SIGNORE, CHE IO AMI,MA
DI UN AMORE PIÙ ARDENTE
Preghiera del padre Abella, superiore generale dei clarettiani, per la festa di sant’Antonio Maria Claret, modulata su motivi tratti dall’autobiografia del fondatore.
Durante il primo mese
come superiore generale mi ha accompagnato questa preghiera che il fondatore
ripeteva di frequente: Credo, Domine, sed credam firmius; spero, Domine, sed
sperem securius; amo, Domine, sed amem ardentius; doleo, Domine, sed doleam
vehementius. Mi piace la sua semplicità.
Sentire la sofferenza
che ci procura la visione di un mondo che Dio ci ha consegnato affinché ne
avessimo cura e ne facessimo la casa comune di tutti, ma che invece abbiamo
trasformato in uno scenario di lotte e di ingiustizie laceranti. Sentire il
gemito della creazione che è ansiosa di sviluppare armoniosamente tutte le sue capacità per ospitare
degnamente il cammino dell’umanità, ma che invece è continuamente maltrattata.
Sentire la sofferenza
di Dio che soffre con la sofferenza dei suoi figli, dovuta, spesse volte, all’accaparramento
egoista da parte di qualcuno delle risorse che egli ha creato per tutti.
Sentire la sofferenza di tanti fratelli e sorelle a cui sono negati i diritti
più fondamentali, quella di molti popoli che vedono la loro dignità calpestata
in diversi modi. Sentire l’amarezza nel vedere la prepotenza degli oppressori i
quali, peraltro, vivono sempre con la paura di perdere una situazione di
privilegio che sentono fragile e minacciata perché costruita sull’ingiustizia e
la sofferenza degli altri.
Sentire tutto questo e
lasciarsene interpellare. Sì, doleo,
Domine, sed doleam vehementius, – sento dolore Signore, ma che lo senta ancor
più fortemente – a tal punto da non poter restare senza far niente, senza far
sì che qualcosa cambi e ogni cosa torni a ricuperare l’armonia delle origini.
Saper aprirsi
all’amore, che renda capaci di amare: aprirsi all’amore di Dio, all’amore del
prossimo, all’anima della creazione che ci fa sentire l’amore del Padre della
vita… e amare. Volere Dio come bene supremo e tutti i suoi figli e le sue
figlie come immagini sue. Amare la vita come dono incomparabile, come regalo
del Padre, superiore a qualsiasi altro. Amare Gesù che ci ha amato fino
all’estremo limite dando la sua vita affinché avessimo la vita. Amare il
popolo, la Chiesa, la nostra congregazione, la nostra comunità, quali spazi
concreti in cui Dio ci ha posto perché sviluppassimo questa capacità di amare
che ci rende simili a lui. Amare anche i nostri nemici, affinché questo amore
li inviti e aiuti noi stessi a ristabilire quella relazione in cui possiamo
sentirci veramente fratelli. Amare tutti i doni (vocazione, attitudini, ecc.)
che Dio ci ha concesso per contribuire alla realizzazione del suo progetto.
Amare di un amore
veemente che diventi passione per la giustizia e si esprima nell’impegno
concreto a fianco degli esclusi. Lasciarsi incendiare da questo amore che ha
riempito il cuore di Maria e che farà di noi uomini che “incendiano dovunque
passano, desiderano efficacemente e cercano con tutti i mezzi di incendiare il
mondo intero con il fuoco del divino amore”: Amo, Domine, sed amem ardentius –
che io ami, Signore, ma ami più ardentemente.
Credere con la fede
viva che “infiammò i profeti, gli apostoli e i martiri e che ha spinto molti
predicatori della divina Parola ad abbracciare con animo gioioso la povertà,
l’abnegazione e il sacrificio per dilatare il regno di Cristo”. Credere che il
progetto di Dio è sempre stabile e che vale la pena dare tutto per esso.
Credere, sapendo che ci insidia sempre il dubbio, che spesso altri valori
lottano dentro di noi per imporre la loro signoria e distoglierci dalle
esigenze di una sequela radicale del Signore della storia. Credere in Dio e nel
cammino che ha proposto a noi, a ciascuno e a tutti come comunità missionaria,
per unirci al cammino dell’umanità verso la pienezza della storia, i cieli
nuovi e la terra nuova. Credere e
lasciare che questa fede plasmi il nostro modo di pensare, illumini la nostra
visione della realtà e della storia, orienti il nostro sguardo e i nostri cuori
verso la meta che egli ci ha promesso come dono e ci ha dato come compito.
Coltivare questa fede che ci fa sentire gioiosi per la presenza di Dio nella
nostra vita e ci rende capaci di proclamare, con Maria, la forza trasformante
della sua Parola... Credo, Domine, sed credam firmius – credo Signore, ma fa
che creda più fermamente.
Sperare con la
serenità di chi sa che Dio non delude e con quell’urgenza di chi sente
l’impazienza di coloro che non possono attendere oltre la venuta del Regno,
poiché l’oppressione diventa insopportabile. Camminare con speranza assieme a
molti altri che, animati da tradizioni religiose diverse o mossi da valori
umanisti, cercano di collaborare alla costruzione di un mondo più umano in cui
regni tra gli uomini e tra questi e la natura l’armonia impressa dal creatore.
Sperare contro ogni speranza, poiché l’esperienza dell’amore di Dio e la fede
nella sua fedeltà ci hanno convinto che il grido degli esclusi sarà finalmente
ascoltato. Sperare con santa Maria della speranza, la donna che ha saputo
mettere tutto il suo futuro nelle mani di Dio, perché il futuro che Dio aveva
promesso diventasse realtà nella nostra storia. Spero, Domine, sed sperem
securius – spero, Signore, ma fa che speri con maggiore sicurezza.
Josep M. Abella Batlle, cmf
Superiore generale