GIORNATA MONDIALE DEL
MALATO
MARIA, SALUTE DEGLI INFERMI
Nel far fronte al dolore fisico, morale e spirituale, la
comunità cristiana ha sempre fatto appello all’intercessione della Madonna,
venerata sotto tanti titoli tra cui quello di salute degli infermi. Anche noi,
sull’esempio di Maria, siamo chiamati a diventare “salute degli infermi”.
Non a caso, nell’istituire
la giornata mondiale del malato, Giovanni Paolo II ha scelto la data dell’11
febbraio, giorno in cui si fa memoria della «Beata Vergine di Lourdes». Ogni
anno, poi, tale ricorrenza viene celebrata in un santuario della Madonna.
Quest’anno sarà di nuovo la volta di Lourdes, cittadella del dolore e
dell’amore. Ed è proprio con lo sguardo rivolto a Lourdes che il papa ha
scritto il messaggio per la giornata del malato, tenendo presente anche che
quest’anno ricorre il 150°anniversario della proclamazione del dogma
dell’Immacolata Concezione (cf. fuoritesto).
Il contesto in cui questa
giornata è stata collocata rende, quindi, più che appropriata una riflessione
sulla Vergine Maria e sul ruolo che essa occupa nella spiritualità dei credenti
confrontati con la sofferenza, in particolare di quanti fanno dell’assistenza
ai malati una ragione della loro vita. Tra questi ultimi, le persone consacrate
occupano un ruolo importante. Come afferma l’esortazione apostolica Vita
consecrata, «seguendo una gloriosa tradizione, un gran numero di persone
consacrate, soprattutto donne, esercitano il loro apostolato negli ambienti
sanitari, secondo il carisma del proprio istituto. Molte, lungo i secoli, sono
state le persone consacrate che hanno sacrificato la loro vita nel servizio
alle vittime di malattie contagiose, mostrando che la dedizione fino
all’eroismo appartiene all’indole della vita consacrata» (83).
UNA DOMANDA
LEGITTIMA
È legittimo chiamare la
Madonna salute degli infermi? La risposta è certamente positiva a patto però
che questo titolo venga messo in relazione con quello attribuito dal Vangelo e
dalla tradizione a Gesù: medico delle anime e dei corpi. Infatti, come la luna
raccoglie e distribuisce la luce che riceve dal sole, così la Vergine
Immacolata brilla di luce riflessa, cioè della luce che riceve da suo Figlio.
Questo è anche il senso di numerose letture bibliche utilizzate nella liturgia
delle feste della Madonna.
Attribuendo alla Madonna il
titolo di salute degli infermi, affermiamo che essa ha riprodotto nella propria
persona, nella misura più alta consentita a una creatura umana, gli
atteggiamenti del figlio Gesù in quella dimensione che è costituita dall’amore
misericordioso verso chi soffre e dalla promozione della salute.
Partecipe della situazione
dei poveri, esperta nella sofferenza fino alla croce, Maria è icona
dell’attenzione vigile a chi soffre. Subito dopo essersi dichiarata serva del
Signore, è corsa con fretta premurosa a farsi ancella di Elisabetta. Con
sguardo attento coglie la situazione imbarazzante degli sposi di Cana di
Galilea. Nel suo atteggiamento trova espressione l’amore di Dio, la cui
misericordia non conosce limiti (cf. Lc 1,50).
Ai piedi della croce partecipa alla sofferenza e alla morte del Figlio,
accogliendo la missione di Madre della Chiesa.
Ne deriva che, imitando la
Vergine Maria salute degli infermi noi imitiamo il Cristo, medico delle anime e
dei corpi. Se san Paolo poteva dire: “Siate miei imitatori come io di Cristo”
(1Cor 11,1), ben più a ragione tale parole potrebbero essere pronunciate dalla
Madonna.
