LETTERA APERTA AI CRISTIANI
LA PROFEZIA DELLA
NONVIOLENZA
Partecipiamo con immenso
dolore e con tanta tristezza nel cuore alla drammatica involuzione che ogni
giorno di più va assumendo il conflitto armato in terra irachena... Non siamo
mossi alla riflessione soltanto dalla morte di cittadini italiani che ha scosso
profondamente le coscienze del nostro paese. L’universalità dell’annuncio
evangelico, così come il senso della cattolicità non ci consentono di
distinguere il DNA del sangue versato e anzi, il dolore che ci colpisce da
vicino deve divenire unità di misura per una migliore comprensione della
sofferenza di tutti.
Ciononostante in questo
momento a noi sta a cuore riflettere sulla situazione presente rivolgendoci ai
credenti e alle comunità che traggono motivo di vita dal Vangelo di Gesù
Cristo. Ai fratelli e alle sorelle che professano la fede cristiana nelle diverse
tradizioni delle chiese vogliamo chiedere di confrontarsi con il tempo presente
a partire dalla parola di Dio che sempre deve ispirare il nostro vivere e deve
illuminare le nostre scelte. Particolarmente significativo ci pare a questo
proposito uno strano episodio che ci viene riferito dall’evangelista Luca: «In
quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il
cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la
parola, Gesù rispose: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti
i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite,
perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre
di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti
di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo
stesso modo»
(Lc 13,1–5).
Gesù invita alla
conversione con parole molto dure, che non lasciano molto spazio ad altre
opzioni. Di fronte alla morte degli innocenti, davanti alle sciagure provocate
dagli uomini, dentro la storia che ci incalza moltiplicando l’orrore del
terrorismo e delle guerre, Gesù non rivolge altro appello se non quello alla
conversione. La terra irachena, culla di una civiltà antica e fiera, è la
stessa terra biblica in cui si svolgono le vicende di Abramo e di Giona,
entrambi segnati dalla conversione che pone a rischio la propria esistenza,
dall’annunzio alla conversione e da un cambiamento radicale della propria
esistenza che segue la voce di Dio contro ogni miopia umana. Essi hanno il coraggio
di rischiare sperando contro ogni speranza. In questo momento della storia che,
in Iraq e in tante altre zone della terra, continua a contrapporre violenza a
violenza, vendetta a ferocia, rancore a dolore… sentiamo forte la chiamata di
Dio a convertirci alla nonviolenza e a farci eco di questa medesima profezia
che fiorisce sulle labbra dell’anziano papa Giovanni Paolo II: «La pace nei
cuori si costruisce deponendo le armi del rancore, della vendetta e di ogni
forma di egoismo. Ha grande bisogno di questa pace il mondo! Penso in modo
speciale con profondo dolore agli ultimi episodi di violenza in Medio Oriente e
nel continente africano, come pure a quelli che la cronaca quotidiana registra
in tante altre parti della Terra. Rinnovo il mio appello ai responsabili delle
grandi religioni: uniamo le forze nel predicare la non-violenza, il perdono e
la riconciliazione! “Beati i miti, perché erediteranno la terra”» (Mt 5,5)
(Angelus, 30.11.2003).
– Farsi eco della profezia
della nonviolenza oggi per noi significa innanzitutto disarmare i nostri
pensieri e i nostri cuori bandendo atteggiamenti di contrapposizione e di idea
del nemico per acquisire nuovi stili di vita improntati alla riconciliazione e
capaci di osare davvero la pace con lo stile che Gesù ci ha insegnato: “Amate i
vostri nemici e pregate per i vostri persecutori” (Mt 5,44). Intensifichiamo
tanto le azioni di prossimità verso coloro che seminano violenza e morte in
modo così orrendo quanto la preghiera profonda e intensa. “Osare la pace per
fede” è stata la grande lezione di vita consegnataci da un testimone come
Dietrich Bonhoeffer.
