LA VERGINITÀ PER IL REGNO (1)

IL SENSO D’UNA SCELTA

 

La scelta verginale consiste essenzialmente nell’amore, nasce dalla scoperta contemplativo-esperienziale dell’amore e mira all’aumento della capacità di amare. In una parola, la verginità è “fatta” di amore, ed è possibile solo come scelta dettata dall’amore.

 

Potrà sembrare superfluo a qualcuno, ma forse è il caso di ribadire cosa significhi esser vergini per il Regno, ed esserlo alla luce del dono che abbiamo ricevuto dallo Spirito.

Se vogliamo capire il “come” (come vivere da persone mature e libere nel cuore), dobbiamo prima chiarire il “cosa” (cosa significhi maturità e libertà affettiva). Ben ricordando che a noi è richiesta non una maturità affettiva qualsiasi, ma quella tipica di chi ha ricevuto il carisma della verginità per il Regno per la Chiesa e nel mondo ed è chiamato a viverlo secondo la vocazione particolare del suo istituto d’appartenenza (o in quanto presbitero d’una chiesa locale). In tal senso una maturità affettiva di base è condizione fondamentale, come una terra buona, per accogliere un tale carisma; dall’altro ne è conseguenza, come un frutto.

 

SIGNIFICATO

FONDAMENTALE

 

Tentiamo allora una sorta di definizione descrittiva anzitutto della verginità per il Regno dei cieli, senz’alcuna pretesa di riuscire a dire tutti gli elementi che entrano in gioco in una opzione che resta comunque avvolta dal mistero.

Essere vergini per il Regno in quanto consacrati/e vuol dire:

amare Dio al di sopra di tutte le creature (= con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze),

per amare con il cuore e la libertà di Dio ogni creatura, senza legarsi a qualcuna né escluderne alcuna (= senza procedere con i criteri elettivo-selettivi dell’amore umano),

anzi, amando in particolare chi è più tentato di non sentirsi amabile o di fatto non è amato.

Proviamo a scomporre gli elementi più significativi della proposta, come emergono da questo tentativo di definizione e senza ancora approfondirli.

 

Sostanza: l’amore

 

La sostanza dell’opzione verginale, o il suo “cuore” o parte vitale, è l’amore. La scelta verginale consiste essenzialmente nell’amore, inizia e si compie nell’amare, nasce dalla scoperta contemplativo-esperienziale dell’amore e mira all’aumento della capacità di voler bene. Non consiste primariamente nella rinuncia a istinti e tentazioni, tanto meno nel dir di no, consciamente o inconsciamente, all’esperienza dell’amare e dell’esser amati. Né c’è una pretesa soggettiva di perfezione alla sua origine, o un’esigenza cultuale; tanto meno una imposizione, esterna (come può essere una legge) o interna (un condizionamento psichico quale, ad esempio, la paura dell’altro sesso). La verginità è “fatta” di amore, ed è possibile solo come scelta dettata dall’amore.

 

Oggetto: Dio e il povero d’amore

 

L’oggetto dell’amore verginale è Dio, con tutto ciò che questo significa sul piano della centralità dell’esperienza spirituale; ma non soltanto Dio è oggetto dell’amore vergine, bensì anche le creature, ogni creatura, e in particolare i destinatari dello specifico apostolato d’istituto, e in genere chi è più povero particolarmente nell’amore, o più tentato di non sentirsi amabile perché non è di fatto amato. Non c’è rivalità o frattura, in tal senso, fra amore divino e umano, semmai c’è progressione a partire dall’amore di Dio, come un movimento concentrico che s’espande e raggiunge ogni essere che avviciniamo. Fino a raggiungere quelli che potrebbero essere i più lontani da Dio e dalla speranza d’essere da lui amati.

In tale prospettiva va intesa questa espressione paradossale di don Milani, rivolta ai ragazzi cui aveva dedicato la sua vita: «Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto...».1

 

Modalità: la totalità

 

La modalità generale dell’amore verginale (= condizioni in positivo) è la totalità, indicata dalle caratteristiche dei due amori (per Dio e per l’uomo): Dio è amato, infatti, con “tutto” il cuore, con “tutta” la mente e con “tutta” la volontà; la creatura è benvoluta con il cuore e la libertà di Dio, che è la pienezza e totalità dell’amore. Ma la cosa interessante è che si tratta d’una totalità incrociata – in riferimento all’oggetto, nel senso che quello divino, Dio, è amato con cuore e da un cuore totalmente umano, mentre la creatura umana è benvoluta con benevolenza divina, ovvero sempre da un cuore di carne ma educato dalla libertà di Dio ad amare con la sua larghezza, altezza, intensità... Ovvia la relazione tra i due amori: l’uno influisce sull’altro inevitabilmente.

