DOCUMENTO POSTCAPITOLARE OFM

UN IMPEGNO IN CINQUE PUNTI

 

Dal capitolo generale di Assisi del 2003 è emersa la volontà di un forte impegno a rispondere alle sfide del mondo d’oggi. Sono le frontiere su cui l’Ordine intende continuare a impegnarsi.

 

Un’attenta lettura dei segni dei tempi del cielo e della terra e la capacità di interpretarli alla luce della fede e attraverso un assiduo discernimento per ricavare la risposta: sono le linee maturate nel corso del recente capitolo generale OFM, definito “Capitolo di Pentecoste 2003”, e ora consegnate all’Ordine nel documento finale approvato dal Definitorio generale, dal titolo francescanamente significativo Il Signore ti dia pace.

L’intero Ordine è invitato a compiere un discernimento in una duplice prospettiva: anzitutto prendendo coscienza delle strutture personali e sociali che si oppongono alla vita per denunciarle e contribuire al loro superamento; in secondo luogo, aprendo gli occhi della fede e della speranza per cogliere, nel mezzo delle crisi, i segni emergenti dell’umanità, dare loro spazio nella vita, anticipando così il Regno proclamato e vissuto da Gesù Cristo.

Riprendendo il cammino nel tempo, i frati minori s’impegnano ora a tradurre in pratica queste linee, tenendo presenti i tre temi chiave attorno a cui si è mosso il capitolo, fraternità, autorità e missione, e facendo grande affidamento soprattutto sulla formazione iniziale e permanente, intesa come itinerario di conversione che tocchi tutte le dimensioni della vita.

 

SEGNI

CHE INTERPELLANO

 

Il punto di partenza è una lettura dei segni dei tempi, cominciando dalle realtà negative: sono quelle che trovano il loro denominatore comune nel rifiuto di ciò che è diverso, nell’esclusione dell’altro, nella negazione sistematica dell’alterità, per cogliere poi  quelle positive, ossia i numerosi segni di vita e di speranza, presenti nel mondo, quali la ricerca incessante e creativa di inserimento, di prossimità, comunione, abbraccio, fraternità, cammino di pace autentica.

In questa lettura, la prima realtà che appare evidente nel mondo globalizzato è la concentrazione del potere e delle ricchezze nelle mani di pochi. Ne deriva che il bene comune è solo il bene di un numero esiguo di persone. Questo genere di economia, sottolinea il documento capitolare, poiché si regola con una logica di esclusione, va a vantaggio sempre degli stessi, i potenti, mentre la grande maggioranza degli abitanti del pianeta vive alle soglie del minimo vitale e viene manipolata nei suoi desideri ed emozioni dai mezzi di comunicazione per indurla al consumismo irrazionale. In questo modo la distanza tra ricchi e poveri è scandalosamente sempre più marcata.

Inoltre, di fronte a un sistema che pretende di autoregolarsi senza criteri etici, si avverte l’esigenza di giungere all’affermarsi di un’etica mondiale che parta dal rispetto della dignità inviolabile della persona e sia capace di garantire un minimo di giustizia per tutti. Un ulteriore passo: di fronte alla globalizzazione culturale cresce l’urgenza di una rivalutazione culturale dei popoli; così pure davanti all’avvento del mercato globale e delle sue alleanze e tecnologie è necessario creare delle reti di comunicazione che valorizzino l’interdipendenza dei beni e delle risorse per consentire una vita dignitosa per tutti, in particolare per i più deboli.

La seconda realtà è il diffondersi della violenza da cui deriva l’impegno per la promozione e la realizzazione della pace. Si tratta di una violenza multiforme, i cui segni più evidenti sono la distruzione spietata della natura, le varie forme di esclusione, i tribalismi, le guerre etniche, le lotte tra gruppi religiosi, i genocidi, l’oppressione delle donne, l’abuso sessuale sui minori, le trame di sangue che si nascondono dietro la corsa agli armamenti, ecc.

Fortunatamente oggi si prende sempre più coscienza della dinamica della violenza e dei meccanismi atti a contrastarla a livello personale e istituzionale, come dimostrano, per esempio, le massicce proteste contro le ingiustizie, così pure le varie reti che operano per educare a una cultura della non violenza, le piccole azioni quotidiane a favore della mutua comprensione e della soluzione dei conflitti: sono dei segni significativi di un tempo nuovo che sta per sbocciare in mezzo a noi, sottolinea il documento capitolare.

La terza realtà è il fondamentalismo. La crescita di questo inquietante fenomeno è un altro degli aspetti del nostro tempo e si esprime attraverso la negazione sistematica dell’altro, del diverso e fa di tutto per distruggerlo.1 In questo fenomeno, sottolinea il documento capitolare, percepiamo come un vero segno dei tempi l’impegno dei movimenti per il dialogo tra culture, generazioni, sessi, religioni e ideologie per favorire la conoscenza reciproca e la ricerca di cammini comuni e instaurare  un mondo fraterno nella salvaguardia delle sane differenze.

