TEMPO DI RIFONDAZIONE
CON QUALI SUPERIORI
E SUPERIORE?
Rimane di attualità il tema
della rifondazione di istituti religiosi che in questo tempo di cambiamenti e
dell’emergere di nuovi problemi sociali
ne avvertano la necessità. Una ipotesi di rinnovate
figure di governo.
Con il sesto
quaderno dell’annata 94, la rivista dei claretiani di
Madrid Vida religiosa chiude una serie di numeri monografici dedicati al
significato del «vivere oggi in castità, povertà e obbedienza»; e il numero sei
(novembre-dicembre 2003) è dedicato al tema dell’obbedienza: l’obbedienza
intesa, come i temi trattati in precedenza, quale vita rivolta all’ascolto
della Parola nella ricerca del regno di Dio; titolo del numero è pertanto Obediencia: buscar el Reino.
All’interno della
riflessione articolata in studi, prospettive e materiali per l’applicazione dei
contenuti, leggiamo nella sezione delle prospettive un articolo di Ana Maria
Alonso intitolato El superior/la superiora en tiempos
de refundación.
Dopo aver premesso che il
termine rifondazione si può accogliere anche con entusiasmo per quanto sembra
sottintendere di audacia e di novità ma suscita
pure qualche riserva, l’autrice
sottolinea il fatto che ogni fondazione ha dovuto in tutte le fasi della
propria storia mantenersi fedele al presente e al passato; e così anche la
rifondazione che oggi appare come un’esigenza della vita consacrata «partecipa
di tale duplice obiettivo: da una parte, rifondarsi nelle fonti generatrici del
carisma, rinvigorirsi e, dall’altra, inventare la novità reclamata dall’attuale
momento storico e che i fondatori e le fondatrici seppero inventare nel proprio
presente»: armonizzando in tal modo creatività e tradizione.
Ma si domanda: in vista di tale compito non facile, «di
quali superiori/e abbiamo oggi necessità?».
QUALE GOVERNO
PER IL PRESENTE?
Non si può prescindere –
osserva A.Maria Alonso –
dal considerare anzitutto alcuni dati oggi emergenti dalla situazione generale:
una certa «svalutazione dell’obbedienza, sia per cause teologiche che per cause
ambientali; la scarsa probabilità che le persone accettino incarichi di governo
poiché il loro compito di mediazione non è accettato con gioia» e il suo
adempimento si riduce alla soluzione di problemi di ordine
pratico.
Inoltre influisce su tali
difficoltà un clima diffuso di
nebulosità, di insicurezza e quindi di ricerca
continua e di stanchezza, mentre all’interno delle comunità si registra una
pluralità di situazioni che rendono ognuna di esse un mondo a parte. E tutto
ciò condiziona l’esercizio dell’autorità, dati il numero delle persone e la
loro età media, il tipo di apostolato, il grado di
inserimento e di apertura nell’ambiente circostante, talvolta la convivenza di
più generazioni e le differenze di mentalità.
Tuttavia, secondo
l’articolista permangono anche in tali condizioni alcuni tratti comuni, che si
potrebbero dire generici e che lasciano intravedere la possibilità non soltanto
di sognare ma pure di sperimentare una vita comunitaria gioiosa, segno di una
vita consacrata autentica, viva, immaginifica, capace di forza aggregante nonché di influire positivamente sulle coscienze e sulle
culture contemporanee.
Cogliere tali possibilità
dovrebbe essere compito di superiori e superiore la
cui rinnovata fisionomia è descritta nell’articolo secondo qualità che soltanto
in progetto, forse, possono trovarsi tutte insieme in una stessa persona.
Ad ogni modo, essi
dovrebbero essere anzitutto delle persone credenti, «centrate nel Dio della
vita e della storia, che orientano il proprio essere secondo gli atteggiamenti
vitali di Gesù di Nazaret e traggono dal Vangelo i
relativi criteri d’azione; che fanno della propria esistenza una vita per gli
altri con amore senza limiti; rivolti nello stesso tempo allo Spirito e al
prossimo». Dovrebbero inoltre aver
«elaborato in dialogo con Dio la piccola storia dei propri misteri gaudiosi,
dolorosi e gloriosi e da Dio essersi lasciati istruire, giungendo a scoprire a ogni passo la sua presenza amorosa e salvatrice» e quindi
persone non pessimiste o piagnucolose ma capaci di cantare, come Miriam sorella
di Mosè e come Maria madre
di Gesù, lodanti e ringrazianti la divina opera della salvezza.
I superiori e le superiore
dovrebbero essere, in tempi di rifondazione, persone «obbedienti, in permanente
ascolto della volontà di Dio mediante i segni emergenti dalle circostanze,
dalle iniziative della Chiesa, dalle persone componenti
la comunità, dai mezzi di comunicazione, dal pianto dei sofferenti»; così che
possano «creare comunità di ascolto dove sia possibile il discernimento quale
attitudine esistenziale e risposta amorosa al Dio vivente che rivela la propria
volontà».
