una lettera scritta all’istituto, in cui osserva: «Il dare cristiana educazione ai figli degli artigiani e dei poveri, che è nostra prima finalità, non è solamente un modo di orientare la nostra missione apostolica prioritariamente verso di loro, ma deve essere, sulle orme del nostro fondatore, una vera scuola di spiritualità».

Servire i poveri non è un semplice atto di carità, ma deve essere assunto fino in fondo come valore spirituale perché «servire i poveri di Cristo rafforza la vocazione e la nostra sequela di Gesù». Sono essi infatti, a volte, i «nostri veri maestri, i nostri giudici e il più delle volte sono più cristiani di quelli della nostra società consumistica in cui viviamo. Solidarietà, capacità festiva, la stessa fragilità e il vivere senza conti né sicurezze, li rende non installati, generosi, liberi».

Professare i consigli evangelici dunque, per qualsiasi famiglia di vita consacrata, significa porre la vita di ciascun membro nelle mani di Dio per essere ri-inviati nel suo nome al mondo; per i Fratelli delle scuole cristiane più specificamente «la miglior maniera di procurare la gloria di Dio è attraverso l’associazione per il servizio dei poveri» seguendo così le orme del proprio fondatore.

Rivisitare i consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza alla luce di questo 4° voto significa in qualche modo rinsaldare le proprie motivazioni vocazionali, quelle che hanno portato a una scelta di vita e che ancora oggi sono ancorate, radicate e che permettono tuttora di seguire il Maestro, via, verità e vita. Riappropriarsi della propria vita consacrata a Dio, per una missione da compiere verso il mondo, significa acquisire ancora di più la consapevolezza della propria scelta, ripartire con nuovo slancio per vivere con maggior radicalità il carisma ricevuto.

 

CASTITÀ

DONO ABLATIVO

 

Secondo fr. Echeverría occorre anzitutto rileggere la castità alla luce del 4° voto: ciò significa ancora una volta collocare la castità nella dimensione dell’amore oblativo: «La castità non è negazione dell’amore umano. È molto più affermazione dell’amore. Può nascere solo quando una persona si trova posseduta e trasformata dal di dentro dal Regno, cioè dall’amore a Gesù Cristo, ma da un amore integrale che fa proprie le sue abitudini, le sue scelte e le sue preferenze». Professare il voto di castità significa allora vivere il radicalismo dell’amore così come l’ha vissuto Gesù. Il continuo punto di riferimento è senza ombra di dubbio Cristo crocifisso e risorto, colui che “ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20); senza questo confronto con la sua vita, vissuta in pienezza fino al dono totale di sé, non si riesce a trovare quella solidità interiore da garantire al consacrato fedeltà e perseveranza nella sequela.

Fr. Echeverría spiega: «Il nostro cuore deve amare come il suo. La relazione affettiva e personale con il Signore ci deve portare ad amare coloro che lui ha amato di più: i poveri e gli emarginati». I vangeli ci rimandano continuamente a questa predilezione particolare di Gesù verso i più poveri, non solo quelli economicamente poveri, ma soprattutto l’attenzione del Signore è verso i poveri d’amore, quelli che nessuno ama, i dimenticati, i piccoli, i più indifesi. È lì che si deve mettere in gioco tutta l’affettività del consacrato, imitando gesti, atteggiamenti di Gesù povero, casto e obbediente. «L’amore universale verso tutti gli uomini resta una mera astrazione concettuale se non si incarna nell’amore concreto agli individui in particolare». Professare il voto di castità significa vivere in concretezza l’amore soprattutto a partire dalla propria comunità di appartenenza dove si intrecciano quotidianamente dei rapporti, delle relazioni, si condivide una scelta di vita. In particolare, per i Fratelli delle scuole cristiane, l’amore deve farsi ancora più concreto verso quei ragazzi e giovani poveri e lontani dalla salvezza, quei ragazzi e giovani per i quali si sono associati.

 

POVERTÀ

E RICCHEZZA DI DIO

 

Questo però, se è vero per il voto di castità, lo è anche per la povertà. Scrive fr. Echeverría: «I ragazzi e i giovani poveri che in associazione educhiamo sono il sacramento di questa realtà. Ci fanno scoprire il potere di Dio nella nostra debolezza e ci permettono di vivere con maggior autenticità la nostra povertà. Il nostro voto di povertà dovrebbe, in realtà, chiamarsi di ricchezza, perché ciò che lo definisce è la scoperta e la coltivazione della ricchezza abbondante di Dio e del suo Regno nella piccolezza di una vita di sequela condivisa sul piano dell’umiltà, della gioia, dell’apertura ai poveri».

Dunque professare il voto di povertà significa riconoscere la piccolezza di Dio come manifestazione della sua onnipotenza e, nell’imitare Gesù povero, si è invitati a vivere la dimensione della «povertà dell’essere e della persona, l’avere un cuore povero» e questo è «ciò che ci fa sentire alcune volte il vuoto della solitudine esistenziale che ci fa cercare in Dio il nostro unico e autentico appoggio nei momenti difficili della vita». È necessario allenare il cuore a sentire la nostra piccolezza, la povertà di ciò che siamo, per riconoscere la grandezza e la ricchezza Dio.

Troppe volte si è tentati di colmare i vuoti di solitudine esistenziale cercando qua e là chi possa riempire questi deserti interiori con il grosso rischio di cercare ansiosamente altre fonti, dimenticando così la centralità di Cristo nella propria esistenza. A volte è necessario e più che salutare vivere questa esperienza di solitudine per sperimentare nella propria vita come la «povertà dell’essere e della persona è ciò che sostiene e fa crescere in noi la libertà interiore, il cui principale frutto è la pace, perché ci porta ad accettare nella pace la certezza dei nostri limiti».

