RUOLO DELLA VITA CONSACRATA
PER LA CHIESA E PER IL
MONDO
Ai vescovi francesi il papa ricorda «il ruolo
primordiale» della vita consacrata per il rinnovamento della vita spirituale e
pastorale della chiesa locale e per una nuova apertura missionaria.
La visita ad limina
Apostolorum dei vescovi della conferenza episcopale francese a metà del mese di
dicembre si è conclusa, come di consueto, con un discorso conclusivo che
Giovanni Paolo II ha rivolto a tutti i presuli convenuti (18.12.2003).
A partire dai tanti
interrogativi e dalle preoccupazioni pastorali presentate dai vescovi, il
discorso del pontefice è esordito con l’esortazione a vivere una nuova
Pentecoste, un rinnovamento della vita spirituale di pastori, fedeli e
comunità, dal quale potrà scaturire un nuovo slancio pastorale e missionario.
In questa prospettiva di
rinnovamento, il papa ha proposto ai vescovi francesi – in modo forse
inaspettato – il tema della vita consacrata, sottolineando «il ruolo
primordiale» che le persone impegnate nella vita consacrata hanno da svolgere
nella Chiesa e nel mondo.
UN DONO DI DIO
PER LA CHIESA
È interessante notare come,
in una condizione ecclesiale critica quale può definirsi quella della chiesa
d’oltralpe, nella quale il calo numerico delle vocazioni va di pari passo con
una sorta di crescente disaffezione a livello di vita parrocchiale, Giovanni
Paolo II veda la necessità di richiamare i pastori a una riscoperta di essa, ed
esorti la vita consacrata stessa a non scoraggiarsi di fronte alle tante
difficoltà e a un nuovo coinvolgimento della vita ecclesiale e sociale del
paese. «La vita consacrata in ogni sua forma, antica e nuova, è un dono di Dio
per la Chiesa», ricorda ai vescovi il pontefice, ribadendo «con forza e
convinzione la necessità della vita consacrata per la Chiesa e per il mondo».
Benché nella morsa di una
crisi numerica che tocca molti istituti, alla vita consacrata il papa rimanda
per attingere energie spirituali e slancio missionario rinnovato affinché la
qualità della vita cristiana nelle parrocchie possa riprendere quota, perché la
comunità dei credenti tessa nuovi rapporti ai vari livelli della società
francese e possa esprimere una credibilità più genuina, costruita nel dialogo
con l’uomo raggiunto nella sua realtà esistenziale quotidiana. Per questo il
papa ricorda che «una diocesi senza comunità di vita consacrata sarebbe privata
“di tanti doni spirituali, appropriati luoghi di ricerca di Dio, specifiche
attività apostoliche e metodologie pastorali, rischierebbe di trovarsi
grandemente indebolita in quello spirito missionario che è proprio della
maggioranza degli istituti” (VC 48)».
L’esortazione del papa si
fa ancora più precisa quando incoraggia i vescovi «a non lesinare sforzi per
“promuovere la specifica vocazione e missione della vita consacrata, che
appartiene stabilmente e fermamente alla vita e alla santità della Chiesa”
(Pastores gregis 50)». La testimonianza dei consacrati, secondo il papa, è
fondamentale, poiché con la loro sequela di Cristo povero, casto e obbediente
«i membri degli istituti di vita consacrata rimangono per il mondo e per la
Chiesa dei segni profetici; attraverso la loro vita manifestano l’amore di Dio
per tutti gli uomini, mantenendo viva nella Chiesa l’esigenza di riconoscere il
volto di Cristo nel volto dei poveri. Invitano, inoltre, le comunità diocesane
a prendere sempre più coscienza del carattere universale della missione della
Chiesa e ricordano loro l’urgenza di cercare innanzitutto il regno di Dio e la
sua giustizia, nonché una fratellanza sempre più grande tra gli uomini».
CARISMA, OPERE
E LAICI
Il discorso del papa pone
in evidenza non solo i pregi ma anche i problemi attuali più scottanti della
vita consacrata in Francia: diminuzione progressiva e costante del numero dei
membri degli istituti presenti nel territorio, pochi ingressi nei noviziati,
comunità che invecchiano. Tutte circostanze che hanno «conseguenze inevitabili
sulla vita e l’azione pastorale degli istituti, sulla loro testimonianza, sul
loro governo e anche sulle scelte legate alle loro missioni e alla destinazione
delle loro risorse».