Per questo l’amore del vergine è un amore pieno, per l’oggetto amato e per la modalità amante, totalmente umano e pure divino, come totalmente umano e totalmente divino è il Cristo sofferente in croce, culmine estremo dell’amore vergine e della totalità di tale amore: per il Padre, amato al di sopra di tutto, e per l’uomo, lontano da Dio con il peccato, dunque non amabile e tentato dalla tentazione di non sentirsi amato.

 

Condizione: la rinuncia

 

Qualsiasi scelta implica una rinuncia, come una condizione (= condizione in negativo) direttamente connessa a quella scelta. La rinuncia intenzionale del vergine è quella di rinunciare a legami definitivi ed esclusivi, con carattere totalizzante, come sarebbero, ad esempio, il matrimonio o una relazione troppo invadente e possessiva, esclusiva ed escludente. Ma egli sceglie anche di non escludere nessuno; in sostanza rinuncia ad amare con i criteri della benevolenza o simpatia soltanto umana, che sceglie o esclude in base al semplice istinto o alla spontanea attrazione o all’interesse personale più che a quello altrui.

Mettendo assieme le ultime due sottolineature (le condizioni in positivo e in negativo) diciamo che il consacrato/a vergine deve vivere molte relazioni, ma con uno stile particolare, che rifletta in termini chiari la sua verginità, e dica al tempo stesso la centralità della sua relazione con Dio e la passione per ogni fratello e sorella. Al di là d’ogni atteggiamento unilaterale ed estremo: né orso né farfallina, né chiuso in se stesso né alla ricerca perpetua di puntelli e compensi vari, né supermoralista da veder il male dappertutto ma nemmeno così ingenuo (o furbo?) da permettersi tutto o quasi…

Ovviamente torneremo con le prossime schede su tutti questi elementi per approfondirli e vederne gli aspetti pratici.

 

INDICAZIONI

PER UNA VERIFICA

 

Credo che questo modo d’intendere la nostra verginità per il Regno ci offra già indicazioni precise e spunti notevoli per una comprensione in profondità e una verifica della nostra maturità affettiva in prospettiva verginale. In particolare ne possiamo trarre questi stimoli.

Sguardo integrale

Anzitutto per vivere bene la nostra castità è necessario avere presenti tutte queste componenti. Al riguardo noi siamo spesso piuttosto presuntuosi; crediamo di sapere, diamo per scontato d’aver già capito tutto, o pensiamo che col passar del tempo uno entri nella cosiddetta “pace dei sensi” (che non esiste), o diveniamo così saggi ed esperti (?) da non pretender d’avere sempre una grande passione nel cuore (che così sparisce davvero)…. Dimentichiamo che la verginità per il Regno se non diventa oggetto di attenzione costante (o di formazione permanente) diventa solo fatica invivibile o frustrazione permanente. E formazione permanente della opzione di verginità vuol dire rivisitare continuamente queste componenti e tenerle insieme poiché qualsiasi scelta, e tanto più una come questa, sta in piedi ed è possibile solo se prevede e contiene tutti questi 4 elementi (sostanza, oggetto, modalità, condizioni), rispettandoli e mettendoli in atto, anzi, cogliendone sempre nuove sintesi e armonie.

Più in concreto formazione permanente alla verginità significa per noi

– collegare l’aspetto positivo della verginità (la scelta di qualcosa di grande) con quello negativo (la rinuncia a qualcosa che è profondamente radicato nella natura umana e che è in se stesso bello), o la dimensione mistica (=l’amore ricevuto) con quella ascetica (=l’amore donato): non è possibile scegliere senza rinunciare, come d’altro canto si può dir di no a qualcosa di bello solo in forza d’un sì a qualcosa di ancor più bello;

– significa, ancora, non sganciare mai per un solo istante l’innamoramento di Dio dalla passione per l’uomo: l’uno conferma l’altro e lo sostiene, altrimenti nessuno dei due amori è credibile;

– vuol dire non esser così superficiali da pensare d’esser vergini solo perché non si fa nulla contro la castità, anche se non c’è un grande amore che spinge da dentro,

– né così legalisti da ridurre il voto a una serie di obblighi da rispettare e di trasgressioni da evitare.

La verginità non è qualcosa di settoriale, che riguarda un aspetto ben delimitato della vita e della persona, ma è espressione di tutta una personalità che ha scelto un preciso stile di vita: è un modo di pensare e desiderare, di dar senso alla vita e alla morte, di viver la relazione e la solitudine, di star con Dio e col prossimo, di credere e sperare, di soffrire e aver compassione, di far festa e lavorare…

 

Prospettiva positiva e realistica

 

Ma tutto parte dalla certezza d’un amore grande di cui si è stati e si è oggetto. La verginità è la scelta inevitabile del credente che si sente avvolto da un amore… incredibile. La risposta a quest’amore è il dono totale di sé a esso, colmo di gratitudine (per il Dio amante, fonte dell’amore) e di gratuità (per coloro che siamo chiamati ad amare). Di nuovo mistica e ascetica al tempo stesso, senz’alcuna divisione.

