RAPPORTO FAO 2003

CRESCE LA FAME NEL MONDO

 

Alla luce del Rapporto 2003 della FAO, difficilmente potrà raggiungersi l’obiettivo di dimezzare le «vittime» della fame entro il 2015. Per invertire la tendenza occorre un più deciso impegno per far crescere la coscienza del legame che c’è tra la pace e la fame.

 

Sul pianeta sono 842 milioni (monitoraggio decade 1999-2001) le persone denutrite e si fanno difficili le prospettive di ridurre in modo rilevante questa cifra. Lo rivela la quinta edizione del Rapporto del Fondo delle Nazioni Unite su agricoltura e alimentazione (FAO) dal titolo Lo stato dell’insicurezza alimentare nel mondo 2003.

Si apprende che sono 798 milioni le persone sottoalimentate nei paesi in via di sviluppo, 34 in quelli mediamente sviluppati e 10 nelle regioni più ricche e industrializzate. Mentre nella prima metà degli anni novanta il numero dei sottoalimentati era diminuito di 37 milioni di unità, alla fine del millennio è aumentato di 18 milioni.

A livello regionale solo l’America Latina e i Caraibi hanno registrato un calo a partire dalla metà degli anni 1990. Se infatti 19 paesi, tra i quali la Cina, sono riusciti a ridurre il numero delle persone sottonutrite per l’intero decennio in esame (80 milioni di persone ora hanno cibo a sufficienza), in altri 26 paesi nello stesso periodo il numero degli affamati è aumentato di 60 milioni. I paesi che sono riusciti a invertire la tendenza sono 22, tra cui il Bangladesh, Haiti e il Mozambico. In altri 17 invece la tendenza è opposta: il numero dei sottonutriti, sceso inizialmente, ha poi ripreso a salire. E si tratta di paesi molto popolosi come India, Indonesia, Nigeria, Pakistan e Sudan. Da segnalare comunque che anche nei paesi “virtuosi” come la Cina, la tendenza positiva ha subito un rallentamento dopo l’impennata iniziale del decennio.

 

ASSENZA

DI VOLONTÀ POLITICA

 

Il Rapporto – indicando che si allontana sempre più la possibilità di raggiungere l’obiettivo della riduzione del 50% delle vittime della denutrizione entro il 2015 (come stabilito dal Summit mondiale dell’alimentazione del 1996): da ora in poi andrebbero recuperate 26 milioni di persone all’anno! – propone all’attenzione generale, tra le tante, le soluzioni scelte da Brasile, Vietnam e Tunisia, portandole come esempi da seguire.

Del progetto Fame zero, sviluppato dal presidente brasiliano Lula da Silva, si pone in risalto la scelta di intervenire con azioni d’emergenza per garantire l’accesso agli alimenti per la popolazione denutrita ma, allo stesso tempo, l’impegno nella creazione di nuovi posti di lavoro, nel ridurre la povertà e nello stimolare la produzione alimentare autoctona, nel costruire una logica di alleanza nazionale con il supporto di sindacati, associazioni popolari, organizzazioni non governative, scuole, università, chiese e industrie.

Un altro esempio viene dal Vietnam, il cui programma è legato alla crescita economica degli ultimi anni oltre che agli investimenti nel settore alimentare-rurale: la via vietnamita ha permesso, in circa 20 anni, di ridurre dal 32 al 19% il numero delle persone denutrite e di limitare le carenze nutrizionali dei bambini; in particolare, si è data la possibilità a molti di coltivare un proprio orto personale, soddisfacendo così una parte importante delle esigenze caloriche quotidiane. Il caso della Tunisia, infine, ha origine nella visita (1992) del presidente Abidine Ben Ali nelle zone più remote e povere del paese nordafricano: nasce il Fondo di solidarietà nazionale, che in un decennio ha distribuito quasi 450 milioni di dollari in 1.327 comunità. L’esempio tunisino è recentemente diventato un programma planetario, visto che il Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg (2001) ha approvato la creazione di un fondo mondiale di lotta contro la povertà, mentre l’anno scorso l’Assemblea dell’ONU ha chiesto la costituzione di un fondo di solidarietà mondiale.

Proprio questi esempi hanno permesso al direttore della FAO Jacques Diouf, dopo aver ricordato quali sono i principali fattori di successo emergenti dal monitoraggio (rapida crescita economica nel settore agricolo, rallentamento nella crescita della popolazione, abbassamento dei livelli di infezione da HIV), di affermare a chiare lettere che «il problema non è tanto nella mancanza di cibo, quanto nell’assenza di volontà politica. La grande maggioranza di chi soffre la fame nel mondo vive in zone rurali in via di sviluppo, lontana dalle leve del potere politico e oltre l’orizzonte visivo dei mass media e dell’opinione pubblica dei paesi sviluppati. Eccetto il momento in cui una guerra o una calamità naturale focalizza per breve tempo l’attenzione e la compassione del mondo, se ne parla poco e ancor meno si fa per mettere fine alla sofferenza di un “continente della fame” di 798 milioni di persone, superiore alla popolazione dell’America Latina o dell’Africa sub-sahariana. Troppo spesso l’eliminazione della fame è stata relegata sotto forma di una lista della spesa fatta di obiettivi per lo sviluppo… Dobbiamo avere la visione e il coraggio di fissare priorità, riconoscendo che la mancanza di cibo adeguato minaccia l’esistenza della gente e ne paralizza le capacità, da un lato, di trarre beneficio dalle opportunità educative, lavorative e politiche, e, dall’altro lato, di contribuire allo sviluppo economico e sociale».