Il suggerimento di fondo
del pontefice è di «incentrarsi nuovamente sui carismi di fondazione e
ricordare che la vita religiosa è per la missione della Chiesa e si fonda su
Cristo». Il dono dello Spirito non è mai obsoleto, e lo sforzo dei consacrati
deve essere quello di mantenerlo sempre attuale nella storia per il bene di
tutti. «Ora più che mai – continua il pontefice – per rispondere ai
cambiamenti, qualunque essi siano, i responsabili degli istituti di vita
consacrata devono essere attenti alla formazione permanente dei loro membri, in
particolare a livello teologico e spirituale».
Numerose congregazioni
anziane hanno saputo approfondire il loro carisma e rinnovare le loro opere,
ricercando «insieme alle diocesi, le urgenze spirituali e missionarie del
momento». Soprattutto – e questo è un segno dei nostri tempi – «alcune
congregazioni si preoccupano di proporre il loro carisma ai laici di tutte le
età e condizioni, e di associarli alla loro missione, offrendo loro in tal modo
la possibilità di costruire la loro vita cristiana su una spiritualità
specifica e solida, e di impegnarsi ulteriormente al servizio dei loro
fratelli».
In questa particolare
prospettiva il pontefice saluta «il lavoro incomparabile delle persone
consacrate in Francia e nei paesi più poveri del pianeta», soprattutto
l’Africa, nell’ambito della solidarietà con gli esclusi, con le persone malate
di Aids, con immigrati e profughi, e nell’ambito del servizio sociale, nel
campo della sanità e dell’educazione. «Questa dimensione della carità verso i
più poveri e i più piccoli è un pegno della credibilità di tutta la Chiesa», e
le persone consacrate sono «i protagonisti indispensabili della fantasia della
carità alla quale ho chiamato tutte le comunità cristiane alla fine del grande
giubileo». Esse obbediscono all’impulso dello Spirito che «le spinge a mettersi
a fianco degli emarginati delle nostre società e a operare per rimettere in
piedi l’uomo spezzato, contribuendo così all’edificazione della carità in ogni
chiesa particolare».
Non manca nel discorso del
papa la sottolineatura vocazionale: «le giovani generazioni hanno sete di
assoluto, hanno bisogno di testimoni audaci che li chiamino a vivere il Vangelo
e a mettersi con generosità al servizio dei loro fratelli».
DIALOGO
ISTITUZIONALE
Passando ai suggerimenti
concreti «per una migliore armonizzazione della pastorale», Giovanni Paolo II
invita i vescovi a riconoscere l’importanza di impegnarsi in un «dialogo
istituzionale con gli istituti di vita consacrata, a livello sia nazionale, tra
la Conferenza dei vescovi di Francia e le due Conferenze dei superiori
maggiori, sia diocesano, tra il vescovo o il suo delegato e i responsabili
locali delle congregazioni (che) consenta un’autentica concertazione e scambi
fecondi; in tal modo, ogni istituto di vita consacrata, pur conservando il
carattere specifico del suo carisma, del suo modo di vivere, delle priorità
proprie, sarà inserito sempre meglio in maniera organica nella Chiesa
diocesana».
Il valore di questo
suggerimento è enorme, soprattutto in uno scenario come quello attuale – in
Francia come in Italia e nel resto dell’Europa – dove è quanto mai forte la
necessità di dialogo con una cultura sempre in mutamento, dal fiato corto e
preoccupata dell’immediato. Il papa vede preziosa la presenza dei consacrati
«nella ricerca intellettuale», riconoscendo che «i religiosi in Francia sono
stati dei fari in questo campo, soprattutto nella prima metà del ventesimo
secolo, in ambito filosofico e teologico». Anche oggi «essi possono favorire un
rinnovamento della vita intellettuale e allacciare rapporti fecondi con i
pensatori attuali, che affrontano le questioni fondamentali del nostro tempo o
che lavorano nella ricerca». Egli menziona a questo proposito gli istituti «che
operano nell’ambito dell’informazione, della radio e della televisione»,
riconoscendo che la loro partecipazione al dibattito pubblico offre un
contributo specificamente cristiano alle decisioni che modellano il futuro
della società.
VECCHIE E NUOVE
COMUNITÀ
Il pontefice riconosce che,
pur tra tante difficoltà, la vita consacrata presenta in terra francese «molti
volti, facendo coesistere comunità antiche e nuove». Di queste ultime viene
apprezzato il «nuovo slancio alla vita consacrata e alla missione pastorale
nelle diocesi» da esse espresso. Le nuove comunità «possiedono un’audacia che
talvolta manca agli istituti che esistono da più tempo. Contribuiscono a
rinnovare la vita comunitaria, la vita liturgica e l’impegno
dell’evangelizzazione in numerosi ambiti».
