INTERROGATIVI ALLE NOSTRE COMUNITÀ

OCCORRE UNA TERAPIA D’URTO

 

Le comunità vivono se conservano entusiasmo, energia, visione realistica del tempo, ideali da perseguire, accantonando le comodità raggiunte._Non ci si può nascondere che oggi in molte vi è invece una prolungata stagnazione.

 

Colpisce la distanza esistente tra le pressanti raccomandazioni dei documenti del magistero a rivedere la natura e gli obiettivi della vita consacrata e l’indifferenza con la quale molte comunità (non certo tutte!) le accolgono nella prassi quotidiana.

Nessuna meraviglia in sé: anche l’osservanza dei dieci comandamenti presenta da secoli (e presenterà per i secoli futuri) un abisso tra le indicazioni (fondamentali, tra l’altro, anche per la vita sociale) e la pratica dei cristiani. Diciamo che tale abisso rivela il bello dell’umana fragilità e del cammino storico dell’uomo.

Ma quello che nella vita religiosa colpisce non è questo naturale abisso, che sempre ci sarà nel viaggio umano, intellettuale, spirituale per raggiungere le vette che il Vangelo di Cristo propone. Piuttosto colpisce l’ignoranza dei documenti del magistero e – prima ancora e in radice – la volontà, spesso esplicitata con argomenti culturali, di non prenderli neppure in considerazione. Tale posizione non soltanto rivela disinteresse per itinerari e traguardi ai quali si è consacrata la vita (che prende senso, allora, soltanto nella sincera tensione ad essi), ma, più subdolamente, la comodità di non essere trascinati più di tanto in un’avventura che coinvolge e sconvolge l’intera esistenza.

Talvolta, per dovere momentaneo, si dà un’affrettata, blanda, superficiale lettura dei documenti, ma senza poi effettive ricadute, non si dice quotidiane sulla vita della comunità (che sarebbe ovviamente l’ideale), ma neppure nei progetti della comunità stessa, che pure ne dovrebbe tenere conto per essere in sintonia con il rinnovamento spirituale e pastorale auspicato dalla Chiesa.

Il mancato afflato nuovo fa restare la vita consacrata nella palude delle stanche e stancanti ripetizioni di parole, gesti, fatti. Di qui una retorica che non sfocia mai in fatti nuovi, in ardite ma ispirate sperimentazioni, una prolissità che porta a rimandi eterni generati dalla paura di lasciare il passato e di inoltrarsi coraggiosamente e sia pure con la cautela del discernimento in strade inesplorate.

 

NON SONO

DOGMA… PERÒ

 

Non si tratta, ovviamente, di assumere i documenti come Rivelazione o come oracoli infallibili, ma almeno come guida che intende aiutare a camminare secondo il Vangelo, mediato dalla Chiesa, che resta non l’infallibile (in questo caso) ma senza dubbio l’autorevole interprete della parola di Dio e della sua incarnazione nella cultura contemporanea.

Il disinteresse per il magistero della Chiesa diventa più dolorosamente sorprendente quando lo si sostituisce con altre (non di rado personali e spesso cervellotiche) interpretazioni della vita consacrata, con suggerimenti di strade e di comportamenti che conducono a prassi piuttosto discutibili per la genuinità della vita religiosa.

L’ascolto (non passivo e non acritico) della vie indicate dalla Chiesa è il presupposto – insieme all’ascolto della cultura del proprio tempo – del rinnovamento spirituale della vita consacrata, la base del suo interrogarsi sui rami secchi e su quelli vivi, il riferimento del suo essere profezia del regno di Dio.

Il religioso, in questo momento di ripensamento delle modalità di vivere la vita consacrata, ha bisogno di meno distrazioni in ambiti ritenuti (molto personalmente) prioritari, di migliore disponibilità a rivedersi nella vita abbracciata per amore di Cristo e dell’uomo, di maggiore apertura a inserirsi nelle strade dell’evangelizzazione tracciate dall’esperienza della Chiesa.

Questa disponibilità non opprime né mortifica nessuna personalità, che anzi viene non di rado esaltata, perché invitata a interrogarsi sulle proprie (spesso ignorate) potenzialità e ad esprimerle, uscendo dal cerchio ristretto e soffocante delle personali comodità e tradizioni.

A saperli leggere bene, i documenti sulla vita religiosa (soprattutto dopo il sinodo sulla vita consacrata) si presentano aperti alla cultura e al mondo di oggi, lasciano da parte certe visioni chiuse del passato e ripropongono, su riflessioni biblico – teologiche sempre valide, la vita consacrata inserita a pieno titolo nella cultura contemporanea, che diventa l’ambito dell’impegno di evangelizzazione, secondo lo specifico carisma degli istituti.

 

IN ASCOLTO

DEL NOSTRO TEMPO

 

L’ignoranza dei fermenti e delle prospettive che la Chiesa oggi offre alla vita consacrata è uno dei motivi della paralisi del dinamismo che si nota in varie comunità, portate ad adagiarsi nel risaputo e nel tradizionale, per mancanza di conoscenza dei nuovi orizzonti che l’analisi della Chiesa dischiude all’evangelizzazione. Essere paralizzati non è la profezia richiesta alla vita religiosa.

