DIALOGO INTERRELIGIOSO

SVILUPPI NEL DIALOGO CON L’ISLAM

 

Tre possibili prospettive per un’analisi: l’insegnamento della Chiesa nel Vaticano II e nel magistero del papa; le esperienze di dialogo con i musulmani; l’attuale situazione geopolitica e la sua ricaduta sulle relazioni tra cristiani e musulmani.

 

Nel suo intervento all’ultima assemblea USG dedicata al dialogo interreligioso (nov. 2003), p. Thomas Michel sj ha presentato una relazione sul tema specifico del dialogo cristiano–islamico a partire dal magistero della Chiesa e del pontefice, delle esperienze di dialogo e dall’impatto della situazione geopolitica su di esso.1

 

L’INSEGNAMENTO

DELLA CHIESA

 

Durante il suo pontificato – precisa p. Michel – il papa ha incontrato cinquanta volte i musulmani, molto più spesso di tutti i papi precedenti, toccando ripetutamente nei suoi discorsi diversi temi importanti. Per esempio, il legame più profondo che dovrebbe unire cristiani e musulmani è il fatto che entrambi adorano l’unico e identico Dio e che entrambe le comunità cercano la volontà di Dio in ogni cosa. Benché si possa discordare su molti punti, il fatto che noi e i musulmani veniamo dallo stesso Dio conferisce una profonda importanza allo sforzo di vivere bene insieme su questo pianeta.

Il documento Nostra aetate del concilio Vaticano II presenta i punti chiave di un dialogo basato sul mutuo rispetto e la fiducia. Esso riconosce l’importanza attribuita dai musulmani alla preghiera, all’attenzione al povero, al digiuno come disciplina spirituale, e menziona il grande rispetto che essi hanno per Gesù e Maria come elementi della fede islamica che dovrebbero formare un senso di sentimento umanitario tra cristiani e musulmani. Probabilmente nessun’altra religione nel mondo guarda a Gesù in modo così alto, come l’unica persona da Adamo a essere nato da una vergine, il più grande profeta prima di Maometto, un modello di santità, un uomo asceso al cielo dove rimane vivo fino alla seconda venuta sulla terra prima del giudizio finale. Nell’islam, Maria è considerata la più santa e la più grande di tutte le donne che siano mai vissute, una vergine senza peccato che diede i natali a Gesù Cristo.

Ovviamente, ciò che i cristiani credono di Gesù va oltre tutto questo. Per noi, egli non è semplicemente un grande profeta, ma il figlio di Dio, colui nel quale incontriamo Dio, sorgente della nostra salvezza e della riconciliazione con il Padre, l’unico del cui Spirito vive non solo la nostra comunità, ma l’intera famiglia umana. Ciononostante, l’ovvia riverenza mostrata dal Corano per Gesù e Maria non forma una base per una vicinanza e amicizia tra cristiani e musulmani? Il Corano stesso riconosce questo legame quando dice: «Troverai che i più vicini nell’affetto a quelli che credono [i musulmani] sono quelli che dicono “noi siamo cristiani”. Questo perché tra loro ci sono preti e monaci e perché non sono arroganti».

Infine, in molti discorsi il papa elabora il tema sulla “comune missione” attribuita da Nostra aetate a cristiani e musulmani. Dovremmo lavorare insieme per il bene di tutti nelle quattro aree fondamentali della giustizia sociale, valori morali, pace e libertà.

 

ESPERIENZA PERSONALE

DI DIALOGO CON L’ISLAM

 

Accanto a fondamenti di amicizia e cooperazione così forti tra cristiani e musulmani – continua p. Michel – ci sono anche relazioni spesso così tese al punto che la violenza sembra endemica e il dialogo appare impossibile. Spesso i cristiani chiedono: « È realmente possibile il dialogo con i musulmani?». La mia risposta è che il dialogo non è facile perché manchiamo di una base di fiducia. In generale, noi non ci fidiamo dei musulmani e i musulmani non si fidano di noi. La ragione di questa sfiducia è ovviamente il peso della storia che tutti portiamo. Abbiamo troppe memorie di guerre, conflitti, misfatti, discriminazioni, pregiudizi e tradimenti della fiducia per aprirci facilmente o velocemente alla prospettiva di una vita insieme e a una missione comune per il mondo moderno.