Una quarta realtà è il predominio dell’immagine. Oggi, scrive il documento, viviamo in un mondo dove predomina l’immagine a scapito della parola. È una cultura che rafforza il fenomeno dell’immediato, per cui siamo come catturati delle richieste del presente e da ciò che dettano e promuovono i mezzi di comunicazione sociale; persino le dimensioni più intime della nostra esistenza diventano materiale per il palcoscenico e il pubblico consumo. Tra l’altro non si può ignorare che i mezzi di comunicazione sono collegati con le forze del mercato; vivono per riportare ininterrottamente i conflitti generati dalla violenza; comunicano l’immagine di una umanità intrappolata in un ciclo permanente di frustrazione.

Ma cresce anche la consapevolezza che la cultura dell’immagine conduce alla sterilizzazione dell’immaginazione, alla riduzione dell’individuo a consumatore di immagini. Vediamo moltiplicarsi, pertanto, le proposte alternative di spazi educativi che incentivano la capacità immaginativa e creativa dell’essere umano, salvaguardando la nostra condizione di creatori di simboli; si fa strada l’alternativa di una svolta simbolica (poesia, rito, icona, danza, musica, gesti) che aiuti a unirsi profondamente con la verità personale e con la trascendenza.

Aumenta nella società civile anche l’esigenza di un’etica dei mezzi di comunicazione perché questi non siano solo raccoglitori di miserie umane, ma strumenti capaci di offrire immagini reali di giustizia, di pace e di salvaguardia del creato e di contribuire a creare una speranza e un significato globali.

Tutte queste realtà, lette come sfide, confermano ciò che dice il Vangelo, che il grano e la zizzania crescono insieme, e ciò costituisce un invito pressante al discernimento evangelico. Non bisogna dimenticare che la crisi di fede provocata da questa realtà diventa anche un momento di grazia che ci sfida a ricreare la nostra esperienza di credenti in sintonia con le sfide di un’epoca in crisi. Anche la crisi dell’etica deve essere vista come un momento di grazia per sviluppare una nuova etica della vita, della coerenza che superi la frammentazione dell’immediato mediante il cammino dell’armonizzazione e dell’integrazione: pensieri e opere, preghiera e azione, parola e impegno, fede e vita, aspirazione del cuore alla fede e alla speranza e loro incarnazione in forme visibili, azioni, riti, strutture.

 

UNA RISPOSTA

IN CINQUE PUNTI

 

La risposta che i frati minori si propongono di dare ai segni individuati si articola in cinque punti: il frate minore deve essere una persona di fede, di dialogo, una persona itinerante, che trasmette con gioia un messaggio e vive il segno della santità in fraternità.

Anzitutto egli deve essere un uomo di fede. Questa, come si legge nel documento capitolare, non è una formula né un semplice progetto ascetico, né è retta dalle immagini dei mezzi di comunicazione, spesso cariche di violenza e di opportunismo. La sua fonte è altrove, viene dall’alto.

Ma non è nemmeno semplice conoscenza, bensì dialogo sempre aperto tra Dio che parla all’uomo nella storia e l’uomo che risponde a Dio dalla storia: è un’alleanza continua. È la via attraverso la quale il frate minore contempla l’immagine del Figlio impressa nel prossimo e scopre, nella ricomposizione e nella comunione delle differenze, l’inabitazione dello Spirito; egli vede quindi che «in ogni creatura c’è il Dio nascosto», come scrive san Bonaventura.

Mediante la fede, leggiamo nel documento capitolare, «renderemo credibile la vita di Dio; la nostra vita con gli altri, un dono di pace; la nostra stessa vita, un canto di gioia, anche quando saranno le nostre lacrime a lavare le ferite di quanti sono colpiti dall’ingiustizia». Ma per essere segno credibile, «la nostra fede deve coinvolgere la totalità della persona: mente, cuore, relazioni, il modo in cui guardiamo, incontriamo, abbracciamo e amiamo il prossimo».

Essa apre al dialogo e questo diventa la via della pace. Nel tempo attuale caratterizzato da lacerazioni e sofferenze, la fede rende capace la persona di vedere la “dolcezza di Dio” negli altri, compreso il lebbroso, di affermare con gioia questa bontà, e in profonda comunione, nata dalla compassione, e di lavorare per la giustizia e la pace.

Il dialogo, per essere autentico, come è stato indicato nelle riunioni ad Assisi con i rappresentanti delle altre religioni, deve possedere tre dimensioni. La prima consiste nello scambio, nell’incontro, nell’apertura e accoglienza del prossimo, compreso anche quello più sfigurato e causa di grande repulsione e “amarezza”, sull’esempio di Francesco che è andato incontro al sultano.

