UN PROBLEMA DA APPROFONDIRE

STIAMO SPRECANDO LE RISORSE?

 

C’è una sproporzione sempre più vasta tra risorse impiegate attorno ai problemi istituzionali e i risultati ottenuti. Con il grande patrimonio costituito dalle persone messo a rischio e non valorizzato. C’è un’alternativa a tutto questo? Quale?

 

In un recente convegno sulla vita religiosa (VR) a quarant’anni dal concilio,1 Giamberto Pegoraro attirava l’attenzione sulla sproporzione sempre più vasta che nella VR d’oggi c’è tra la mole di risorse impiegate attorno ai problemi istituzionali e i risultati che se ne ricavano.

Sproporzione vuol dire che le risorse impiegate – in persone, tempo e denaro – sono molte e i risultati pochi, quasi nulli. Si ha come l’impressione di girare a vuoto, e tuttavia si continua a insistere sulla stessa strada, consumando lì le proprie energie.

 

TANTE FATICHE

CON QUALI FRUTTI?

 

Il pensiero va ai capitoli, generali e provinciali, e a ciò che ne consegue – o “non” ne consegue – dopo che sono stati celebrati; e all’attività perfino frenetica delle nostre curie, con tutte le comunicazioni, le lettere e i documenti che – grazie anche alle nuove tecnologie – continuamente sfornano. In mezzo ci sta tutto il resto: il lavoro pure esso frenetico dei superiori maggiori, con gli innumerevoli viaggi, nazionali e internazionali; il lavoro di assemblee e commissioni di tutti tipi, con gli inevitabili documenti; fino all’opera dispendiosissima – non solo a livello economico – per la ristrutturazione delle opere, la qualificazione/riqualificazione del personale, la “messa a norma” di tutto ciò che presenta questa esigenza. Un lavoro immenso, ma con quali frutti?

Per rimanere all’espressione usata, si tratta di un lavoro che si pone a livello delle problematiche istituzionali. Ha cioè come punto di riferimento il modello di VR ereditato dal passato e in funzione di esso imposta tutto il discorso. Ma proprio qui sta il punto, un punto che spiega la sproporzione di cui si diceva: se quel modello di VR, come è sempre più evidente, è giunto a esaurimento e non riesce più a esprimere il significato della VR per oggi, non può che essere fatica sprecata continuare a operare attorno ad esso.

E in effetti è dal concilio che ci muoviamo in questa linea, e siamo al punto in cui siamo. Abbiamo cominciato con l’aggiornamento delle regole e delle costituzioni (capitoli speciali), abbiamo continuato con il rinnovamento, poi con la riacculturazione e in fine siamo arrivati alla rifondazione della VR. Tutte parole importanti e necessarie, che hanno spiazzato molti dei consueti discorsi sulla VR, ma che hanno il loro limite nel fatto che si muovono in realtà all’interno di un modello di VR che è giunto a esaurimento.

Non può non fare riflettere il fatto che i documenti nei quali sono raccolti e formulati i frutti di tanto lavoro, a cominciare dalle costituzioni e direttori rinnovati, molto raramente sono un punto di riferimento preso sul serio dalle persone e dalle comunità. Molte volte gli stessi superiori, soprattutto quelli locali, non sanno a che cosa fare riferimento nel loro servizio in comunità. Siamo in una situazione di anomia o vuoto di norme, ma non perché le norme non ci sono, bensì perché quelle che abbiamo non sono più sentite come capaci di interpretare ciò che si porta in cuore. E tuttavia si continua a girare attorno all’impostazione di vita da esse espresso.

 

UNA DISTINZIONE

PER CHIARIRE

 

C’è qualcosa che non gira più proprio nel cuore del nostro così intenso darci da fare. Per intenderci meglio, bisognerebbe forse mettere in chiaro una distinzione. In riferimento a quelle che sono le grandi componenti del progetto VR – comunità, missione e voti – c’è un livello profondo, teologico-spirituale, che dà ragione della natura e del significato stesso di queste componenti. È il livello transculturale, fondativo, che definisce il contenuto anche di tutto il resto. E c’è un livello “secondo” e quindi successivo rispetto a questo, che si riferisce al come organizzare le cose in comunità e nell’apostolato, affinché quelli che sono i significati profondi si strutturino e diventino vita vissuta a livello sia personale che comunitario.