La fiducia non è cosa semplice da costruire, soprattutto quando gli eventi del nostro mondo sembrano procurare a tutti ragioni sempre nuove per la sfiducia. I cristiani sono giustamente preoccupati dagli attacchi terroristici, le bombe suicide, le discriminazioni contro le minoranze cristiane, e l’apparente prontezza dei musulmani a impossessarsi della legge. I musulmani sono giustamente preoccupati dei governi cristiani che sembrano tutti pronti a impegnarsi in azioni militari contro i civili delle popolazioni musulmane, e dell’abitudine dei media cristiani di catalogare tutti i musulmani come “pericolosi” e “terroristi” a causa dell’azione di pochi, e dello sforzo degli operatori del mondo economico di imporre al popolo musulmano valori e norme culturali a loro alieni in nome degli interessi del mercato globale.

Tutti questi fattori rendono difficile la fiducia. Tuttavia, questi argomenti rendono ancora più necessario il dialogo, se non vogliamo vivere in un mondo polarizzato e nemico. Nella Chiesa cattolica possiamo imparare molto dall’approccio di Giovanni Paolo II. In 25 anni egli ha predicato e praticato un messaggio consistente con i musulmani. Nei primi anni, non c’era molta risposta. I musulmani sembravano sospettare che il papa si impegnasse in relazioni pubbliche o avesse motivazioni nascoste dietro la sua supplica per il dialogo e la cooperazione. Con il passare degli anni, però, e con la persistenza del messaggio papale, sempre più musulmani sono pronti ad accettare le parole e le azioni del papa. Per esempio, alla Giornata di preghiera per la pace di Assisi del 1986 c’erano molto pochi musulmani, e non molto rappresentativi delle diverse comunità islamiche. Alla seconda Giornata di preghiera per la pace in Bosnia nel 1993, la risposta era molto migliore, non solo in termini numerici ma anche a livello di cordiale partecipazione. Alla terza Giornata di preghiera dell’anno scorso, c’erano così tanti musulmani desiderosi di partecipare che il loro numero è stato severamente limitato. Non c’era posto sul podio di Assisi per tutti i leader musulmani partecipanti.

La mia esperienza – precisa p. Michel – è che una volta stabilita la fiducia, il dialogo con i musulmani non solo è possibile, ma è molto proficuo. In Turchia, Indonesia, Malesia, Egitto, Iran e Filippine, ho avuto occasione di vivere tra i musulmani, insegnare nelle loro università, di abitare nelle loro case e accoglierli nella mia, condividere i pasti con loro, e discutere a lungo su ciò che è più importante nella vita, cioè la nostra esperienza personale di Dio, come preghiamo, che cosa significa fare la volontà di Dio, e la nostra risposta alle azioni amorose e misericordiose di Dio.

 

LA SITUAZIONE

GEOPOLITICA

 

I nostri incontri con i musulmani non avvengono nel vuoto. Viviamo in un’epoca di conflitti e di continua violenza. Tutti sono infelici e molti – italiani iracheni, americani, turchi, inglesi, afghani e tanti altri – fanno lutto per persone innocenti uccise in conflitti assurdi. Si potrebbe dire che viviamo in uno stato di guerra, una lotta per il potere a livello mondiale tra due forze intransigenti, e la maggior parte di noi. Cristiani e musulmani ordinari, sono presi nel mezzo.

Molti musulmani ammettono che le loro sono società in crisi. I leader politici sono spesso visti come interessati, corrotti, e non desiderosi o incapaci di far fronte ai bisogni fondamentali delle grandi masse del loro popolo. Conflitti ideologici, ipocrisia e manipolazione dell’identità religiosa abbondano nel moderno mondo musulmano, benché si possa a buon diritto discutere se tali vizi e debolezze siano più prevalenti tra i musulmani che nelle società europee o nordamericane.