Arrivare all’imitazione del
Cristo misericordioso attraverso l’imitazione di Maria salute degli infermi ci
consente di cogliere e di mettere in rilievo alcune caratteristiche necessarie
a chi si prende cura degli altri. Mi riferisco a quei tratti tipici della
sensibilità femminile, frutto del porsi di fronte alle persone e alle
situazioni che è tipico della donna, fatto di accoglienza, intuizione,
attenzione, sensibilità, senso materno, partecipazione al soffrire altrui.
Forse è questo che ha
portato molti religiosi a rivestire di tenerezza materna la loro assistenza dei
malati. In una delle sue regole, san Camillo de Lellis – patrono degli ammalati
e di quanti se ne prendono cura – invita a chiedere a Dio la grazia di «servire
tutti gli infermi con quell’affetto che una madre amorevole suole avere verso
il suo unico figlio infermo».
COME ESSERE
SALUTE DEGLI INFERMI?
Anche noi, in quanto
credenti e persone consacrate, siamo chiamati a essere salute degli infermi,
come lo è stata e lo è la Vergine Maria, esercitando cioè un ruolo di
mediazione. Evidentemente, il fatto che non siamo, come lei, pieni di grazia,
pone dei limiti alla nostra conformazione al Cristo misericordioso e, quindi,
all’imitazione dei suoi atteggiamenti di divino samaritano. Tuttavia un cammino
di crescita ci è reso possibile dalla grazia del Signore.
In primo luogo, siamo
chiamati a essere salute per quella parte di noi stessi che è inferma, nel
corpo e nello spirito, informando di valori evangelici le aree del nostro
essere che sono ancora pagane e lasciando che lo Spirito rimargini le nostre
ferite, irrighi gli angoli aridi del nostro cuore, illumini gli aspetti oscuri
della nostra mente. Vivendo in un contesto dove la dimensione notturna della
vita è spesso rimossa e rifuggita, siamo chiamati a dare esempio di
comportamento evangelico nei confronti del soffrire e del morire.
L’esempio di Gesù c’invita
a combattere in tutti i modi la sofferenza (fisica, psichica e spirituale,
quella legata alla nostra condizione umana e quella legata all’esercizio del
nostro ministero), ma anche a vedere in essa un cammino che ci assimila al
Cristo crocifisso e uno strumento di amore e di redenzione, che si unisce
all’azione salutare del Signore.
Il noto psichiatra Carl
Gustav Jung giunge a dire che il credente dovrebbe arrivare fino a vedere il
Cristo nella parte di sé inferma: «Vi ammiro, voi cristiani, perché
identificate Cristo con il povero e il povero con Cristo, e quando date del
pane a un povero sapete di darlo a Gesù. Ciò che mi è più difficile comprendere
è la difficoltà che avete a riconoscere Gesù nel povero che è in voi. Quando
avete fame di guarigione e di affetto, perché non lo volete riconoscere? Quando
vi scoprite nudi, quando vi scoprite stranieri a voi stessi, quando vi
ritrovate in prigione e malati, perché non sapete vedere questa fragilità come
la presenza di Gesù in voi?». Aprendoci alla misericordia divina e lasciando
che essa ci raggiunga nel profondo, noi possiamo diventare dei guaritori
feriti, capaci di fare della propria sofferenza uno strumento per aiutare gli
altri.
È, poi, importante che
siamo salute per le nostre famiglie e comunità, creando fraternità,
collaborazione, riconciliazione, pace e speranza. Come ignorare la valenza
sanante di una vita fraterna vissuta nell’autenticità?
Ci incombe, infine,
l’obbligo di essere salute per le persone malate che assistiamo, acquisendo
quei modi di essere che favoriscono la vicinanza, la comprensione, il rispetto,
la compassione.
Come? Dall’esempio di Maria
ci vengono alcune indicazioni.