 

STRETTO RAPPORTO

TRA PACE E FAME

 

All’appello di Diouf di creare un’alleanza internazionale contro la fame («basata non su una istanza di carità ma su una domanda di giustizia») ha risposto il papa nel suo messaggio di saluto alla recente 32ª Conferenza della FAO (Roma 29/11-10/12 2003).

Dopo aver ricordato il contributo della FAO al progresso della pace mondiale e lo stretto rapporto tra la pace e la fame – perché «la fame e la malnutrizione, aggravate dalla crescente povertà, rappresentano una grave minaccia per la pacifica coesistenza dei popoli e delle nazioni» –, il pontefice ha evidenziato che le decisioni e le strategie economiche e politiche devono essere sempre più guidate dall’impegno a favore della solidarietà globale e del rispetto per i diritti fondamentali umani, incluso quello a un “adeguato nutrimento”. «La dignità umana stessa, ha affermato, è compromessa ogniqualvolta uno stretto pragmatismo, distaccato dalle esigenze oggettive della legge morale, porta a delle decisioni che vanno a favore di pochi fortunati, mentre ignorano le sofferenze di grandi segmenti della famiglia umana. Allo stesso tempo, conformemente al principio della sussidiarietà, gli individui e i gruppi sociali, le associazioni civili e le confessioni religiose, i governi e le istituzioni internazionali, sono chiamati, secondo le loro specifiche competenze e le loro risorse, a condividere questo impegno a favore della solidarietà, promovendo il bene dell’umanità».

In queste ultime frasi sembrano rispecchiarsi anche le precise dichiarazioni di Rosario Lembo (Sir 25/11/03), presidente del Cipsi (coordinamento che riunisce 27 organizzazioni non governative), in merito alle cifre denunciate dal Rapporto 2003: «Nulla di nuovo, purtroppo. Da qualche anno assistiamo solo ad un aumento di queste cifre drammatiche; ciò dimostra che la riduzione della povertà non può essere affidata solo ai governi, incapaci di mantenere gli impegni presi. Allora è necessario un maggiore coinvolgimento della società civile per rivendicare il diritto alla vita e alla sopravvivenza per tutti, rivedendo al tempo stesso i propri stili di vita, visto che la povertà è arrivata anche in occidente».

Quindi, ancora una volta, proprio l’occidente è chiamato in causa per riflettere su alcuni aspetti. Primo: questo sistema sta creando la ricchezza ma solo per qualcuno, e sembra poggiare le basi solo sull’aumento della ricchezza senza tener conto della sua distribuzione. Secondo: si conferma il dramma dell’Africa, la quale – tra gli altri continenti singolarmente colpita da conflitti, mancanza d’acqua e propagazione di AIDS – appare come la più estromessa dalle agende internazionali e come fortemente limitata nella possibilità di nutrirsi con le proprie risorse (per il sistema del mercato internazionale le sono imposti una serie di prodotti dall’estero: si trova così a non avere più i propri e a non avere la forza per comprare sui mercati quelli che vengono da fuori!). Terzo: dietro a queste statistiche che parlano di fame nel mondo, ci sta molto spesso la proposta delle multinazionali di utilizzare l’agricoltura geneticamente modificata (ogm), mentre la terra, invece, sta già producendo molto cibo. C’è cibo in sovrappiù, tanto che l’agricoltura europea e americana buttano via le eccedenze: il problema di fondo sembra stare proprio nella distribuzione.

Ma, occorre dirlo, si conferma che anche la FAO, come l’ONU, può solo indicare la strada della giustizia e della pace ma non possiede gli strumenti per perseguirle. Ci sembrano perciò ancora attuali le parole forti pronunciate dall’osservatore permanente della Santa Sede presso la FAO durante il comitato per la sicurezza alimentare del 2001: «I dati fornitici, per la loro evidenza, ci lasciano delusi profondamente. Ed è il senso comune, è la nostra comune umanità, a togliere molto spazio a ogni possibile giustificazione. È questo mondo, il nostro, che vive un progresso e uno sviluppo senza precedenti nella storia, ad abbandonare di fatto quotidianamente milioni di persone alla mancanza di debita nutrizione, minacciandone così la sopravvivenza».

Sempre di più i poveri hanno bisogno di una Chiesa che gridi forte con loro e per loro.

 

Mario Chiaro