LA RELIGIONE DEGLI ITALIANI

 

Il dibattito sullo scontro di civiltà, la guerra in Iraq come mezzo per esportare la democrazia oltre che per estirpare il terrorismo, la questione del crocifisso nelle aule scolastiche, la discussione sull’assenza del riferimento alle «radici cristiane» nella bozza della Convenzione europea: aspetti diversi che pongono però in evidenza il nesso tra laicità delle istituzioni e religiosità intrinseca in una storia comune e una tradizione culturale. La rivista Il Mulino, sempre attenta a questa problematica, dedica la sezione monografica del numero 5/2003 (pp. 813 e ss.) alle trasformazioni del contesto religioso nel nostro paese. Il che implica l’approfondimento del ruolo e della presenza del cattolicesimo in Italia anche rispetto ad altre realtà europee (Franco Garelli), dei processi di cambiamento e modernizzazione che hanno coinvolto il mondo cattolico (Enzo Pace), dei delicati rapporti tra sfera laica, valori civili e religione (Gian Enrico Rusconi).

 

Il vantaggio religioso del caso italiano

 

Innanzitutto va analizzato il sentimento religioso e la presenza pubblica del cattolicesimo italiano. La Chiesa partecipa a pieno titolo alle vicende del paese, interviene su molte questioni decisive della convivenza societaria. Tale considerazione pubblica, oltre il livello del dibattito culturale, valorizza soprattutto il livello delle opere, in cui si offre un contributo fondamentale sia alla coesione sociale sia alla soluzione delle varie emergenze che la modernità porta con sé (l’impegno in alcuni campi di frontiera: lotta alla criminalità, ritorno alla legalità, moralità pubblica, questione immigrati). Gli ambienti ecclesiali dimostrano anche una buona capacità di intercettare le domande sociali emergenti, mentre i praticanti regolari sono minoranza. Certo emergono anche ambivalenze: l’impegno si indirizza più all’interno dei confini ecclesiali o in luoghi protetti (volontariato e terzo settore) che nella ricerca di nuove forme di presenza politica; il laicato cattolico si esprime più attraverso le opere sociali e i rapporti comunitari che nei luoghi in cui si forma l’opinione pubblica; la gerarchia gioca sempre più un ruolo di primo piano nel dibattito pubblico anche se la sua voce è assai disattesa nel campo della morale sessuale e familiare.

In questo contesto la Chiesa – consapevole di un “vantaggio” accumulato nella storia e ancora vivo (rispetto ad altri paesi europei) – ha sempre operato per coltivare un cattolicesimo di popolo, nella convinzione che il sentimento religioso sia un tratto culturale di fondo e che le radici cristiane facciano parte della storia nazionale. Da qui la cura costante del sistema delle parrocchie, l’accesso generalizzato ai sacramenti, l’attenzione alla religiosità popolare, l’impegno di educazione-animazione dei giovani. In tal modo la Chiesa italiana ha preso le distanze dalle scelte di altre chiese nazionali, che hanno proposto un cristianesimo più purificato dalle emozioni, più ragionato e culturale. La forza del cattolicesimo italiano sembra individuabile nel suo carattere plurale (molti modi di vivere il sentimento religioso, molti gruppi e movimenti ecclesiali, eterogeneità delle formule pastorali con cui fa fronte ai bisogni socio-religiosi della gente sul territorio) e nell’approccio “affettivo” alla verità (ridefinizione dell’autorità, richiamo alla questione del senso, linguaggio della carità, comunicazione carismatica).

 

Identità cattolica e nuovo modo di essere chiesa

 

L’identità socio-culturale del nostro paese può dunque contare ancora su una risorsa di senso come il cattolicesimo, proprio in una fase in cui l’unità nazionale viene spesso messa in discussione e si rende sempre più visibile la presenza di altre religioni. La Chiesa sta oggi funzionando come un sistema simbolico capace di relazionarsi con un ambiente sociale differenziato, con modalità nuove. Infatti essa: a) si presenta come depositaria di valori largamente condivisi, in modo che l’identità nazionale degli italiani (anche se poco credenti e poco praticanti) trovi nel cattolicesimo il suo mito di fondazione; b) comunica autorevolezza non più secondo il codice della verità, ma in base a quello del carisma personale (quello del papa attuale); c) ricostruisce, con una comunicazione sempre più efficace, il senso dello stare in società e dell’appartenenza “romantica” alla Chiesa stessa; d) si afferma come custode della memoria collettiva e promotrice di una religione civile della nazione italiana.

In sintesi «la religione in Italia lascia immaginare unito ciò che nella realtà sociale è, al contrario, molto differenziato» (Pace). Siamo di fronte a un sentimento collettivo che riceve ossigeno, ancor oggi, dal respiro lungo della storia e che continua in parte a concentrarsi intorno a luoghi istituzionali quali le parrocchie (soprattutto nel centro-nord) e i santuari (nelle regioni meridionali). La parrocchia in particolare sembra però essere a volte più un luogo della mente che una realtà effettiva: rimane un riferimento anche se non la si frequenta per diverse ragioni.

 

Religione di chiesa e religione civile

 

Divisi per famiglie ideologiche (liberali, socialisti e cattolici; fascisti, comunisti e democristiani; leghisti, polisti e ulivisti) e nello stesso tempo alla rincorsa dell’unità nazionale – dall’emergere dello stato risorgimentale all’imporsi dello stato fascista, dal patto costituzionale dopo la seconda guerra mondiale alla guerra fredda ideologica interna, dagli anni di piombo del terrorismo nero e rosso al progetto di separazione etnica perseguito dalla Lega Nord –, gli italiani hanno trovato nel cattolicesimo ciò che può far immaginare unita una società altrimenti divisa, Extra ecclesia nulla natio, dunque, ma ognuno si salvi come può.

Nell’Italia modernizzata infatti la celebre formula liberale ottocentesca “libera chiesa in libero stato” si realizza nella variante “libera chiesa nel libero mercato” delle idee, dei valori e del pluralismo istituzionale.

La religione-di-chiesa in Italia sembra dunque più una supplenza di religione civile. Questo appare più chiaramente se ci si confronta col modello statunitense: nel discorso pubblico italiano è assente ogni accento religioso diretto (tipo quello biblico all’americana), mentre compare il riferimento al magistero. Non si cita Dio ma il papa, non la Bibbia ma le encicliche offrono l’eventuale fondamento religioso all’etica pubblica. Ciò comporta che mentre la Chiesa si dichiara interprete di valori comuni contemporaneamente spesso deve anche prendere posizioni nel confronto politico quando sono in gioco problemi di morale pubblica (famiglia, bioetica).

«Ci sono dei momenti in cui la religione-di-chiesa riesce effettivamente a interpretare sentimenti collettivi e altri in cui è apertamente partigiana» (Rusconi).

 

Il risultato è denso di contraddizioni e certamente diventa un impulso al ripensamento della laicità della cittadinanza democratica.

 

M.C.