Sono due prospettive o livelli diversi, anche se strettamente correlati. È la differenza che c’è, per esempio, tra la missione come dono della propria vita per il compito assegnato dal Signore all’istituto, e le “opere” come mezzo per attuare la missione. Oppure la differenza tra la comunità come è presentata nei suoi contenuti profondi in Mt 18 o in Atti 2,42-48; 4,32-35 e il come è concretamente organizzata, per esempio, tra i benedettini rispetto ai Piccoli fratelli di Gesù, o negli istituti di vita religiosa apostolica maschile rispetto a quelli femminili; oppure ancora nella VR di ieri rispetto a ciò che capita oggi…

Per non parlare dei voti. Ieri li avevamo interpretati e codificati sostanzialmente con la preoccupazione di garantire attraverso di essi l’ordine, la disciplina e l’efficienza, senza una chiara distinzione tra il significato profondo dei voti stessi e il modo di organizzarne la pratica nella vita concreta. L’attenzione principale anzi era data a questo secondo livello, semplicemente giuridico, lasciando del tutto in ombra il vero significato di povertà castità e obbedienza.

La constatazione di cui sopra sull’enorme spreco di risorse attorno alle problematiche istituzionali nasce da qui: dalla preminenza che abbiamo sempre dato all’aspetto strutturale e giuridico e che oggi permane, anche se tale aspetto così come è formulato non tiene più, è giunto a esaurimento. Quanto spesso superiori maggiori e capitoli operano come se dovessero essere semplicemente i “garanti” di ciò che viene dal passato in opere, strutture e modi di procedere. Ma ha senso?

 

IL PROBLEMA

DELLE PERSONE

 

Lo so che in tutto questo discorso il problema è che cosa proporre in alternativa: se la concentrazione sulle problematiche istituzionali non è la strada buona, a che cosa ci si deve orientare? dove ci si può spendere? Ancora al convegno sopra citato veniva in evidenza un altro fatto riguardante questa volta le persone: ad esse i nostri istituti chiedono sempre di più e danno poco, anzi, sempre di meno. Chiedono molto in termini di lavoro e di responsabilità, sotto il peso di situazioni e opere per le quali si è sempre più impari, sia per il diminuire delle forze che del numero degli effettivi, e danno poco in tema di sostegno umano, spirituale e anche affettivo: ciò che potrebbe essere detto nell’espressione “senso di realizzazione”.

La conseguenza è la solitudine. C’è molta solitudine nella VR d’oggi. C’è negli anziani, che vedono venir meno ciò per cui hanno consumato la loro vita, senza essere adeguatamente aiutati a trovare in questo “venir meno” quelle ragioni di senso di cui avrebbero bisogno; c’è nei giovani, che troppo spesso non hanno con chi condividere, per farlo crescere, ciò che di più importante portano nel cuore; e c’è nelle persone ancora in piena attività, comprese quelle più vive e consapevoli, che portano il peso principale, e non di rado devono mettere a tacere, seppellendolo nel cuore, ciò che di più bello è maturato in loro in questi anni.

Solitudine su questo versante significa che gli istituti – e qui bisognerebbe citare in particolare coloro che li rappresentano, i superiori maggiori – invece di offrire a questo livello le risposte necessarie, sono assenti, o come tali sono sentiti. È quando si considera questo, e cioè l’attesa che c’è nel cuore delle persone, da una parte, e il cumulo di risorse spese altrove, attorno ai semplici problemi istituzionali, dall’altra, che si capisce dov’è il punto e qual è la misura di conversione – una vera e propria conversione di rotta – che sarebbe richiesta per non girare a vuoto.

 

LE PERSONE

E LA MISSIONE

 

Certo, anche qui si tratta di intendersi. Se per ritorno alle persone si dovesse intendere un fare della “realizzazione personale” o delle doti e caratteristiche individuali il criterio di scelta per la propria vita e il governo degli istituti, non ci saremmo proprio. A volte è inteso così anche il cosiddetto “progetto personale”, ma allora il Vangelo non c’entra più. Il discorso è un altro. Passare dalle preoccupazioni istituzionali all’attenzione da dare alle persone vuol dire andare a vedere – accorgersi finalmente! – di ciò che lo Spirito ha fatto nascere nei cuori in questi anni, soprattutto in riferimento al rinnovamento della VR e alla sua missione, e poi fargli spazio. Ancor prima, aver capito quali sono oggi questi fermenti nuovi e saperli promuovere facendo perno su di essi. Dunque avere degli istituti – e dei superiori in essi – che non vanno per strade senza sbocco, ma entrano in dialogo, risvegliano e poi sostengono ciò che merita di essere sostenuto. In modo che possa crescere e poi diventare, se e quando il Signore vuole, progettazione comunitaria.