È dunque una prospettiva positiva quella che è all’origine di questa opzione di vita, opzione libera perché nasce dalla contemplazione dell’amore, necessaria perché la scoperta d’un amore eccedente innesca necessariamente l’esigenza di vivere totalmente votati a esso. Per questo il vergine vive la sua scelta con discrezione e semplicità, ma pure con gioia e serenità. Non si sente un eroe né superiore a chi fa altre scelte, non vive la sua verginità con quell’artificiosa seriosità, un po’ mesta un po’ supponente, che lo rendono inviso. La scelta verginale, ripetiamo, è questione di amore e basta. «Sono non sposata perché così scelsi nella gioia quando ero giovane. Volevo essere tutta per Dio», così Annalena Tonelli, la missionaria laica recentemente trucidata in Somalia.2

Al tempo stesso una scelta come questa va a incidere su un istinto profondamente radicato nella natura umana, ovvero chiede realisticamente la rinuncia all’esercizio di questo istinto, ed è rinuncia pesante, perché quell’istinto è attraente e rientra in un disegno di origine divina. Nessun uomo intelligente e normale può pensare di poterla fare a cuor leggero. Né sottovalutare il fatto che la verginità crei, dal punto di vista della relazione umana (dello scambio affettivo, dell’appagamento che ne segue), una situazione di obiettiva povertà, di qualcosa di bello che viene a mancare, di una parte della propria umanità che non è realizzata. Nessuno può illudersi che col passar del tempo la rinuncia diventi sempre più facile, e ritenere che non abbia bisogno d’una costante e precisa ascesi: «chi crede di poter leggere tutto, sentire tutto, vedere tutto; chi rifiuta di dominare la propria immaginazione e i suoi bisogni affettivi, non deve impegnarsi nella via della consacrazione… Dio non potrebbe restargli fedele, né si può esigere che Dio stabilisca per lui una salvaguardia miracolosa».3

 

Qualità di vita e di testimonianza

 

è solo un certo stile di vita che consente di capire e vivere la verginità; d’altro canto la verginità aumenta la qualità della vita.

Da un lato, infatti, la verginità richiede un certo livello di impegno generale a livello spirituale, come esperienza dell’amore divino, di adesione credente, di fedeltà orante, di allenamento alla contemplazione…, ma anche a livello di maturità umana, di apertura all’altro e alla relazione, di autonomia affettiva e di capacità di solitudine, di calore umano e affetto disinteressato ecc. La verginità non sopporta la mediocrità.

E, d’altro canto, nulla come questa opzione vissuta nella fedeltà appassionata, favorisce la qualità della vita: il gusto della bellezza, lo spirito di sobrietà, l’eleganza del tratto, il culto della verità, l’efficacia della testimonianza, la trasparenza contagiosa…

Ma è vero anche l’opposto: una verginità di scarsa qualità (povera d’amore e di vita spirituale, fatta solo di rinunce e paure, o approssimativa e ambigua), impoverisce la vita e i rapporti, ed è all’origine di quei ben noti e pericolosi processi di compensazione (abuso di cibo, di alcool, di denaro, di potere, tendenza all’accumulo, uso scorretto dei mezzi di comunicazione, bisogno eccessivo di contatti e relazioni…), o – a livello comunitario – di quella sciatteria o trasandatezza generale che sovente rende incolore la vita e in particolare la vita comune, pesante la relazione, brutti perfino gli ambienti, inconsistente la testimonianza, noiosa la preghiera...

 

Esigenza imprescindibile

 

Tutto quanto fin qui detto assume una particolare importanza per noi consacrati/e, in questo momento difficile e pure esaltante della storia, a vari livelli. C’è una crisi d’insignificanza o di frustrazione del senso, che investe anche ciò che è più bello e ricco di valore per l’uomo e la donna di sempre: l’amore. Nell’attuale babele culturale il giovane in particolare non sa più cosa voglia dire amare, lasciarsi benvolere, accogliere l’altro… o è indotto a pensare che certi termini (fedeltà, rinuncia, gratuità, castità e ancor più verginità…) non abbiano più alcun senso oggi.

In un clima di latitanza delle normali agenzie educative il consacrato/a è chiamato a riscoprire la sua vocazione naturale al ministero dell’educazione, in senso lato, non solo in quanto maestro, ma soprattutto in quanto testimone, testimone d’una verginità solare nella sua luminosità e radicalità, d’una verginità vissuta come dono che riempie la vita, e che ci rende simili al Figlio Crocifisso, come Lui innamorati di Dio e appassionati per l’uomo.

Dono che vogliamo condividere perché Dio sia al centro d’ogni amore.

Amedeo Cencini

 

Non dimenticare il prete don Milani, editoriale non firmato, in “Vita Pastorale”, 7(1992), 5.

Chiaro M., Era pronta a dare la vita, in “Testimoni”, 18/2003, 2.

Ancel A., cit. da Pellegrino M., Castità e celibato sacerdotale, Torino-Leumann 1989, pp.22-23.