I CAPPUCCINI E IL CAPITOLO
DELLE STUOIE
PER UNA CONVERSIONE
NELL’OGGI
Dopo 782 anni i cappuccini ripetono ad Assisi un
avvenimento singolare per un tentativo di conversione nell’oggi diverso da
quello di san Francesco, ma conservandone lo spirito e tutta l’esperienza
maturata durante il secondo millennio. I valori francescani nel messaggio del
papa.
Il Capitolo delle stuoie
tenuto dai frati minori cappuccini in Assisi dal 27 al 31 ottobre – il primo
del genere dall’inizio della loro riforma, avvenuta nel 1528 – non ha avuto
naturalmente la stessa cornice di quello indetto da Francesco nel 1221.
Lo raccontano i Fioretti:
«Il fedele servo di Cristo, santo Francesco, tenne una volta capitolo generale
a Santa Maria degli Angeli; al quale capitolo si radunarono bene cinquemila
frati… Fu a detto capitolo un cardinale devotissimo di Francesco, al quale egli
aveva profetato che doveva essere papa; e così fu…I frati erano a schiere, dove
quaranta, dove cento, dove duecento, dove trecento insieme, tutti occupati
solamente in ragionare di Dio, in orazione, in lagrime, in esercizi di carità…
Ed erano in quel campo tetti di graticci e di stuoie; e però si chiamava quel
capitolo il “Capitolo de’ graticci”, ovvero di stuoie».
Il capitolo dell’ottobre
scorso non ha trovato ovviamente il campo di cui parlano i Fioretti, è sepolto
dal cemento, ma ha avuto la presenza del papa, che ha mandato una lettera ai
500 partecipanti, compiacendosi con i «carissimi fratelli cappuccini italiani»
perché «impegnati ad approfondire le tematiche che si ispirano al Piccolo
Testamento di Siena, che ben evidenzia la sollecitudine del fondatore e le sue
ultime volontà: l’amore reciproco tra i frati, l’amore per la povertà
evangelica, l’amore per la Chiesa».
HA PARTECIPATO
IL “POPOLO CAPPUCCINO”
Al capitolo non ha
partecipato solo l’élite (se c’era, non è stata notata, nascosta nella
minorità), ma vi ha preso parte il “popolo cappuccino”, come l’ha definito p.
Felice Cangelosi nella relazione finale, riunito «non per ascoltare discorsi,
ma per intensificare i rapporti fraterni e aprirsi con speranza al futuro,
vivendo maggiormente la vita fraterna (sempre si amino, è detto nel Piccolo
Testamento di Siena), scegliendo l’altissima povertà (sempre amino e osservino
nostra signora la santa povertà), realizzando la vocazione ecclesiale
all’insegna dell’essere minori (sempre siano fedeli e sottomessi ai prelati e a
tutti i chierici della santa Madre Chiesa)».
San Francesco, è stato
fatto notare, non si occupò di idee, ma di realtà pratiche, tanto che nei suoi
scritti appare solo due volte la parola servizio e mai il termine minorità;
frequenti, invece, il verbo servire e l’espressione sint minores, usati in
un’ottica cristologica e invitando a essere veramente minores nella fraternità
e nella sottomissione a tutti, perfino alle bestie, com’è detto nelle Lodi a
Dio Altissimo.
I discorsi sono stati
ridotti a due per dare spazio alle tavole rotonde, incentrate sui temi
ricordati dal papa e “moderate” da altrettanti esperti in Sacra Scrittura,
francescanesimo ed ecclesiologia. E questo per dare a tutti la possibilità di
intervenire con domande, osservazioni e proposte. Ripresi nei “laboratori di
fraternità”, i temi sono stati riesaminati dettagliatamente, elaborando alcune
propositiones presentate nell’assemblea finale.
«I temi – ha detto p.
Calogero Peri – hanno creato confronto, dibattito e dialogo tra tutti i
partecipanti. Su di essi ci si è confrontati, riscoprendo una comune volontà di
andare avanti, di non vivere solo guardando il passato, per quanto glorioso
possa essere stato, ma cercando di decifrare, in mezzo alle indicazioni del
nostro tempo, le suggestioni dello Spirito per il domani».
Mons. Lino Garavaglia,
vescovo cappuccino di Cesena, ha detto di «aver visto nel capitolo un grande
segno di fraternità, di cui avevamo bisogno. La nostra legislazione ci divide
in province: insieme a tanti vantaggi, la divisione ci crea problemi che dobbiamo
superare, grazie anche a capitoli del genere che vanno ripetuti, com’è stato
auspicato.