Oggi i temi della giustizia e del buon governo sono centrali nelle nazioni musulmane. Il grido per un governo democratico, rappresentativo, efficace, è sentito ovunque. Ci sono troppi regimi corrotti che sembrano servire più gli interessi delle élite dominanti, che troppo spesso hanno ottenuto il potere attraverso successioni dinastiche o colpi di stato e che rimangono al potere grazie a sofisticati sistemi di sicurezza e alleanze con le grandi potenze. Tutto ciò ha creato una mancanza di confidenza nei sistemi politici e nella leadership.

Gli effetti economici sui semplici cittadini delle politiche di mercato neoliberali e la globalizzazione sono una causa di rabbia e di inquietudine. Una distribuzione non equa di ricchezza e opportunità hanno prodotto masse arrabbiate e frustrate che non vedono speranza di miglioramento nelle strutture dello status quo. Vi è una percezione generalizzata che alla radice di questo malessere sociale ci sia una egemonia neocoloniale americana in cui piccoli gruppi di professionisti del denaro a New York e Londra prendono decisioni finanziarie, sulla base del solo profitto, che influenzano in modo negativo la vita di milioni di persone ovunque.

C’è la convinzione che i governi occidentali sostengano le monarchie e le dittature fintantoché esse permettono libertà di mercato agli investitori stranieri e votino correttamente in seno all’ONU, ma è pronta a muovere guerra per distruggere quelli che intralciano gli scopi economici e militari dell’America. Mentre i media e i politici accusano i musulmani di essere inclini alla violenza, i musulmani spesso vedono se stessi principalmente come vittime piuttosto che perpetratori di violenza, sia che gli oppressori siano le locali élite islamiche sia che, come nel caso di Palestina, Cecenia, Kashmir, Kosovo e Filippine, siano eserciti e governi non musulmani.

Molti musulmani, compresa la grande maggioranza che non approva la violenza e il terrorismo, hanno obiezioni di carattere religioso all’ideologia dominante promossa dall’occidente. Guardano alla ideologia modernista come materialista, capace di relegare Dio e la volontà di Dio ai margini della vita politica, economica e sociale. Essi vedono la modernità come orientata al profitto e consumista, in cui una persona ha valore solo in misura del suo status economico, del prestigio sociale, e del potere di raggiungere i propri scopi. Essi vedono che l’ideologia dominante divide il mondo in vincenti e perdenti. I vincenti guidano belle automobili, hanno Gold credit cards, mangiano bene, vanno in vacanza in paesi esotici, mentre i perdenti, per sopravvivere, devono lavorare duro in occupazioni instabili e poco remunerate, e ci si aspetta che accettino pacificamente il loro destino. Le loro prospettive sono scontate o ignorate e le loro voci non sono ascoltate nei concili delle potenze.

Per i musulmani non ci sono valori per i quali Dio vuole che la gente viva. L’islam, come la fede cristiana, insegna che il fine della vita umana è conoscere, adorare e obbedire a Dio, amare e servire gli altri, e sperare per il giorno in cui coloro che sono rimasti fedeli a Dio saranno ricompensati con la vita eterna alla presenza di Dio. Così, i valori che dovrebbero caratterizzare le società umane sono la solidarietà, l’assistenza reciproca, l’interesse per il povero e il costante ricordo della grandezza di Dio, la mitezza e la compassione. La società teocentrica che essi cercano di costruire dovrebbe essere una società di pace: pace con Dio vivendo in accordo con la volontà di Dio, pace tra i vari settori della società, e pace tra le nazioni.

P. Michel afferma di avere notato, in articoli, discorsi e discussioni private con musulmani dopo i tragici eventi dell’11 settembre 2001, una grande enfasi posta sull’islam come religione di pace e sul dovere dei musulmani di lavorare con gli altri per costruire un mondo di pace. Come si spiega tutto ciò? Molti musulmani consideravano la natura dell’islam come religione di pace come un dato evidente, che non aveva bisogno di dimostrazioni. L’attacco al World Trade Center e la successiva guerra al terrorismo li ha convinti però di due cose: che la reputazione dell’islam tra i non–musulmani non è quella di una religione di pace ma di guerra; e che essi devono lavorare con i credenti di altre religioni che la pensano come loro se vogliono contrastare l’impressione negativa che gli altri hanno dell’islam e se vogliono costruire la pace nel mondo.