La prima ci richiama
l’importanza dell’attenzione a quanto accade in noi e nel mondo in cui viviamo
per cogliere i bisogni della gente che soffre e rispondervi con amore
competente. A Cana di Galilea, Maria osserva, coglie le necessità dei
convitati, prende l’iniziativa. Uguale attenzione e sensibilità la spinge a
muoversi da Nazaret nella casa di Elisabetta.
La seconda ci porta a
sottolineare il valore della presenza presso i sofferenti. La Madonna stava ai
piedi della croce, in un silenzio che era partecipazione intensa al dolore del
figlio Gesù.
La terza indicazione mette
in luce l’efficacia della preghiera d’intercessione. Ancora a Cana, la Vergine
è icona del servizio che si fa preghiera al Signore.
La quarta, infine, ci
ricorda che la finalità ultima del nostro apostolato è di portare il Cristo al
malato, come la Madonna ha portato Gesù a Elisabetta, facendo trasalire di
gioia Giovanni che portava in seno.
Chi pone davanti a sé il
modello della Madonna salute degli infermi, può identificare nella carità
misericordiosa verso gli ammalati anche un effetto estetico, in quanto essa
coopera a rendere belle sia le persone che l’esercitano che quelle che la
ricevono.
Nella Vergine Maria la
bellezza era lo splendore della verità e della bontà che l’abitavano, cioè di
quell’unificazione interiore prodotta dalla grazia ancor dall’inizio della sua
esistenza; per noi essa è il risultato del passaggio dal caos al cosmos, cioè
da una situazione di disordine a una di armonia.
Nel nostro cammino di
crescita umana e spirituale, come nell’opera d’arte, avviene la trasfigurazione
della materia: ciò che è opaco diventa luminoso, ciò che è pesante si
alleggerisce, ciò che è diviso si unifica. In questo passaggio dall’informe al
disegno ordinato – e il cui effetto è la bellezza – si può vedere un simbolo di
redenzione, un presagio di salvezza, una risposta, seppur parziale, a
quell’attesa di “liberazione dalla corruzione” insita nella creazione, di cui
s. Paolo parla nella lettera ai Romani (cf. Rm 8,19-22).
Imitando Maria salute degli
infermi e, sul suo esempio, il Cristo medico delle anime e dei corpi, noi
possiamo beneficiare di quell’effetto risanatore ed estetico di cui parla un
significativo testo di Isaia (58, 6-8): «Sciogli le catene inique, togli i legami
dal giogo, rimanda liberi gli oppressi e spezza il giogo. Non consiste forse il
digiuno nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri,
senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da
quelli della tua carne? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita
si rimarginerà presto».
In quanti l’esercitano, la
carità misericordiosa opera bellezza, rimarginando le ferite causate
dall’egoismo, dall’indifferenza e dalla violenza, mettendo e accendendo una
luce che aiuta a comprendere il senso della vita, a discernere i valori che
fanno crescere e a scorgere la presenza di Dio nei poveri e nei malati. Agli
occhi di tanti santi e anime generose, infatti, i malati, disfatti dalla
malattia, assumevano una bellezza particolare perché icone di Cristo
“bellissimo di bellezza più di ogni mortale”. Sotto l’influsso della carità,
pure il corpo di chi serve subisce l’influsso della bellezza interiore –
splendore della bontà – trasformandosi in “uno strumento docile di tenerezza”.
Anche coloro che sono
raggiunti dalla carità misericordiosa possono percorrere il cammino che li
porta a superare la divisione causata dalla malattia, fino a trovare nella sofferenza
un’occasione di crescita e di amore verso gli altri. È questo il messaggio di
Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica Christifideles laici (53), dove i
malati sono invitati a sentirsi operai della vigna del Signore, coinvolti
responsabilmente nel processo dell’evangelizzazione. Sotto l’influsso della
grazia, e per l’intercessione della Vergine salute degli infermi, la loro può
diventare un’esistenza trasfigurata.
Angelo Brusco