GIORNATA MONDIALE DELLA
PACE
LA VERITÀ AD ALTA VOCE
Di fronte alla situazione attuale, non basta guardare
l’apparenza e la scorza esteriore dei fatti. È necessaria una lettura dei segni
dei tempi che ci consenta di parlare ad alta voce annunciando la verità per il
presente e indicando le strade
da percorrere nel futuro.
A quarant’anni dalla Pacem
in terris è difficile riuscire a definire quale insegnamento di
quell’importante enciclica sia realmente entrato nella prassi pastorale
ecclesiale e quale sia stato posto in pratica dagli uomini di buona volontà cui
pure Giovanni XXIII si rivolgeva.
Sicuramente quel
prestigioso documento è stato guardato con simpatia e apprezzamento anche fuori
della Chiesa e continua per moltissima gente a restare un punto di riferimento
essenziale nella riflessione sul tema e sul valore della pace. Se tentassimo un
bilancio ci renderemmo conto che purtroppo il quadro di riferimento, armonioso
e ispirato, che quel papa aveva tracciato è lungi dall’essere realmente posto
in pratica nella realtà. Ce lo dicono quotidianamente e con tutta evidenza le
guerre che si combattono in tante parti del mondo e che il più delle volte non
sembrano meritare nemmeno l’attenzione del mondo dell’informazione. Nonostante
ciò, ritengo che tra le intuizioni più felici della Pacem in terris vi sia la
riscoperta della categoria evangelica dei “segni dei tempi”.
La Pacem in terris è un
manuale esemplare per l’addestramento a cogliere e usare i segni dei tempi, al
taking advantage from the opportunities. Con grande umiltà, noi dovremmo
provare a usare il manuale, convinti che i segni dei tempi sono talenti di cui
la Provvidenza divina, con la collaborazione intelligente e ispirata di
singoli, dota la storia; talenti che, una volta inseminati, interpellano la
responsabilità e la capacità di tutti di scoprirli e farli fruttare. Come i
semafori agli incroci delle strade, così i segni dei tempi lanciano messaggi di
urgenza, di tempi stretti, che devono essere colti con quanta più prontezza e
puntualità possibile. Quella dei segni dei tempi è una tecnica che capta e
traduce pedagogicamente il profetico, che allena all’uso del discernimento e
della progettualità, con forte orientamento all’azione. Dico fin d’ora che il
lampeggiare dei segni dei tempi che più da vicino interessano il tema della
pace continua persistente, oso aggiungere che la pazienza della Provvidenza non
può non essere intesa come un supplemento veramente straordinario di fiducia e
di amore per i membri della famiglia umana, soprattutto per i più deboli fra di
essi, in un momento particolarmente cruciale della storia quale quello della
transizione della politica dalla Realpolitik alla pratica dell’etica
universale.1
L’invito del papa sembra
indicare di non limitarsi a guardare l’apparenza e la scorza esteriore dei
fatti, ma di coglierne la filigrana, l’anima, il significato intimo che li
attraversa e provare a trarne un’indicazione valida per il presente e il
futuro. A me pare che quando la teologia insegna che la profezia (accanto al
sacerdozio e alla regalità) sono patrimonio diffuso e comune a tutto il popolo
cristiano ricevuto come dono nel battesimo, voglia indicare esattamente
l’esercizio di questa lettura dei segni dei tempi che ci consente di parlare ad
alta voce annunciando la verità per il presente e indicando le strade da
percorrere nel futuro.
SEGNI DEI TEMPI
DA LEGGERE
Tra i segni sicuramente più
importanti e dolenti della nostra epoca vi è quello drammatico del terrorismo.
È stato talmente analizzato in tutti i suoi aspetti religiosi e politici,
sociali ed etnici, che non varrebbe la pena dilungarsi eccessivamente. D’altra
parte però resto convinto che la comunità credente deve avere il coraggio e la
lucidità di comprendere sempre più in profondità questo fenomeno per diversi
motivi. Innanzitutto esso trae ispirazione e motivo da una visione religiosa.
Impazzita, fanatica, sprezzante della vita umana, ma comunque un’idea
religiosa. Sappiamo anche che l’interpretazione dell’islam che sottende
l’azione terrorista è quella del fondamentalismo nella sua forma più tragica e
deteriore.