Se avranno una giusta
ricaduta sulle Fraternità e sui singoli religiosi – com’è doveroso che avvenga
– essi ci aiuteranno a ricuperare fierezza, identità, comunione e, nello stesso
tempo, a uscire da una certo monachesimo che si è inserito nella nostra vita. È
vero – come ha fatto notare uno dei moderatori di una tavola rotonda – che nel
cammino evolutivo dell’ordine c’è stato un passaggio da “frati tra la gente” a
“frati per la gente”, ma talora si nota un eccessivo ripiegamento su se
stessi».
«Una più esatta
individuazione dei cambiamenti odierni – ha precisato p. Stefano Campana –
avrebbe potuto darci indicazioni più precise sulle scelte da fare: forse
abbiamo perso un’occasione preziosa, anche se il capitolo è stato estremamente
positivo e per questo va ripetuto».
Riunioni del genere,
secondo padre Calogero, servono anche per fare una verifica seria del passato,
perché altrimenti si rischia di ricominciare ogni volta da capo, «mentre si
chiede soprattutto a noi, frati del popolo, di proiettarci in avanti preparando
l’avvenire, per quanto possa essere preparato. Il “Capitolo delle stuoie” è un
tentativo di conversione nell’oggi, che è diverso dall’oggi di Francesco e da
quello dei cappuccini di manzoniana memoria, dato che sono cambiate le
coordinate dello spazio e del tempo; tuttavia ci sprona a conservare lo spirito
di ieri, custodendo l’esperienza e l’effervescenza che hanno illuminato così
prepotentemente il secondo millennio».
La presenza del ministro
generale, il canadese John Corriveau, ha fatto indirettamente capire che al
capitolo erano spiritualmente uniti anche i religiosi sparsi in 96 paesi di
tutti i continenti, ai quali p. Cangelosi ha ricordato le parole di Vita
consecrata, e cioè «che non c’è solo una storia gloriosa da ricordare e da
raccontare, ma una grande storia da costruire. Guardate al futuro, nel quale lo
Spirito vi proietta per fare con voi ancora cose grandi».
MESSAGGIO
DEL PAPA
Mentre il capitolo era in
pieno svolgimento, il papa ha inviato ai 500 convenuti, in rappresentanza dei
circa 2.500 confratelli d’Italia, un importante messaggio per sottolineare
l’importanza delle tematiche da approfondire durante i lavori. Sono quelle che
toccano in profondità i valori del carisma francescano e che conservano oggi,
nel mutare dei tempi, tutta la loro attualità.
«Le tematiche che intendete
approfondire si ispirano al noto “Piccolo Testamento” di Siena (FF 132-135),
che ben evidenzia la sollecitudine del vostro fondatore per l’ordine e le sue
ultime volontà: l’amore reciproco tra i Frati, l’amore per la povertà evangelica,
l’amore per la Chiesa. Intendete inquadrare le vostre riflessioni nel contesto
eminentemente esistenziale e dinamico delle mutate condizioni del tempo
presente in continua evoluzione, alla luce dei disegni provvidenziali di Dio,
che accompagna col suo amore la “storia sacra” di questa nostra epoca.
«In segno di ricordo della
benedizione e del testamento” (FF 133) di san Francesco, vostra prima
preoccupazione sarà sottolineare il senso e le conseguenze del nome che il
vostro fondatore vi ha dato: vi ha voluto chiamare “frati”, “fratelli”. I
termini fraternità e fratello esprimono significativamente per voi la novità
evangelica del “comandamento nuovo». L’essere fratelli deve caratterizzare i
vostri atteggiamenti verso Dio, verso voi stessi, verso gli altri e verso tutte
le creature. Pertanto, in funzione del fondamentale valore evangelico della
fraternità vissuta, assumono per voi connotati propri la spiritualità, il modo
di vivere, le scelte operative, i criteri pedagogici, i sistemi di governo e di
convivenza, le attività e i metodi apostolici, insomma la vostra stessa
identità carismatica di gruppo ben definito all’interno della Chiesa.
Questa forma di vita in
fraternità costituisce una sfida e una proposta nel mondo attuale, spesso
“lacerato dall’odio etnico o da follie omicide”, percorso da passioni e da
interessi contrastanti, desideroso di unità ma incerto “sulle vie da prendere”
(cf. Vita consecrata, 51). Vivere la fraternità da veri discepoli di Gesù può
costituire una singolare “benedizione” per la Chiesa e una “terapia spirituale”
per l’umanità (cfr ibid., n. 87). La fraternità evangelica, infatti, ponendosi
«quasi come modello e fermento di vita sociale, invita gli uomini a promuovere
tra loro relazioni fraterne e a unire le forze in vista dello sviluppo e della
liberazione di tutta la persona, nonché per l’autentico progresso sociale»
(Costituzioni OFMCap., 11,4).
