Gentile direttore,
In un numero recente di Testimoni, in un articolo sulla
vita religiosa oggi, veniva riportata una statistica sulla consistenza numerica
con le percentuali sulle fasce di età, facendo quindi una lettura sulla vita
religiosa di oggi con le relative prospettive. Nella mia provincia dei
cappuccini di Abruzzo queste cose si scrivono da almeno 20 anni, e non una sola
volta ogni 15/20 anni.
Le chiedo scusa, ma devo dire che dissento totalmente, in
tutto, sorridendoci sopra. Le vie di Dio si scoprono diversamente. Anche le vie
della famiglia umana, della politica si scoprono guardando più lontano e con
più limpidezza e con un po’ di speranza. Questo piangersi addosso, come si dice
oggi, è vuoto, senza significato, privo di speranza, scoraggiato. Incoraggiarsi
e incoraggiare, anche per chi ha solo fede nella vita, con tutta
l’intelligenza, con tutta la speranza e con tutto l’amore, danno una vita nuova
a tutti. Almeno i cristiani devono leggere la vita e la storia con occhi
limpidi e speranzosi: lo fanno anche tanti non cristiani.
I cristiani, i preti, le suore, i frati sono vecchi non
quando hanno 80 anni, ma quando sono quasi senza speranza. Alcuni vecchi hanno
20 anni, alcuni giovani hanno 20 anni. Il nostro papa, papa Giovanni, dom
Camara, mons. Romero, don Mazzolari, Madre Teresa di Calcutta, don Tonino
Bello, Chiara Lubich, Rita Levi Montalcini, e tantissimi altri, sono segni di
un mondo sempre giovane. Invece quanti sono i ventenni vecchi e senza vita?
Ma quando mai i santi, cioè le persone con mente limpida
e cuore dilatato hanno ragionato così? È da rileggere la storia di Gedeone, e
tante tante altre non meno belle.
E, infine, concludendo, non è vero che in una comunità
religiosa dove la maggioranza sono anziani, la differenza di cultura, di
mentalità sia tale da rendere difficile uno stare insieme fraterno, gioioso e
bello. Una comunità religiosa è viva e bella se almeno qualcuno ha vivacità e
intelligenza evangelica, il cuore e la mente dilatata, le finestre sempre
spalancate per vedere lontano, le porte aperte come è Spello, se possibile. Non
perdete il tempo con i numeri: il Signore è al di là e scombina i nostri
calcoli. Che il Signore ci doni gioia, forza, vita, speranza.
Fr. Francesco G.
Caro Padre,
Non si tratta né di
piangersi addosso né di stare a giocare con i numeri, ma di essere realisti.
Del resto il primo a preoccuparsi dei numeri è stato proprio nostro Signore
quando, come leggiamo nel Vangelo, «vedendo le folle ne sentì compassione,
perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore. Allora disse ai suoi
discepoli: La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il
padrone della messe che mandi operai nella sua messe!». (Mt 9,36-38).
Dei numeri se ne preoccupa
anche il papa. Nel messaggio per la giornata di preghiera per le vocazioni, del
prossimo 2 maggio 2004, esorta di nuovo e vivamente tutti i fedeli a unirsi «in
una fervente preghiera per le vocazioni al sacerdozio, alla vita consacrata e
al servizio missionario»; e commenta: «È infatti primo nostro dovere pregare il
“Padrone della messe” per quanti già seguono più da vicino Cristo nella vita
sacerdotale e religiosa».
Il problema della scarsità
delle vocazioni, dell’invecchiamento riguarda oggi tutta la Chiesa occidentale
e la grande maggioranza degli istituti e delle congregazioni religiose. È vero
che più del numero conta la qualità. La diminuzione degli effettivi non è in
assoluto il problema più importante, ma è un problema importante. Non possiamo
non sentire con sofferenza il venir meno delle forze davanti a un mondo in gran
parte ancora da evangelizzare e a una società come la nostra più che mai
bisognosa di essere ri-evangelizzata. Il Signore ha affidato alla sua Chiesa il
compito di annunciare il vangelo a tutte le creature, e lo Spirito Santo ha
suscitato i nostri carismi per arricchire questa missione e farne strumento di
evangelizzazione. Il Signore vuole servirsi di noi. Come scrive Paolo, siamo
«collaboratori di Dio» (1 Cor 3,9). Non deve perciò lasciarci tranquilli se
tante diocesi sono oggi senza preti e religiosi/e, e se tanti istituti, che per
secoli hanno costituito il nerbo della missione evangelizzatrice della Chiesa,
in tutto il mondo, rischiano di scomparire, proprio nel momento in cui c’è
estremo bisogno di un rinnovato impegno di annuncio e la Chiesa intera è
invitata, come scrive il papa nella lettera apostolica Novo millennio ineunte,
a spingersi al largo e a gettare le reti per la pesca. In questo documento, a
proposito delle vocazioni, il papa scrive: «Certamente un impegno generoso va
posto – soprattutto con la preghiera insistente al padrone della messe (cfr Mt
9,38) – per la promozione delle vocazioni al sacerdozio e di quelle di speciale
consacrazione. È questo un problema di grande rilevanza per la vita della Chiesa
in ogni parte del mondo. In certi paesi di antica evangelizzazione, poi, esso
si è fatto addirittura drammatico a motivo del mutato contesto sociale e
dell’inaridimento religioso indotto dal consumismo e dal secolarismo. È
necessario e urgente impostare una vasta e capillare pastorale delle vocazioni,
che raggiunga le parrocchie, i centri educativi, le famiglie, suscitando una
più attenta riflessione sui valori essenziali della vita, che trovano la loro
sintesi risolutiva nella risposta che ciascuno è invitato a dare alla chiamata
di Dio, specialmente quando questa sollecita la donazione totale di sé e delle
proprie energie alla causa del Regno».