Ora, noi tutti sappiamo che
il fondamentalismo è un virus che non si identifica con una sola tradizione
religiosa. Ahimè quella tentazione è purtroppo molto presente in ogni
espressione religiosa e attecchisce lì dove trova un contesto socio-religioso
particolarmente favorevole al suo proliferare. Pertanto il secondo motivo per
cui dobbiamo leggere il segno del terrorismo è che nemmeno noi cristiani siamo
immuni da una piaga come quella del fondamentalismo e ne conosciamo anche i
tragici effetti. Esso è il frutto marcio di una fede impazzita ed esasperata.
Per ultimo dobbiamo guardare al terrorismo come segno dei tempi perché abbiamo
imparato che se anche il terrorismo non è causato dalla miseria – alcuni dei suoi
principali artefici appartengono alle classi più agiate del mondo arabo – esso
si nutre della miseria, della disperazione, della ingiusta distribuzione dei
beni sulla terra. Un’ingiustizia economica che miete ogni giorno un numero di
vittime talmente alto da non poter essere nemmeno lontanamente paragonato ai
morti a causa del terrorismo.
Per tutto quel che abbiamo
soltanto appena accennato del terrorismo dovremmo essere molto più attenti a
guardarlo dalle radici e non soltanto per i suoi drammatici frutti di morte.
Nella misura in cui saremo capaci di compiere questa operazione comprenderemo
che il terrorismo ci interpella e non ci lascia soltanto spettatori di un
qualcosa che si consuma totalmente al di fuori di noi. Nella misura in cui
comprenderemo i significati del terrorismo, saremo in grado di vigilare anche
all’interno delle nostre comunità e confessioni religiose e soprattutto di
prendere (o continuare) a dialogare con il mondo islamico così composito e così
complesso. Anche a questo ha voluto riferirsi in modo assolutamente esplicito
papa Giovanni Paolo II, quando inaugurando il tempo di Avvento ha detto: «La
pace nei cuori si costruisce deponendo le armi del rancore, della vendetta e di
ogni forma di egoismo. Ha grande bisogno di questa pace il mondo! Penso in modo
speciale con profondo dolore agli ultimi episodi di violenza in Medio Oriente e
nel continente africano, come pure a quelli che la cronaca quotidiana registra
in tante altre parti della terra. Rinnovo il mio appello ai responsabili delle
grandi religioni: uniamo le forze nel predicare la non-violenza, il perdono e
la riconciliazione! “Beati i miti, perché erediteranno la terra”» (Mt 5,5).2
Non ho memoria che Giovanni
Paolo II avesse adoperato altre volte la categoria della nonviolenza, ma
sicuramente questa scelta non è stata casuale. Il Santo Padre, avvalendosi di
un osservatorio particolarissimamente privilegiato tanto da essere unico, comprende
quali e quanti rischi si nascondano dietro una visione religiosa che non sia
capace di escludere totalmente, assolutamente il ricorso alla violenza e,
ancora peggio, arrivi a incoraggiarne l’uso, a esaltarne il disprezzo della
vita umana.
Sembra ormai chiaro e
inequivocabile a tutti, che i richiami e la predicazione sul tema della pace da
parte di Giovanni Paolo II escluda il ricorso all’uso della forza anche quando
questa viene contrapposta col nome della guerra (con tutte le varie aggettivazioni)
al terrorismo. Anche quando la guerra è presentata come lo strumento necessario
(inevitabile) per opporsi ad un male peggiore. Anche quando i danni che la
guerra – questa volta sì inevitabilmente – causerebbe sono presentati come
collaterali o casuali. Il magistero di Giovanni Paolo II suggerisce di
riformulare in maniera organica e completa una riflessione sulla pace e sulla
guerra a quarant’anni dalla Pacem in terris.
PAROLE
INASCOLTATE
Qualcuno ha avanzato l’idea
di convocare un concilio mondiale ecumenico sulla pace. Prima di tanti altri
Giovanni Paolo II aveva intuito i danni irreparabili che un intervento armato
in Iraq avrebbe causato: «Di fronte alle tremende conseguenze che un’operazione
militare internazionale avrebbe per le popolazioni dell’Iraq e per l’equilibrio
dell’intera regione del Medio Oriente, già tanto provata, nonché per gli
estremismi che potrebbero derivarne –
dico a tutti: c’è ancora tempo per negoziare; c’è ancora spazio per la
pace; non è mai troppo tardi per comprendersi e per continuare a trattare».3
Purtroppo quelle parole
sono rimaste inascoltate e oggi ci ritroviamo a contare un numero ancora
maggiore di vittime del terrorismo non solo tra i militari che hanno
partecipato alle operazioni militari in terra irachena, ma anche in tante altre
parti del mondo.
