DEPRESSIONE E VUOTO ESISTENZIALE

LA PAURA DEL MALE OSCURO

 

Per guarire dalla depressione non basta trovare una formula terapeutica giusta o un farmaco miracoloso. Bisogna anche proporre nuove vie perché si costruisca la propria personalità coltivando la vita spirituale, fondamento di un’esistenza matura.

 

La depressione nel suo significato pastorale e nelle sue ripercussioni sociali ed esistenziali: è il tema su cui hanno riflettuto vari studiosi presenti alla 18a Conferenza internazionale del Pontificio Consiglio per la pastorale della salute, tenutasi a Roma dal 13 al 15 novembre scorso.

Nel messaggio di apertura ai lavori il papa ha sottolineato l’ampiezza di tale fenomeno, specificando che si tratta di «una malattia che si accompagna spesso a una crisi esistenziale e spirituale, che conduce a non percepire più il senso del vivere».

In un tempo come il nostro, in cui le crescenti aspettative per un benessere generalizzato sembrano arenarsi dinanzi alla precarietà della società globalizzata, la depressione sta assumendo la forma di un male sociale che riflette le profonde insoddisfazioni dell’uomo moderno. Una delle condizioni che predispongono psicologicamente gli esseri umani alla depressione è data proprio dal divario tra le aspettative e le condizioni reali in cui le persone si trovano a vivere. Ci si sente disperati non tanto quando una situazione è obiettivamente brutta, ma quando si rinuncia alla speranza. Per dirla con le parole del dottor Cervera nel suo contributo alla Conferenza: «Nella depressione come stato patologico si perde la soddisfazione di vivere, la capacità di speranza e di recuperare il benessere».

 

Quando ci si chiede perché tale male si sta così ampiamente diffondendo nella nostra società moderna, la risposta continua a risiedere nel valore e nel significato che viene attribuito alla vita umana. «La verità», ha affermato lo psichiatra Megglé nel suo intervento, «è che viviamo come matti.

Un’occhiata ai tanti cambiamenti della società negli ultimi decenni di diffusione dell’epidemia depressiva ci permette di renderci conto che la forma moderna di depressione è una depressione da privazione del senso esistenziale, una “depressione noogena”: una società che sostituisce sistematicamente l’essere con l’avere fabbrica necessariamente dei depressi in serie».

 

DALLA MALINCONIA

ALLA DEPRESSIONE

 

Quando parliamo di depressione non ci riferiamo soltanto e unicamente a una sindrome patologica della salute mentale. Essa può anche avere un significato più gene­rico ed estensivo che comprende uno stato d’animo di scoraggiamento e tristezza, quando ci sentiamo “giù di corda”, fiacchi o scoraggiati più del solito. In questo caso, ci si riferisce soprattutto a uno stato di malinconia che non è normale, ma non per questo possiamo dire di essere realmente affetti da depres­sione.

La depressione come alterazione dello stato dell’umore ha caratteristiche più marcate e qualitativamente diverse rispetto al comune scoraggiamento o al cattivo umore. Inoltre, è una condizione mentale che dura più a lungo ed è più pervasiva e destabilizzante nello stile di vita della persona. Questo non significa che si tratti sempre di un disturbo grave: vi possono essere stati depressivi non gravi, lievi, striscianti, apparentemente trascurabili; e però anch’essi possono legittimamente venir considerati, tutte le volte che hanno certe caratteristiche, come una condizione non sana della mente, e quindi come qualcosa che vale la pena di provare a curare.

Anche la tristezza non può essere confusa con l’alterazione mentale generata dalla depressione. Si può essere molto tristi, e persino estrema­mente tristi, per seri e comprensibili motivi. Le condizioni normali di marcata sofferenza depressiva sono in genere delle reazioni a eventi di vita molto sfavorevoli. A ognuno di noi può essere capitato, dopo certi fatti, di sentirsi per ore e magari per giorni “giù di corda” o di aver “toccato il fondo”. In genere, però, c’è un motivo per essere così affranti: per esempio una seria umiliazione, oppure un insuccesso inatteso e mortificante, o la fine brusca di un rapporto d’amore, o un lutto. Dunque, se uno è molto triste, è perché è successo qual­cosa di grave. E in genere uno sa perché è molto triste, e magari lo sanno anche i suoi parenti e conoscenti più intimi.