Le istituzioni (e le nostre comunità sono diventate tali e spesso nel significato più riposante del termine) vivono se conservano entusiasmo, energia, visione realistica del tempo, ideali da perseguire, accantonando le comodità raggiunte, ignorando le lusinghe del conquistato una volta per sempre.

Non ci si può nascondere che oggi in molte comunità vi è invece una stagnazione prolungata, per uscire dalla quale occorre una terapia d’urto della quale per ora non vi è traccia. Da anni si è d’accordo (a livello di istituti) che bisogna aggredire vari nodi, ben conosciuti e tante volte denunciati, ma essi restano ai margini (o del tutto estranei) delle preoccupazioni, a livello di comunità. Sono, tra gli altri: ripensare il modo concreto di vivere i voti; approfondire la vita spirituale; stilare progetti comunitari chiari e condivisi e progetti personali non evasivi e sfuggenti; fare opera di discernimento coraggioso e realistico circa l’impegno apostolico; aiutare la formazione permanente per chiarire sempre meglio la natura della vita consacrata; comprendere le attitudini intellettuali e le motivazioni psicologiche dei membri della comunità. Tutti nodi che la Chiesa, in tutti i documenti degli ultimi anni, invita a sciogliere, per formare religiosi all’altezza del loro compito di consacrati a Cristo e di comunicatori del Vangelo.

Tra questi vi è un nodo che, sia pure indirettamente, la Chiesa segnala. Infatti è ancora possibile (nella richiesta presenza di evangelizzatori nei numerosi e sempre mutanti e mobili areopaghi della cultura e della società di oggi) mantenere comunità composte da un numero di religiosi superiore al necessario, con la motivazione che non si sa dove collocarli? Nella società agitata e nella cultura dinamica di oggi sono richieste comunità vigili, agili, attente alle domande del territorio e della chiesa locale, certamente legate alla struttura dell’istituto, ma che al loro interno offrano comunione di obiettivi e di intenti e varietà di itinerari, tutti in grado di rispondere con libertà e dinamicità a queste esigenze. Il nostro tempo richiede una dislocazione di piccole comunità, per raggiungere sia territori emarginati sia per entrare nei numerosi e complessi settori della cultura.

Ovviamente questo comporta mettersi in sintonia con le emergenze e le urgenze che la Chiesa presenta alla vita consacrata e richiede preparazione adeguata, competenza professionale, condivisione della finalità dell’opera, partecipazione fraterna al suo radicamento nella chiesa locale.

Senza un’attenta ricezione delle situazioni di oggi, che il magistero e gli organismi superiori della vita religiosa non si stancano di prospettare, le comunità rischiano di separare la loro vita interna (che procede sui comodi binari collaudati dal tempo) dall’effettiva realtà del mondo che pure sono inviate a evangelizzare. La sordità (o la superficialità di ricezione) verso le analisi e le indicazioni della Chiesa riguardano – occorre sottolinearlo – più le comunità che non le congregazioni in generale. I convegni, le assemblee degli organismi maggiori, infatti, rivelano un’attenzione costante alla realtà della vita religiosa, la consapevolezza di dovere prendere atto dei cambiamenti, una consonanza di fondo con le direttive della Chiesa circa le modalità di presenza nel mondo di oggi.

Ma sono spesso – lo ripetiamo – le singole comunità che restano estranee concretamente alle novità, appunto per la noncuranza – ricordata – dei documenti. Questo sia perché a volte mancano le mediazioni tra Chiesa – istituto – comunità, sia perché (più spesso) le comunità vivono una loro “collaudata” situazione locale, nella quale tutto è ritenuto a posto, oppure, nel caso che ci si accorge che qualcosa va cambiato, perché lo stato delle cose si crede immodificabile.

La conseguenza: le prospettive, le novità, le urgenze che provengono dalla Chiesa (e dagli organismi superiori dell’istituto) appaiono astratte, lontane dalla quotidianità della comunità e quindi non sono prese in considerazione e tanto meno diventano fonte di ispirazione per nuovi percorsi di vita religiosa. Nella comunità spesso non trovano cittadinanza grandi orizzonti e traguardi (da perseguire poi con piccoli, realistici passi) e quindi non vi sono motivazioni alla progettazione, alla creatività. Non accettare impulsi porta inevitabilmente alla “stagnazione” ricordata, alla concezione di un presente che non è più matrice e annunciatore di un futuro diverso, come invece prospettano coraggiosamente le strade tracciate dalla Chiesa.

Non si può negare, infatti, che i documenti della Chiesa sulla vita consacrata siano oggi attenti alla lettura della realtà e non astrattamente rarefatti, come alcuni del passato. Entrano quasi sempre nel vivo dell’attualità, della quale colgono mentalità, tendenze, prospettive. Se non altro servono come punto di riferimento e come base per rivedere la natura della vita religiosa, la consistenza e la modernità del carisma in un’epoca storica che domanda una necessaria revisione delle modalità della comunicazione e della testimonianza del vangelo di Cristo.

 

Ennio Bianchi