Quali fratelli e membri di
fraternità, voi costituite un “Ordine di fratelli”. Questo peculiare stile
fraterno deve riflettere e favorire il senso di appartenenza di ciascuno a una
grande famiglia senza frontiere. Una conversione continua e totale alla
“fraternità” da parte degli individui, delle fraternità locali e delle
province, potrà condurvi a una sorta di globalizzazione della carità vissuta da
fratelli a livello di ordine, con la possibilità reale e pienamente normale di
disporre delle risorse individuali e comunitarie per il servizio fraterno e
minoritico delle prioritarie e generali esigenze dell’intera Fraternità
cappuccina.
Altro tema sul quale
intendete soffermarvi è quello dell’amore alla povertà alla luce della
“minorità”. Questo termine qualifica la vostra denominazione completa (“Frati
Minori”), e abbraccia, insieme ad altri aspetti significativi del carisma
cappuccino, la stessa povertà. Sulla dimensione della “minorità”, che deve
caratterizzare il vostro essere e operare, si concentra in questo momento
l’attenzione di tutto l’ordine in vista del prossimo Consiglio plenario. Sono
certo che le riflessioni emergenti in questo “Capitolo delle stuoie” contribuiranno
a comprendere e attuare sempre più concretamente questo valore, il quale
specificamente vi identifica nella Chiesa. Come ho avuto modo di dirvi in altra
occasione, esso vi rende “vicini e solidali con la gente umile e semplice”, e
fa delle vostre fraternità minoritiche “un punto di riferimento cordiale e
accessibile per i poveri e per quanti sono sinceramente alla ricerca di Dio”
(Messaggio del 18 settembre 1996).
La “minorità” comporta un
cuore libero, distaccato, umile, mansueto e semplice, come Gesù ci ha proposto,
e da san Francesco è stato vissuto; richiede una totale rinuncia a se stessi e
una piena disponibilità verso Dio e i fratelli. La “minorità” vissuta esprime
la forza disarmata e disarmante della dimensione spirituale nella Chiesa e nel
mondo. Non solo! La vera minorità libera il cuore e lo rende disponibile a un
amore fraterno sempre più autentico, che si dilata in un’ampia costellazione di
comportamenti tipici. Favorisce, per esempio, uno stile caratterizzato da
atteggiamenti di semplicità e sincerità, di spontaneità e concretezza, di
umiltà e letizia, di abnegazione e disponibilità, di vicinanza e servizio,
particolarmente nei confronti del popolo e delle persone più piccole e
bisognose.
Accanto all’amore fraterno
e all’amore per la povertà, mediterete pure sull’amore fedele alla Chiesa.
Amore che esige da voi, a imitazione del vostro padre e fratello san Francesco,
un atteggiamento di fede e di obbedienza, e si traduce in un servizio umile e
creativo, in grado di rendere la vita un “segno” stimolante e convincente di
fedeltà ecclesiale e di apertura ai fratelli. San Francesco si fece promotore e
portavoce di un messaggio umile ma incisivo di rinnovamento evangelico, perché
riuscì a proporre il Vangelo nella sua integrità e purezza mediante una vita
improntata all’amore, alla vicinanza, al dialogo e alla cristiana tolleranza.
Testimoniate, carissimi, la vostra obbedienza alla Chiesa con il cuore e con lo
stile del vostro fondatore. Si tratta di un impegno senza soste, che vi renderà
felici e consapevoli di spendere l’esistenza per il regno di Dio nel nome di
Gesù.
Auguro di cuore che il
“Capitolo delle stuoie” rechi i frutti spirituali attesi, aiutandovi a
individuare la giusta direzione per avanzare, fedeli al vostro carisma, in un
mondo che cambia… Auspico, altresì, che quest’importante incontro vi aiuti a
capire ancor più l’urgenza di dover percorrere la “via stretta” del Vangelo: la
via della conversione permanente a Cristo, che è il cammino della santità.
Secondo l’insegnamento evangelico, occorre cambiare il cuore se si vuole
sinceramente che cambi la vita. Altrimenti, si può correre il rischio di
sperimentare disincanto e frustrazione, mentre risulterebbero inutili parole e
proposte pur belle, incontri e raduni, e si vanificherebbero le tante energie
spese per elaborare programmi spirituali e apostolici.
Egidio Picucci