Non sono parole vuote o troppo vaghe, che lasciano i superiori e i loro consigli disoccupati, con niente da fare. Quante iniziative sono nate in questi anni come cosa anche molto buona e sono finite perché lasciate troppo sole, non sostenute e perfino diffidate! Quanto spesso i nostri istituti sono rimasti impantanati fuori strada, per pigrizia o semplice ripetitività, mentre c’erano già aperti dei percorsi che avevano solo bisogno di essere sostenuti!

Non credo neppure che questa attenzione alle persone e alle risorse nascoste nei cuori debba essere letta in chiave subito operativa ed efficientistica, quasi che il problema sia quello di passare immediatamente ai fatti, sul piano del “fare”. Il cammino è molto più lungo e più paziente, e proprio in quanto tale ha bisogno di essere sostenuto e guidato. Si tratta di “entrare in dialogo” con ciò che germoglia nel profondo, farlo oggetto della propria attenzione e poi parlarne, segnalarlo all’opinione pubblica della propria famiglia, in modo che anche altri sempre più numerosi si accorgano e man mano si sintonizzino. Solo “dopo” verranno le realizzazioni concrete.

 

In fondo si tratterebbe semplicemente di avere degli animatori che certe cose le capiscono e le fanno circolare: uomini e donne che sanno andare al dunque di ciò che veramente conta e perciò hanno prospettiva, una prospettiva di futuro. Si provi a paragonare questo con lo stile di chi gira sempre e soltanto attorno ai problemi istituzionali e si capirà la differenza. Al di là di tutto si tratterebbe di accorgersi che c’è tanto da fare proprio se si accetta di spostare l’accento e l’attenzione più in profondità rispetto ai soli problemi istituzionali.

 

LA FORMAZIONE

PERMANENTE

 

C’è in questo una considerazione anche più generale. Nella situazione di oggi, in cui tante cose che ieri davano sicurezza non ci sono più, emerge sempre più forte l’esigenza di aiutare le persone verso quel consolidamento nella fede e nel proprio radicamento in Cristo che è l’unica risposta vera al travaglio che stiamo vivendo. Posto in questi termini, il problema diventa quello della formazione permanente, ma intesa in modo nuovo, tale da coinvolgere in profondità e in modo “permanente” le persone e le comunità. Una formazione che rimanda a quella riqualificazione spirituale dei nostri istituti che è, questo sì, il vero problema che abbiamo davanti.

Non si può negare in effetti che il rischio che stiamo correndo oggi nei nostri istituti è quello di un vero e proprio decadimento spirituale. Ieri si faceva perno sull’osservanza religiosa. Abbiamo superato questa impostazione, certamente insufficiente, ma con che cosa l’abbiamo sostituita? che ne è oggi della comunità religiosa come schola dominici servitii? La generazione precedente vive di rendita, ma i giovani di che cosa vivono, che cosa trovano nelle nostre comunità?

La risposta può essere solo nella riqualificazione spirituale dei nostri istituti. Ed è un’altra delle sfide che scavalca radicalmente ogni possibilità di fermarsi alla routine delle sole problematiche istituzionali. Quello che occorre sta molto “oltre” ed è la riscoperta della vita spirituale come punto su cui si gioca anche il resto. Un ritorno al Vangelo accettato come la sintesi di tutto ciò che occorre.

Ma è necessario che siano gli istituti in quanto tali, non solo qualche fratello o sorella particolarmente “fervorosi”, a farsene consapevoli e a spostare su questo l’attenzione e l’accento. Gli istituti e dunque, come è comprensibile, coloro che li rappresentano e li governano: i superiori. Non è certamente facile il loro compito oggi. Si ripete da tempo che è un compito innanzitutto di animazione e non c’è dubbio che questo si debba esprimere oggi particolarmente in questo: far percepire in tutto ciò che dicono e fanno dove si collocano le vere sfide, per indicare in tal modo anche le strade da prendere. Sfide e strade che non sono più definite dalle problematiche istituzionali.

 

Luigi Guccini

 

1 Cf Testimoni, 15/03 p. 11.