E sarebbe opportuno anche
leggere ciò che il papa ha detto ai vescovi della conferenza episcopale
francese, in visita ad limina, il 18 dicembre scorso, a riguardo della
difficile situazione in cui versa la vita consacrata in Francia. Non mi pare
che le sue parole siano un invito a piangersi addossso. Tutt’altro!
Non credo, per esempio,
tenendo presente quanto abbiamo scritto nel n. 18 di Testimoni, riguardo alla
vita consacrata nell’area di lingua tedesca, che ci debba lasciare indifferenti
il fatto che, in un paese come la Germania, (ma i dati non sono molto diversi
anche in altri paesi europei) su 37.000 religiosi/religiose solo 4.000 siano al
di sotto dei 55 anni. Certamente la vocazione è un dono inestimabile della
bontà divina, un «dono da implorare con insistenza e confidente umiltà». Ed è
anche vero, come lei scrive, che il Signore può scombinare i nostri calcoli. Ma
stiamo attenti a non forzare troppo il discorso, con il rischio di adagiarci in
uno spiritualismo consolatorio e disincarnato. Perfino nell’Antico Testamento
la mancanza di profeti era sentita come una grande sofferenza e un castigo:
«Non ci sono più profeti e tra di noi nessuno sa fino a quando...» (Sal 74,9).
Circa l’altra osservazione,
sono d’accordo che un ottantenne può essere più “giovanile” di un ventenne, ma
non dimentichiamo che la natura ha le sue leggi. Non credo che un istituto,
tenendo presenti i vertiginosi cambiamenti del mondo d’oggi e i nuovi problemi
che si pongono in tutti i campi, possa progettare il futuro facendo affidamento
sugli ottantenni, per una semplice legge fisiologica, a prescindere dalla loro
freschezza di spirito. Tra parentesi: perché mai nella legislazione della
Chiesa i cardinali che hanno raggiunto quella veneranda età, anche se ancora
efficienti, sono esclusi dal Conclave? Ci sarà pure una ragione!
È vero anche, come lei
sostiene, che in comunità si può – e aggiungerei, si deve – stare insieme in
maniera fraterna, gioiosa e bella, nonostante la diversità delle età e di
cultura. L’incontro tra le varie generazioni è fondamentale e costituisce una
grande ricchezza nella vita religiosa. Ma non dimentichiamo anche che noi non
siamo in comunità solo per goderci un clima fraterno e dove è bello stare
insieme, ma per la missione che ci è stata affidata nell’istituto e per la
Chiesa, e questa per essere promossa ha bisogno di risorse e di forze
soprattutto giovanili; di forze malleabili a cui sia consentita e garantita
quella libertà di inventiva e di progettazione difficilmente ipotizzabile in
una comunità formata quasi tutta da anziani. Circa un paio di anni fa, nel
contesto del convegno per missionari itineranti, p. Liberti sj allora
presidente della CISM, diceva: «In Italia il problema fondamentale è il forte
invecchiamento, la mancanza di giovani, di vocazioni e una fascia intermedia
adulta abbastanza ristretta. Per ogni rinnovamento autentico, riattualizzato
per l’oggi, occorre dunque elaborare una strategia. Non si può pensare che
tutte le comunità automaticamente si mettano su questa strada. In una provincia
ci saranno dunque comunità con velocità diversa…».
In alcune parti mi pare che gli istituti si stiano orientando in questa direzione. Comunque, per quanto riguarda l’attuale situazione – destinata ad aggravarsi – saremo tranquilli dopo che avremo fatto tutto quello che era in nostro potere. Solo allora potremo dire con Paolo: «Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere. Ora né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere» (1Cor 3,6-7). A. D.