Quando i musulmani si guardano attorno per cercare gli alleati naturali nell’affermare i valori divini nel mondo moderno, incontrano i cristiani. Oggi molti musulmani e cristiani in diverse parti del mondo collaborano in molte forme per il bene di tutti. Nelle Filippine del sud, per esempio, questa collaborazione si è concretizzata nell’opera di sviluppo umano e di lotta alla povertà del MUCARD (Muslim-Christian agency of rural development), un cartello che raccoglie organizzazioni di persone in 120 villaggi; l’opera per la giustizia Zamboanga’s islamic-christian urban poor Association; l’opera per la pace del PAZ (Peace associates of Zamboanga); quella di riconciliazione portata avanti dalla Muslim-Christian Interfaith Conference e dal Moro-Christian People’s Alliance; e gli sforzi del gruppo Silsilah per la comprensione reciproca e l’educazione al dialogo.

Negli USA, l’American Society of Muslims e il cattolico Movimento dei Focolari cooperano nell’organizzare seminari su “l’arte di amare”, cercando insieme di instillare valori spirituali in una società moderna secolarizzata. A Washington, il Center for Muslim-Christian Understanding della Jesuits’ Georgetown University ha composto una facoltà di studenti musulmani e cristiani che offre una preparazione accademica esemplare sulle tematiche che a lungo hanno diviso i mondi cristiano e musulmano.

In Medio oriente, due delle università cristiane del Libano preparano studenti cristiani e musulmani in una reciproca comprensione della fede dell’altro. L’università di Balamand, della chiesa ortodossa, col suo Center for Christian-Muslim Studies, e la Jesuits’University of St. Joseph, con l’Institute of islamic-christian studies, offrono preparazione accademica per chi cerca di promuovere il dialogo e la comprensione tra musulmani e cristiani. Nella regione del Golfo, è stata costituita nel 2002 la Barhrain’s tenth islamic-christian dialogue Conference, che raccoglie studenti musulmani e cristiani di molte nazioni di lingua araba per esplorare vie che promuovano la cooperazione tra cristiani e musulmani.

In Asia, l’Asian muslim action network, un movimento progressista musulmano presente in più di dodici paesi asiatici, organizza seminari e laboratori sulla pace in collaborazione con il Catholic Federation of Asian Bishops’ Conferences e la Christian Conference of Asia. Lavorano insieme per costruire un “curriculum di pace” comune da offrire a imam, insegnanti di religione, seminaristi e catechisti.

Gli esempi menzionati mostrano che nel mondo ci sono molti cristiani e musulmani che rifiutano di credere che il triste record di conflitti tra le due comunità corrisponda ai desideri di Dio. Essi stanno fissando in concreti programmi le loro convinzioni e raccogliendo larghi consensi. Si potrebbe dire che il dialogo islamico-cristiano è sia un bisogno dei nostri giorni che un’idea di cui è giunto il tempo.

 

Questa visione condivisa non è utopica. Cristiani e musulmani in dialogo devono riconoscere che i problemi del nostro mondo sono di tale complessità che le due comunità sono spesso messe l’una contro l’altra e, inoltre, che molti dei problemi sorgono non da fattori esterni ma piuttosto da coloro che si identificano come musulmani o cristiani. Ciò che è divenuto chiaro nel dialogo islamico-cristiano non è qualcosa che può attendere relazioni più semplici tra le due comunità nelle varie parti del mondo, ma un bisogno che deve essere perseguito in mezzo e nonostante le tensioni e i conflitti del nostro tempo.

 

E. B.

 

 

1 MICHEL T., «Developments in Interreligious Dialogue with Muslims», relazione all’ Assemblea plenaria USG: Il dialogo interreligioso, compito prioritario della vita consacrata. Roma, 26-29/11/2003.