Normalmente esiste un rapporto comprensibile fra stati d’animo come questi, sia pure dolorosi, magari dolorosissimi, e gli eventi che li hanno provocati. La più tipica sofferenza depressiva normale è la malinconia che consegue a una perdita grave e drammatica, come la morte di una persona cara. Un lutto o una perdita, dunque, possono anche assumere un signi­ficato particolare, e dare problemi: ma non è detto che per questo si trasformino in depressione patologica. Il falli­mento di un progetto di vita, o un evento traumatico possono mettere in crisi, e anche in modo serio: ma questo è normale, senza per questo scatenare una reazione depressiva così intensa e durevole da essere sproporzionata agli eventi.

 

LE FLUTTUAZIONI

DEL NOSTRO UMORE

 

La depressione può essere definita come un disturbo dello stato dell’umore, o meglio del tono dell’umore. In effetti ognuno di noi ha in ogni momento un dato stato o tono dell’umore. Per esempio possiamo essere di buon umore, oppure di cattivo umore. Si tratta di una disposizione che abbiamo nella nostra personale esperienza. Per esempio, un membro della famiglia può essere, a seconda dei momenti, ottimista, e con ciò anche fiducioso di sé, intra­prendente, comunicativo, desideroso di imporsi, e magari per­sino un po’ aggressivo; oppure, al contra­rio, può sentirsi più pessimista, più insicuro, e magari un po’ disposto a farsi proteggere.

Di solito queste normali fluttuazioni del tono dell’umore non sono marcate e durature: alcuni di noi non ci badano affatto, altri però le avvertono con insoffe­renza. In molti casi esse sono legate a contrarietà varie, stan­chezza, frustrazioni, stress che si sono accumulati nelle ore o nei giorni; altre volte, però, è difficile rintracciarne l’origine.

I familiari o le persone che ci stanno vicino spesso si rendono conto di un certo umore meglio e prima della persona interessata: il marito che torna a cena dopo una normale giornata di lavoro può ignorare di che umore è, ma la moglie se ne accorge dopo poco che egli ha messo piede in casa. Come pure in una comunità religiosa, le persone possono accorgersi che il confratello è “particolarmente giù”, parla poco, tende a rinchiudersi in se stesso, anche se lui non è pienamente consapevole del modo con cui manifesta il suo stato d’animo.

 

LA DEPRESSIONE

COME SITUAZIONE PATOLOGICA

 

Le osservazioni a cui ci siamo ora richiamati, riguardanti la nostra vita quotidiana, non ci spiegano cos’è la depressione patologica ma ci aiutano però a capirla. La vera depres­sione, come disturbo psichico, è meno legata a eventi di vita, dura nel tempo e non è dovuta a un’unica causa, ma al concorrere di cause diverse. Come ha affermato Cervera nel suo intervento durante la Conferenza di Roma, la depressione intacca diversi ambiti della struttura della persona. Essa infatti «si accompagna a delle manifestazioni cliniche nella sfera intrapsichica (tristezza, perdita di interesse, apatia, mancanza di speranza), nella sfera cognitiva (diminuzione della capacità di concentrazione, indecisione, pessimismo, desiderio di morte), in quella dell’attività psicomotoria (inibizione, lentezza, difficoltà di comunicazione o inquietudine, impazienza e iperattività), come pure nelle manifestazioni somatiche (insonnia, alterazioni dell’appetito e del peso del corpo, diminuzione del desiderio sessuale, perdita di energia, stanchezza)».

In chi è depresso ecco che giorni e mesi di paralizzante malinconia compaiono e perdurano senza motivo apparente; oppure il lutto per la per­dita di una persona cara si prolunga oltre l’ordinario, e chi ne è colpito non riesce a risollevarsi col passare delle settimane e neppure dopo uno, due, tre e più mesi. In questi casi è lecito ritenere che qualcosa di anormale si stia producendo nella mente e nella vita della persona e non è in un rapporto proporzionato rispetto agli eventi di vita, anche quando questi ultimi sono stati molto duri e negativi.

 

In una condizione di lutto persistono, malgrado la tristezza e la prostrazione, risorse e desideri che invece sono perduti nella vera depressione. Di solito chi ha perso una persona cara ha facilità al pianto, ma ha anche il desiderio di risollevarsi e non esclude a priori di poter trovare altri motivi per continuare a vivere; dopo qualche tempo desidera tornare, seppure con fatica, alle sue normali attività e impegni fami­liari e sociali; ritiene che tutto sommato l’esistenza valga la pena di esser vissuta, magari con fatica.