– Farsi eco della profezia
della nonviolenza è vivere la sfida di una nuova tensione educativa in questo
momento di disorientamento in cui la pace sembra essere diventata “parola
multiuso” – per dirla con don Tonino Bello – e buona per legittimare persino la
guerra. Riprendendo il documento della CEI Educare alla pace, ribadiamo che
nessun serio progetto di questo tipo può prescindere dall’impegno di famiglia,
scuola, associazionismo, comunità cristiana che oggi devono comunicare una sana
educazione alla cultura della regola, alla cultura politica o della
partecipazione, all’economia per l’uomo e per la comunità, al dialogo, alla
sobrietà e solidarietà, alla gestione nonviolenta dei conflitti, alla
consapevolezza dei diritti e dei doveri (cf. Conferenza Episcopale Italiana –
Commissione Ecclesiale Giustizia e Pace, Educare alla pace, marzo 1998, §. 20 –
33).
– Farsi eco della profezia
della nonviolenza significa aiutare la politica ad affermare la sua autonomia
da ogni ideologia della guerra, dal fondamentalismo del “mercato armato”, dalla
logica distruttiva sempre unilaterale delle armi. Se la politica, come scriveva
Giorgio La Pira, «è l’attività religiosa più alta dopo quella dell’unione
intima con Dio!» perché «guida i popoli, responsabilità immensa e severissimo
servizio», il Parlamento italiano deve ripensare le sue scelte internazionali
sviluppando lo spirito nonviolento della Costituzione, della Carta dell’ONU e
della Dichiarazione universale dei diritti umani.
– Farsi eco della profezia
della nonviolenza è riconsegnare alle Nazioni Unite il compito di “arbitrare” e
gestire a pieno titolo questa fase delicata della crisi mediorientale pensando
innanzitutto a ridare dignità e sovranità al popolo iracheno. I troppi anni di
embargo hanno contribuito in maniera sostanziale a far perdere al popolo
iracheno la fiducia nella comunità internazionale che oggi ha il dovere morale
del risarcimento piuttosto che di prevedere come lucrare dalla vendita
dell’abbondante petrolio di quella terra. Ribadiamo senza riserve che la guerra
sul territorio iracheno è stata immorale ed illegittima. Per questa ragione
chiediamo che siano le regole del diritto internazionale a guidare anche la fase
attuale della crisi.
– Nel tempo che prepara al
Natale ci sentiamo ancor più vicini alla Terra Santa: farsi eco della profezia
della nonviolenza deve tradursi nel concentrare l’attenzione dell’Europa in
particolare sulla soluzione definitiva del dramma di inimicizia e sangue tra la
nazione israeliana e il popolo palestinese. Buona parte delle sorti dell’intera
regione e del bacino del terrorismo di matrice fondamentalista islamico si
nutrono idealmente di quel dramma irrisolto.
– Farsi eco della profezia
della nonviolenza significa mettere in atto ogni sforzo, economico e creativo,
non solo per aiutare la ricostruzione dell’Iraq, ma anche per visitare,
conoscere, imparare a frequentarsi, stringere nuovi patti di amicizia, cooperare
con il popolo iracheno e con tutte le popolazioni di tradizione religiosa
islamica. Abbiamo buone ragioni di ritenere che il terrorismo faccia una fatica
maggiore a fronteggiare la minaccia dell’amicizia e del dialogo piuttosto che
quella della guerra e della logica della colonizzazione culturale ed economica
presente nel fenomeno della globalizzazione.
Una parola infine, vogliamo
rivolgerla a tutti i pastori delle chiese cristiane perché non tacciano proprio
in questo momento. Il silenzio non è lecito a chi ha il compito di annunziare
la Parola. A loro più che ad altri compete di farsi eco della profezia della
nonviolenza secondo le parole di don Tonino Bello: «Come nei primi tempi del
cristianesimo i martiri stupirono il mondo per il loro coraggio, così oggi la
Chiesa (ogni Chiesa n.d.r.) dovrebbe fare ammutolire i potenti della terra per
la fierezza con cui, noncurante della persecuzione, annuncia, senza sfumare le
finali come nel canto gregoriano, il vangelo della pace e la prassi della
nonviolenza».
Il Consiglio nazionale di Pax Christi
5 dicembre 2003