Non possiamo dimenticare quelle parole del Vangelo che ci richiamano continuamente all’essenzialità della consacrazione: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date!»; questo è valido per qualsiasi cristiano, ma assume una tonalità ancora più pregnante per chi professa i consigli evangelici. «In una società come la nostra – scrive Echeverría – seguire Gesù povero, significa opporsi attivamente al cadere nello spirito consumista, facendo uso delle cose in modo tale che ci permetta di ricordare e vivere Dio come l’unico assoluto e necessario e il prossimo, specialmente i giovani poveri che educhiamo, come la sua presenza nella storia. In un mondo come il nostro, segnato da disuguaglianze sempre maggiori, in cui ogni anno muoiono di fame da 40 a 50 milioni di persone, in cui tante persone restano escluse dai benefici economici, in cui nascono nuove povertà, deve farci sentire vergogna il darci con leggerezza il titolo di poveri. Senza dubbio l’essere distinti non impedisce l’essere poveri e solidali con i poveri, però ci invita a porre questa differenza al loro servizio». Parole che non hanno bisogno di commenti o di ulteriori riflessioni perché sufficientemente chiare e che diventano un richiamo, non solo per i Fratelli delle scuole cristiane, ma per ogni consacrato.

Chi sceglie di seguire il Signore Gesù nella via dei consigli evangelici deve in qualche modo assumere i suoi stessi sentimenti che da ricco che era si è fatto povero (cf. Fil 2,5); «se vogliamo vivere una povertà incarnata come quella di Gesù, è necessario entrare in un impegno per la giustizia verso le grandi maggioranze impoverite economicamente e offese nella loro dignità di uomini e di fratelli. In questo senso, il nostro quarto voto di associazione per il servizio educativo dei poveri non è altro che una storicizzazione del nostro voto di povertà».

 

OBBEDIENZA

PER SERVIRE MEGLIO

 

Non meno impegnativo è, a questo proposito, il voto di obbedienza, che richiama tutti a una piena disponibilità a rispondere al progetto di Dio che, interpretato comunitariamente, porta a un impegno missionario verso i poveri, i giovani, verso il mondo e la Chiesa. «L’obbedienza deve essere per noi un cammino di libertà per servire meglio»; l’obbedienza ritrova valore e senso solo se riferita e confrontata con l’obbedienza di Gesù al progetto del Padre. Nella volontà del Padre, Gesù trova il senso della sua vita, il criterio per discernere le sue decisioni e la forza per vivere e servire; il progetto del Padre «consiste nel suo disegno di liberazione integrale per tutti gli uomini, è un disegno di amore totale all’uomo che comincia dall’emarginato e dall’invalido e si estende a tutta l’umanità». A partire da queste affermazioni appare evidente allora che, per i Fratelli delle scuole cristiane, il 4° voto «cerca la liberazione integrale di tutti i giovani, a partire dai più poveri e abbandonati, disposti anche a dare la vita per loro».

C’è poi un altro aspetto che Echeverría sottolinea come elemento portante della vita di consacrazione e cioè il voto di stabilità, dove c’è l’impegno a restare uniti e «senza poterci separare, anche se restassimo solo in tre in questa società e fossimo obbligati a chiedere l’elemosina e a vivere di pane solamente». Rileggere questo alla luce del 4° voto significa ancora una volta spingersi, con rinnovata creatività, a «realizzare insieme e in associazione nuovi progetti che rispondano alle necessità dei giovani di oggi». Dovrebbe essere chiaro che la missionarietà che spinge ogni consacrato a professare i consigli evangelici consegnando la propria vita a Dio, all’istituto di appartenenza, alla Chiesa, non è in funzione di strutture da custodire a volte gelosamente: l’attenzione primaria va data alle persone. «È per le persone che vale la pena perdere la vita nel senso del Vangelo. Credo – scrive il generale – che è importante non perdere di vista il senso mistico della nostra associazione per il servizio educativo dei poveri, che dà fondamento alla nostra stabilità e alla nostra fedeltà». Questo comporta agire in un determinato modo scegliendo ciò che è proprio e specifico per l’istituto: la fedeltà alle persone e in particolare la fedeltà ai giovani poveri. «Non si tratta di restare immobilizzati nel passato, ma ricominciare di nuovo, raccogliere nuove forze, mirare verso il futuro, favorire nuovi progetti».

Tutto questo non può realizzarsi se non partire da un forte senso di giustizia che ciascuno deve impegnarsi a costruire pazientemente perché senza giustizia, nel senso evangelico, le scelte e i progetti rischiano di essere fatti più come tornaconto personale e/o comunitario. È perciò necessario l’impegno di «costruire un mondo in cui l’educazione sia patrimonio di tutti e in cui i ragazzi e i giovani poveri possano incontrare possibilità di partecipazione e crescita». E come sintesi di tutto questo possiamo dire che «nel mondo globalizzato che oggi viviamo si tratta di non lasciare nessuno escluso e di preoccuparci, principalmente, di coloro che vengono lasciati al margine».

Un richiamo, da parte del generale dei Fratelli delle scuole cristiane, a una consapevolezza ancora più totale della loro consacrazione a Dio a servizio dei più poveri ed emarginati, ma è questo un richiamo anche per tutti i consacrati a vivere la loro donazione totale a Dio con maggior convinzione e responsabilità.

 

Orielda Tomasi