Invece la persona depressa non ha desideri e non prova piacere in nulla, neppure in ciò che era un’attività piacevole, o le era occasionale fonte di piccole gioie. A differenza di chi è prostrato e triste per dei motivi ben specifici, la persona depressa non vede alcun valido motivo, né dentro di sé, né fuori di sé, per risollevarsi dal suo stato, che tende a ritenere ineluttabile, definitivo, e persino giusto; si considera profondamente incapace ma anche immeritevole di vivere, priva di qualità morali e intellettuali, e magari in colpa per le sofferenze che procura negli altri; ritiene di aver finalmente capito che il mondo è veramente orribile, grigio e vuoto, e comunque non ritiene ci si possa fare nulla; non crede che questo suo stato d’animo possa minimamente cambiare in futuro; ha tendenza a non considerarsi affetta da un disturbo, ma al contrario crede di essere realisticamente consapevole che le cose sono irrimediabilmente grigie, così come le vede lei, fino ad arrivare a una tranquilla accettazione di questa catastrofe. Infatti la sua sofferenza è intensissima, e questo insieme alla con­vinzione di non poterne mai uscire è uno dei motivi che le fanno desiderare la morte. Paradossalmente, uno dei fattori che sospingono la persona depressa verso l’idea del suicidio è la ferma convin­zione che i familiari saranno molto più felici una volta liberatisi della sua presenza.

 

VERSO UNA GUARIGIONE

INTEGRALE

 

A tutte queste sensazioni si associano anche alcuni sintomi psico-fisici: la sensazione di profonda fatica; l’insonnia o, al contrario, un sonno eccessivo; un atteggiamento chiuso, cupo e taciturno; una lentezza nell’eloquio e spesso nei movimenti; inappetenza, stitichezza, per­dita del desiderio sessuale. Con tutti questi sintomi la persona si sente ansiosa e incapace di reagire per far fronte alle incombenze più ordinarie, fino a restare imprigionata nell’estrema angoscia senza che nulla porti sollievo, e questo fa della depres­sione una condizione oscura e inspiegabile di sofferenza interiore.

 

Gli studiosi intervenuti al convegno di Roma si sono trovati d’accordo nel confermare che per guarire dalla depressione non basta trovare una formula terapeutica giusta o un farmaco miracoloso. Infatti per curare una persona depressa occorre sanare le ferite profonde che la persona si porta dentro e che riguardano sia l’aspetto psico-fisico che la dimensione religiosa della sua vita. Già il santo padre, nel messaggio di saluto ai partecipanti alla Conferenza aveva detto con estrema chiarezza che «la depressione è sempre una prova spirituale». Per cui, insieme con i giusti farmaci o con le adeguate psicoterapie è importante avere il coraggio di «proporre nuove vie, perché ciascuno possa costruire la propria personalità coltivando la vita spirituale, fondamento di un’esistenza matura». Come a dire che la guarigione da un male misterioso e oscuro qual è la depressione deve passare attraverso una guarigione integrale della persona, nella sua dimensione psicologica ma anche nella sua dimensione spirituale e religiosa.

E allora sorge spontanea la domanda che padre Anatrella ha posto nel suo intervento: «Come rendere particolarmente presente questa dimensione spirituale, a partire dalla quale la persona può costituire e rinforzare la sua vita psichica interiore?». La risposta che egli propone, nel contesto di una concezione di uomo aperto al trascendente, va nella direzione della “riscoperta di senso”: soltanto la riscoperta del significato unico, nuovo e profondo che la vita ha per ogni persona, permetterà a chi è prostrato dalla depressione a ritrovare un valore nella propria vita.

Ciò significa che per uscire dalla sensazione di vuoto esistenziale che attanaglia chi è depresso non basta prodigarsi perché torni a fare le cose che faceva prima, ma occorre che l’individuo sia aiutato a riscoprire una “dimensione-altra”, qualcosa fuori di sé, o meglio Qualcuno fuori di sé in cui trova la vera forza di guarigione. E questo avviene attraverso un rinnovato rapporto con se stesso, con gli altri, con il creato, con Dio, per ritornare ad amare la vita come dono divino.

 

Crea Giuseppe, mccj