UNA QUESTIONE SEMPRE ATTUALE

IDENTITÀ E SCOPO DELLA VC

 

Negli Stati Uniti la vita consacrata ha affrontato negli ultimi decenni una serie di sfide che l’hanno messa a dura prova. Anche tra i religiosi è sorto il dubbio radicale sul suo significato oggi.

Un interrogativo provocatorio che risuona per tutto il mondo occidentale.

 

Durante l’assemblea annuale della Conferenza americana dei superiori maggiori (8 agosto 2003, Louisville, Kentuky), fratel Séan Sammon, superiore generale dei Fratelli maristi, ha tenuto una relazione su un punto cruciale della vita consacrata: la sua identità e il suo scopo.1

A partire dal ruolo profetico tipico dei consacrati, «chiamati a essere memoria vivente della Chiesa, ricordandole costantemente la natura della sua identità», fr. Sammon osserva la situazione della vita consacrata nordamericana e va subito al nocciolo del problema, alla domanda fondamentale di fede e di identità: «su chi o su che cosa abbiamo stabilito il nostro cuore?».

 

COSA INTENDIAMO

CON IDENTITÀ?

 

Negli Stati uniti la vita consacrata vive, da un punto di vista antropologico, un rito di passaggio culturale: è passata da un periodo «benedetto e pesante insieme», a un tempo «ricco di attività carismatica e antistrutturale, anch’esso tumultuoso e confuso». Entrambi i periodi hanno avuto un ruolo importante, poiché hanno condotto i consacrati a «riscoprire alcuni dei sogni che da sempre hanno costituito il cuore della vita consacrata».

Oggi, per la vita religiosa nordamericana, le sfide continuano a rimanere «formidabili e complesse». Secondo fr. Sammon «il lavoro che sta davanti ci chiederà nientemeno di quanto ha chiesto per giungere fin qui: menti aperte, volontà di abbandonare punti di vista ideologici che dividono e una gran quantità di sacrificio».

Ma che cosa significa il concetto di identità? Le molteplici definizioni della vita consacrata, attualmente in circolazione, sono davvero utili per comprenderla? Dire che i consacrati «professano di vivere la buona notizia di Gesù Cristo in modo radicale» che cosa significa concretamente in un paese dalle molteplici culture e tradizioni? In una recente inchiesta condotta nel mondo giovanile statunitense, il 57% dei giovani era dell’avviso che religiosi e religiose vivevano allo stesso livello di convenienza della classe medio-borghese.

C’è un disorientamento nella vita consacrata, dai tempi del concilio, che non è riconducibile semplicisticamente «alla apparente mancanza di vocazioni». La crisi fondamentale della vita consacrata negli ultimi quarant’anni, secondo fr. Sammon, è stata «di significato e spiritualità, due aree che contribuiscono significativamente all’identità del nostro modo di vivere».

Riconosciuta questa situazione problematica, ciò che aiuta realmente a prendersela a cuore e iniziare a risolverla «è cominciare con semplicità e disinvoltura a essere se stessi ancora una volta». Il che comporta «in primo luogo, agire come autentici leader religiosi; secondo, accogliere i giovani che chiedono di entrare, per quanto pochi possano essere attualmente, e apprendere nel frattempo tutto il possibile sul loro mondo, con i tipici sogni e speranze; e infine accettare il fatto che il rinnovamento attuale della vita consacrata giungerà solamente come risultato di una rivoluzione del cuore nella vita di ciascuno di noi».

 

CENTRALITÀ

DELLA MISSIONE

 

La missione non è solo una delle tante attività della Chiesa: «essa costituisce il suo vero essere».

Gesù venne a portare la vita; la vita religiosa deve essere la memoria vivente della Chiesa di questo fatto. Ed essa realizza questa missione «richiamando gli interventi salvifici di Dio nel passato, il bisogno per tutti di un cambiamento del cuore e la responsabilità di ognuno di costruire la comunità umana ora e nei giorni avvenire in accordo con le promesse di Dio».

La corsa al sepolcro degli apostoli Giovanni e Pietro è, per fr. Sammon, un’immagine del ruolo della vita consacrata nella Chiesa: «essa deve correre avanti alla Chiesa ma per aspettare, quando necessario, affinché questo corpo più vasto la raggiunga». Con la professione dei voti ci si impegna a testimoniare la missione di Cristo in modo rivoluzionario: «con parole e fatti ricordiamo costantemente alla Chiesa la natura della sua identità», aiutandola a ricordare che cosa spera di essere e che cosa deve essere. Ciò costituisce il ruolo profetico della vita consacrata.

«Ma siamo onesti. Non possiamo dare ciò che non abbiamo». Come possiamo dare suggerimenti agli altri senza cercare di viverli per primi? La Chiesa ha combattuto in molte parti del mondo, nell’ultimo mezzo secolo, cercando di scrollarsi di dosso le trappole storiche che hanno intralciato la proclamazione della parola di Dio in maniera comprensibile agli uomini e donne del nostro tempo. Lo stesso coraggio devono avere i consacrati nell’affrontare i problemi che oggi agitano i loro istituti.