«Siamo sfidati, scrive il documento capitolare, a vedere Cristo, “dolcezza dall’alto”, nella condizione di sofferenza di qualunque essere umano del pianeta e a rivolgere il nostro volto a quello del sofferente e ad offrirgli, come Francesco, una benedizione di pace».

La seconda dimensione richiede un cammino di purificazione; esige una formazione e una pratica costante alla disciplina dell’ascolto e dell’accoglienza. Mediante il dialogo, la persona abbandona l’individualismo e scopre la sua vera individualità, la sua identità davanti a Dio. In effetti, «quanto l’uomo vale davanti a Dio, tanto vale e non di più». In questo modo «le nostre Fraternità e i nostri posti di lavoro assumono la sfida etica di essere segni che suscitano il desiderio di un altro cammino di convivenza e di relazione: quello che conduce alla pienezza della vita mediante il dialogo».

La terza dimensione implica la rigorosa pratica dell’obbedienza alla parola di Dio come Parola che s’incarna nell’Eucaristia, nel corpo – non sempre degno – della Chiesa, nel fragile corpo della nostra Fraternità, nei nostri fratelli e nelle nostre sorelle, nel nostro prossimo. Allo stesso modo, l’autorità, intesa come dono e non come privilegio «diventa servizio nella sequela di Cristo. Questo dialogo di servizio impegna a una vita di povertà che apre alla ricchezza dello scambio personale, affettivo e alla condivisione dei beni, rende accoglienti di fronte al dono del prossimo, e, allo steso tempo, esige che si mettano a disposizione i doni che ciascuno ha ricevuto.

Con l’esercizio del dialogo, prosegue il documento, la nostra castità – purificazione e offerta  dei nostri affetti – sarà aperta al dialogo con Dio, con gli uomini e le donne, con le culture, le religioni e la creazione. Tutto il nostro essere sarà orientato al saluto di pace. La scoperta del significato antropologico dei voti ci aiuterà a convertirci oggi in segni del Regno e in uomini del futuro.

 

Il terzo punto è l’itineranza, ossia una delle forme più caratteristica dello spirito francescano. Essa è intesa come espressione della disponibilità assoluta ad andare per annunciare il Regno tra i poveri e a lasciarsi evangelizzare da loro, spinti unicamente dalla carità di Cristo: «Ci mettiamo in cammino con gli altri, scrive il documento capitolare, per creare insieme una comunità in cui si condividono i beni. Vediamo il Cristo nei poveri e chiediamo che tutti possano godere della “grazia di lavorare”. Ci mobilitiamo per protestare pacificamente quando le strutture non favoriscono il diritto a una vita dignitosa. Con l’itineranza penetriamo nei luoghi nevralgici dove la nostra società sperimenta grandi sperequazioni e tensioni, per testimoniare la pace e la giustizia: le frontiere tra le diverse religioni, le divisioni tra i ricchi e i poveri, potenti e deboli, schiavi e liberi, uomini e donne. Insieme a tanti uomini e donne che sognano un mondo nuovo, vogliamo essere artefici di una cultura di speranza e di pace…».

Itineranti, ma facendo attenzione a non venir meno di inedia. Di qui la necessità dei “nutrimenti per il cammino”: la contemplazione, la preghiera, la meditazione, la lettura orante della Scrittura e l’Eucaristia. Inoltre la condivisione della vita con gli altri in Fraternità; la memoria del passato  per non perdere il legame con le proprie radici. Infine le discipline e le strutture che sostengono l’itineranza, ricordando che «è imprescindibile uno stacco dal lavoro frenetico per raccoglierci in silenzio, in raccoglimento; per concentrarci nell’autoconoscenza, nel lavoro manuale, nella lettura, nello studio e della condivisione della nostra fede».

 

Il quarto punto è la gioia dell’evangelizzazione, in sintonia con la persona e l’opera di Cristo, come servi del messaggio gratuitamente ricevuto e che gratuitamente bisogna dare. In questa grande opera, motivo di gioia deve essere la diversità dei carismi che lo Spirito suscita e che si traduce in nuove forme di presenza e di evangelizzazione, incoraggiando con creatività e radicalità il Vangelo.

Infine, quinto punto, la santità vissuta in Fraternità, quale progetto evangelico di Fraternità-in-missione, sapendo che «la nostra forma di vita è il primo modo di evangelizzare».

Presentando all’Ordine questo documento, il neo eletto ministro generale, fr. José Rodríguez Carballo raccomanda che la lettura e lo studio, a cui le Fraternità dovranno impegnarsi, si svolgano in un clima di meditazione e di preghiera.

 

A.D.