La guerra – pertanto – è il
secondo segno dei tempi che vorrei proporre all’attenzione, alla riflessione e
alla preghiera dei credenti. È interessante notare che nell’unico passaggio in
cui la Pacem in terris fornisce una valutazione sulla guerra, non ricava
l’insegnamento dalla dottrina cattolica, non riferisce alcun insegnamento
morale e nemmeno cita un passo del Vangelo. Sembra considerare superfluo
avvalorare il rifiuto della guerra alla luce dei valori cristiani. Egli
presenta il rigetto dell’uso della forza alla luce di ragionamenti
assolutamente condivisibili perché esclusivamente umani, razionali, e perviene
alla famosa condanna: Alienum est a ratione,4 ovvero «è assolutamente estraneo
alla ragione». Don Tonino Bello traduceva dicendo: «È roba da manicomio!».
Oggi la guerra si rivela
come uno strumento obsoleto e inefficace in quanto pretende di risolvere o
arginare la violenza del terrorismo affrontandolo sul medesimo terreno della
violenza, ovvero col suo stesso linguaggio. Sappiamo bene purtroppo che proprio
il terreno dell’uso della forza è quello più congeniale al terrorismo che, al
contrario, rimarrebbe “spiazzato” di fronte ad un’apertura di credito del
dialogo e della cooperazione, dell’amicizia tra i popoli e della ricerca
comune.
LETTERA
DI PAX CHRISTI
In questo senso Pax Christi
ha inteso indirizzare una lettera aperta ai credenti e alle comunità cristiane
cui rivolge un accorato appello a partire dall’invito di Giovanni Paolo II a
«predicare la nonviolenza, il perdono e la riconciliazione». Mi pare importante
e molto opportuno invitare a leggere quella lettera che i lettori potranno
trovare nel fuoritesto annesso.5
Nelle parole del Consiglio
Nazionale di Pax Christi a mio avviso vi è un tentativo riuscito di lettura dei
segni dei tempi a partire dal Vangelo di Gesù Cristo. Questo sforzo deve
vederci tutti concordemente vigili affinché le chiese cristiane siano in grado
di annunziare senza tentennamenti e sconti sulla verità il Vangelo della pace.
La vigilanza nasce dal fatto che la pace appare ogni giorno di più “parola
multiuso” per giustificare persino la guerra se non il terrorismo. Siamo
chiamati a vigilare su questo perché non si possono desumere altre prassi dal
Vangelo dell’amore verso i nemici e della croce se non quella della nonviolenza
attiva. La cattedra difficile del calvario è il segno della debolezza che mette
in gioco la propria e non l’altrui vita pur di realizzare la volontà del Padre
che non risiede nella violenza e nel potere. Personalmente sono consapevole che
una tale sensibilità sia diffusa in molti istituti religiosi, comunità parrocchiali
e pastori. Purtroppo avviene che non sempre essa venga testimoniata con quella
parresìa tipica dei primi tempi della chiesa. Soprattutto da parte dei vescovi
ci aspetteremmo parole più chiare in questa direzione, appelli che non
richiedano particolari sforzi esegetici e che secondo il Vangelo siano capaci
di dire: sì sì, no no.
Tonio Dell’Olio
coordinatore nazionale di Pax
Christi
1 A. Papisca, La pace e il
mondo: il metodo dei segni dei tempi, relazione tenuta a Bergamo il 23 ottobre
2003 nel corso del convegno: Pacem in terris: impegno permanente. Le comunità
cristiane protagoniste di segni e gesti di pace.
2 Giovanni Paolo II,
Angelus, 30.11.2003.
3 Giovanni Paolo II,
Angelus, 16.03.2003.
4 Giovanni XXIII, Pacem in
terris, n. 67 (nella versione in lingua latina).
5 La lettera si può leggere
per intero nel sito: www.paxchristi.it