Ciò non sarà possibile «se falliamo nel trovare risposte pure e coerenti a queste due domande: chi siamo e che cosa ci sta a cuore? E, di conseguenza, manchiamo la nostra opportunità di formare una identità fresca e convincente per il nostro istituto? Corriamo il rischio di andare avanti senza meta piuttosto che con un obiettivo e passione. D’altra parte, un’identità ben conosciuta, espressa e accettata ci farebbe diventare più gruppo, galvanizzerebbe le nostre energie e favorirebbe il nostro rinnovato impegno».

Gli USA sono molto cambiati in questi ultimi anni, afferma fr. Sammon. E la vita religiosa? Anche solo dieci anni fa, secondo fr. Sammon, «molti religiosi credevano di avere volontà e mezzi necessari per fare ciò che era necessario per dare continuità alla vita consacrata e alla sua missione nel paese». Ma oggi «con più del 50% delle religiose sopra i 70 anni; con una sorta di crisi della leadership episcopale che fa sentire molti fedeli smarriti e arrabbiati, e con molte delle nostre case quasi vuote e più occupate nei funerali che nelle celebrazioni di professioni perpetue, confesso che mi chiedo se questo senso di fiducia in noi stessi e nel futuro della nostra scelta di vita e della sua missione non stia crollando velocemente come i nostri numeri». In linea con il commento finale degli autori di uno studio sulla vita consacrata di una decina di anni fa, fr. Sammon commenta: «senza un cambio significativo, la vita religiosa negli Stati Uniti continuerà a declinare e, fatto più importante, coloro che hanno bisogno dell’aiuto di questi istituti rimarranno senza cura».

 

IL RUOLO

DELLA LEADERSHIP

 

La chiesa americana è sfidata da un interrogativo bruciante: stiamo uccidendo i nostri leader? A parere di molti il servizio dell’autorità, fin dal passato molto esigente, nel mondo complesso di oggi pone sulle spalle delle persone un peso insopportabile. Raccontava a fr. Sammon un superiore provinciale: «Ci si aspetta che io sia un mago della finanza, un avvocato commercialista, civile, criminale e canonico, un programmatore a lungo termine e il migliore amico di tutti… qualunque cosa ma non un ministro della parola di Dio!».

Per i leader delle nostre congregazioni sono necessarie soprattutto tre qualità: «Primo, la capacità di mantenere viva la visione che ha ispirato il gruppo agli inizi». È la visione caratterizzante del carisma di fondazione. «Secondo: i leader della Chiesa oggi devono avere la capacità di dire la verità. Non significa che il leader deve tutta la verità di una certa situazione, ma che deve essere capace di chiamare gli eventi, le esperienze e i diversi punti di vista con il giusto nome, e rendersi conto che la genuina carità significa essere onesti con gli altri. Non dire la verità alle persone significa fare i paternalisti, trattarle come bambini. Terzo, ogni leader nella Chiesa degno di questo nome deve essere un segno di speranza».

Per un rinnovamento della vita religiosa negli Stati Uniti, dice fr. Sammon, è necessario occuparsi di tre aree: «l’attuale costituzione intergenerazionale delle congregazioni religiose statunitensi, la natura della persona religiosa e le caratteristiche centrali del nostro modo di vivere».

Tre generazioni distinte

Molti istituti americani comprendono oggi tre diverse e distinte generazioni, ciascuna con una propria esperienza della Chiesa e del mondo. Se non si riconosce questo fatto si va incontro a deplorevoli incomprensioni e a un’imprecisa lettura dei segni dei tempi.

La generazione più anziana delle tre ricorda uno stile di vita quale era prima dello scossone sopraggiunto con i cambiamenti del Vaticano II, ed è composta da persone che hanno vissuto per molti anni una forma di vita altamente strutturata.

Il secondo gruppo è giunto alla maturità quando Giovanni XXIII iniziò l’aggiornamento che sfociò nel concilio. Molte persone di questa generazione si sono immerse nella modernità, mettendo da parte certi privilegi, simboli e modi di vivere che li separavano dal popolo di Dio. Così tradizionali abitudini e modi di vivere in comunità cominciarono a cambiare, e molte cose familiari iniziarono a scomparire. Questo gruppo, con le sue scelte, ha aperto un importante periodo di ricerca del significato della vita religiosa.

Ma le domande di rinnovamento del 2003 non sono le stesse del 1960. Il concilio Vaticano II è storia di altri. Il loro punto di riferimento sono gli anni 1980 e 1990, non i 1960.