In questo senso «le nuove
comunità religiose rappresentano un’opportunità per la Chiesa» e, con l’aiuto
vigile dei vescovi «hanno ancora bisogno di maturare, di radicarsi e talvolta
di organizzarsi secondo le regole canoniche vigenti e preoccupandosi della
prudenza», ricordando che «lo spirito del dialogo, di collaborazione fraterna
al servizio di Cristo e della missione deve sempre prevalere».
Tra comunità religiose di
antica tradizione e nuove comunità si può creare una tensione positiva di
crescita verso l’unico obiettivo di essere segno della sollecitudine e
dell’amore di Dio per l’uomo d’oggi, senza spirito di competizione o di
antagonismo. Le congregazioni più antiche sono stimolate dalla vivacità e
freschezza delle nuove a esprimere con rinnovato fervore il loro carisma, che
non ha perso la sua attualità; le comunità nuove devono pensare che «non sono
alternative alle precedenti istituzioni».
Perciò il papa invita tutti
«a dare prova di carità fraterna e a compiere i passi necessari, affinché tutte
le forze concorrano, insieme, all’unità del corpo di Cristo e alla condivisione
della missione». E ribadisce l’invito ai responsabili delle nuove comunità
perché continuino a «essere vigili nel discernimento delle vocazioni, a livello
umano e spirituale». Così come non dimentica di sottolineare il dovere dei
vescovi di accogliere, assistere e sostenere l’insieme degli istituti presenti
nelle loro diocesi, e il dovere degli istituti di collaborare con fiducia,
ognuno secondo il proprio carisma, alla missione della Chiesa diocesana.
Ricordando il ruolo
importante delle comunità di vita contemplativa quali «luoghi di irradiamento e
di accoglienza» che contribuiscono alla fecondità apostolica, Giovanni Paolo II
esorta le comunità monastiche «a essere particolarmente attente alla richiesta
di formazione spirituale degli uomini e delle donne del nostro tempo,
soprattutto dei giovani».
Proprio ai giovani e alla
questione vocazionale il papa dedica l’ultima parte del suo discorso. «Conosco
la generosità di molti giovani nelle vostre diocesi, certo che il Signore
continua ad agire nel loro cuore affinché possano rispondere alle sue chiamate
specifiche». Il suo è un pressante invito ai giovani perché non abbiano paura
di donarsi a Cristo povero, casto e obbediente nella scelta della vita
consacrata, che egli considera «cammino di gioia e di libertà autentica».
L’invito diventa esplicito
quando, rivolto alle diocesi, esorta ad «avere sempre uno sguardo vigile e
un’attenzione rinnovata per i giovani che desiderano impegnarsi nella vita
religiosa», poiché «è fondamentale offrire loro una solida formazione umana, intellettuale,
morale, spirituale, comunitaria e pastorale, che li prepari a consacrarsi
totalmente a Dio nella sequela Christi». In questa linea le esemplificazioni
del pontefice sono particolarmente due: l’apprezzamento degli internoviziati,
visti come occasioni capaci di offrire un dinamismo evidente al cammino dei
giovani, e di consentire loro di conoscersi e confortarsi nella loro scelta.
Nella scelta di «molte
congregazioni di accogliere giovani stranieri, provenienti dall’Africa,
dall’Asia o dall’Africa» il papa riconosce «un segno evidente del carattere
universale della Chiesa», ma nel contempo richiama alle «difficoltà che questo
può comportare, in particolare la possibile attrazione della vita occidentale a
scapito della missione nella loro chiesa locale. Non potrò mai invitare
abbastanza le congregazioni a istituire delle case di formazione nei paesi in
cui le vocazioni sono più numerose, in modo da non isolare in maniera troppo
brutale i giovani dal loro ambiente culturale, nella prospettiva di prepararli
alla loro missione specifica nel loro paese, dove i bisogni sono numerosi».
Al termine del suo discorso
Giovanni Paolo II ricorda quanto «la Chiesa ha più che mai bisogno di testimoni
autentici che manifestino che la radicalità evangelica è fonte di gioia e di
libertà». Nella Chiesa e nelle persona consacrate rimangono «i segni profetici
dell’amore del Signore che vuole trasformare il cuore dell’uomo per renderlo
sempre più conforme alla sua vocazione».
E. B.