AUTORITÀ
GUARITRICI
Soltanto coloro che abbiano attraversato le “valli oscure” (Sal
22) dei propri limiti, errori e ferite e ne siano per grazia usciti non
soltanto guariti nell’intimo ma pure conservando la propria sensibilità – dice
in altre parole A.Maria Alonso
– divengono capaci di comprendere la portata delle ferite altrui; e, avendo forse
smesso di ritenersi il centro di tutto, riescono a creare reti di relazione e a
farsi servitori diligenti: ecco un altro possibile tratto di persone chiamate
al servizio di governare in tempo di rifondazione. Persone guarite che
diventano guaritrici e infondono salute nelle comunità, dove lasciano percepire
un’autorevolezza che rende facile accettare, in un orizzonte armonico di
libertà e norma, la necessaria disciplina e il peso individuale del progetto di
gruppo: superiori e superiore, dunque, che contano
effettivamente sulla responsabilità dei consacrati/e cui sono preposti e
pertanto ne rispettano impegni ed esigenze, attese di gioia, successi,
delusioni e speranze: il tutto, inteso a creare unità, a favorire la crescita
spirituale di singoli/e come della comunità nel suo insieme, dove gli
inevitabili conflitti possano essere risolti con esiti di pace e di serenità
tali che il gruppo venga colto anche dall’esterno quale modello/esempio «di
quella società riconciliata e fraterna che essa annuncia testimoniando
silenziosamente che il Regno è possibile».
Una comunità che si formi
con un governo orientato in tal modo non soltanto – prosegue A.Maria – mette in pratica l’ascolto del comando di Gesù «Che siano uno», ma pure vive come luogo di maturazione e di crescita
delle persone liberate da dogmatismi, da norme moraleggianti e da imposizioni;
luogo dove sia di casa un dialogo reale, che si sviluppi nell’intento di fare
spazio a tutte le possibilità e ai carismi individuali; «un dialogo ampio sia
con persone resistenti al cambiamento sia con altre che al cambiamento danno
impulso, e sempre con lo sguardo alle due direzioni temporali: al passato e al
futuro, alla tradizione e all’utopia».
L’ACCENTO
SULLA COMUNITÀ
Il contributo che abbiamo letto
si conclude con un ritorno, in primo luogo,
all’osservazione già fatta con la domanda se possa trovarsi oggi un superiore o
una superiora da dieci e lode, secondo la descrizione che qui abbiamo cercato
di sintetizzare.
La risposta è che se non
esiste tuttavia può esistere, e certamente può esistere come progetto, come
tensione animata dalla fede in vista di quella comunità-comunione-unità che il Signore ha desiderato
e anzi comandato ai suoi di formare sulla terra.
L’accento rimbalza pertanto
sulla comunità, e l’articolo di Vida religiosa giunge a ricordare che «sempre
sarà vero ciò che la psicologia afferma e la prassi conferma, ossia che ogni
gruppo ha il capo che si merita e che ogni persona diventa ciò che coloro che la circondano la fanno essere, poiché la forza di
un uomo o di una donna non si radica tanto nei suoi valori e potenzialità
quanto nella stima, nel calore e nella fiducia» dei suoi compagni/e di strada
nella sequela di Cristo.
Quale comunità, dunque, in
questo tempo detto di rifondazione?
Un superiore e una
superiora con le qualità di cui sopra – conclude A.Maria Alonso – necessitano di
comunità del medesimo calibro umano/spirituale: «comunità che vivano di fede,
fortemente consapevoli di essere state convocate dal Signore per rimanere con
lui e di essere nello stesso tempo inviate ad annunciare la buona novella del
regno di Dio»; comunità «che ardano dal desiderio di creare fraternità di
umani/e, e che essendo differenti come lo sono “il lupo e l’agnello, abitano
insieme” (Is 11,6), senza che esista tra loro né
l’arroganza del potente né la paura del debole»; una comunità che col proprio
stile di vita alternativo mostri al mondo che è possibile costruire la famiglia
umana. Una comunità, infine, che «non ha bisogno di sole né di luna perché la
sua lampada è l’Agnello» (Ap 22,23), poiché quanti la
compongono non inseguono modelli famosi né protagonisti delle mode correnti, ma
si lasciano attraversare dalla luce di colui che si è
caricato dei peccati del mondo, e perciò anch’essi imparano a caricarsi del
dolore dei disprezzati e della solitudine degli abbandonati; che come Gesù
passano facendo del bene in qualsiasi situazione e asciugando le lacrime di
ogni volto.
Zelia Pani