«Oggi una nuova generazione guarda alla vita religiosa e ai nostri istituti, e molti vengono da mondi che sono estranei a molti di noi sopra i cinquant’anni». Sempre più spesso questi giovani giungono a noi privi di una forte identità cattolica. Sono i germogli di quel periodo chiamato modernità.

«Unendosi a noi, molti di essi insistono per avere alcuni segni chiari che li qualifichino come membri di una congregazione religiosa». I giovani di oggi giungono non solo da un mondo diverso dal nostro, ma «giungono in una vita religiosa che è cambiata drammaticamente da quando noi siamo entrati in formazione. Molti di noi hanno avuto il sostegno del numero. La maggior parte dei giovani che entrano oggi nella vita religiosa non possono fare affidamento sulla presenza di compagni che li aiutino a sostenere e a maturare nelle loro decisioni. E si preoccupano di chi potrà sostenerli nel vivere la loro vocazione nel tempo».

La natura di una persona religiosa

La crisi di rinnovamento che stanno vivendo la Chiesa e gli istituti religiosi non può essere vissuta tentando di restaurare il passato. Il futuro appartiene a coloro che l’affrontano nel modo in cui l’hanno affrontata i nostri fondatori.

Il cammino di rinnovamento, puntualizza fr. Sammon, richiede il coraggio di rispondere a tre sfide: «iniziare un profondo cambiamento del cuore col rinnovamento della propria vita di fede, che conduce a centrarsi maggiormente in Gesù Cristo; riscoprire il carisma di fondazione del proprio istituto, non ostacolati dalle trappole storiche; giungere a una trasformante risposta ai segni dei tempi».

Bernard Lonergan ci ricorda che realizzare un profondo cambiamento del cuore equivale a «un innamoramento ultramondano. È una totale e permanente resa senza condizioni, limitazioni, riserve». Ma chi tra noi è capace di intraprendere una tale conversione del cuore, un tale innamoramento? Secondo fr. Sammon è la sfida di oggi: «accettare l’amore incondizionato di Dio e impegnare se stessi a vivere con passione, essere profondamente spirituali pienamente vivi allo stesso tempo. E magari scoprire quel fuoco – il desiderio ardente di Cristo – che è sempre stato dentro di noi».

Non esiste descrizione migliore di una persona in questa situazione di innamoramento della seguente: «profondamente spirituale e profondamente umana». È l’identità che più di ogni altra cosa deve segnare ogni persona nella vita religiosa oggi.

Vita comune, spiritualità e ministero

Questi tre aspetti fondanti sono presenti anche oggi nel processo di rinnovamento della vita religiosa. Molti giovani che guardano alla vita religiosa contemporanea non chiedono di fare del ministero con noi; ciò di cui hanno bisogno «è la vita comunitaria e un posto in cui poter crescere spiritualmente».

Fr. Sammon sottolinea che ogni comunità è imperfetta, per il semplice fatto che vi siamo noi, persone limitate e imperfette. Da qui ricava un paio di osservazioni: «è facile mettere in risalto gli aspetti meno attraenti della comunità. Com’è più difficile riconoscere che è l’essere chiamati insieme da Cristo che trasforma la nostra vita in comunità in un momento di grazia. E poi, le nostre comunità non sono famiglie e neppure centri perapeutici. Piuttosto sono gruppi di persone adulte che si sono raccolte insieme per vivere la buona notizia di Gesù».

Le comunità religiose dovrebbero essere conosciute anzitutto come centri di preghiera. «La prima impressione e piacevole memoria di chi ci visita dovrebbe essere quella di essere stato tra persone che pregano». Altrettanto, nelle nostre comunità «il perdono dovrebbe essere uno stile e la riconciliazione familiare. Io sono convinto che una vita comunitaria rinnovata attirerà i giovani. Certo, questo richiede fatica, un rinnovo quotidiano del mio impegno per il gruppo, ma ogni cosa che valga nella vita non richiede lo stesso? La ricompensa, però, può essere grande, sia per la missione dell’istituto come per le persone che compongono il gruppo».

In un periodo di incertezza come il nostro può essere attraente ritornare a modelli che hanno promosso il rinnovamento in altri periodi della storia. Ma ciò significherebbe perdere in vitalità e in fondo tradire il futuro. «Ciò che desideriamo in termini di rivitalizzazione per i nostri istituti e la loro missione non è ancora pienamente visibile. Scelte importanti circa la nostra identità e scopo stanno avanti a noi».

La possibilità di rimanere aperti al futuro nel compimento della nostra identità carismatica è fondata su quella che fr. Sammon considera la sfida di ogni tempo e di ogni istituto: essere “buone notizie” viventi. Perché «al cuore della nostra identità di religiosi/e, ora come in passato, deve esserci prima di tutto Gesù Cristo e la sua buona notizia».

 

E. B.

 

1 SAMMON Séan, The Identity and Purpose of Religious Life, Louisville, Ky., August 2003.