CONVEGNO SUL CONCILIO DI MOSCA DEL 1917-1918

UN’EREDITÀ PER TUTTE LE CHIESE

 

Organizzato presso il monastero di Bose, il convegno ha rappresentato un momento significativo per la ricerca storiografica e la riflessione teologica cattolica, riformata e ortodossa, e uno stimolo per non cessare di ricercare vie di dialogo tra le Chiese.

 

«Ora noi siamo a un crocevia, in bilico tra un indecifrabile futuro e un presente terribile». Il destino della chiesa ortodossa russa, all’indomani della rivoluzione di febbraio del 1917, appare al grande teologo ortodosso Sergej Bulgakov misteriosamente intrecciato con l’avvenire stesso del cristianesimo. L’evento dal quale Bulgakov riguarda i drammatici rivolgimenti della vita politica e sociale russa è il concilio della chiesa ortodossa russa, celebrato tra il 1917 e il 1918 con la partecipazione di tutte le componenti della compagine ecclesiale. Si trattò, in effetti, di un evento eccezionale e per molti aspetti profetico.

Le domande sollevate dall’assemblea conciliare, e le soluzioni intraviste, oltre a illuminare un esito incompiuto dei tragici eventi del XX secolo, interpellano oggi – quasi un secolo dopo, di fronte alle nuove sfide dell’era post-comunista e post-moderna – quanti avvertono l’urgenza di ritrovare un cammino condiviso tra cristiani d’oriente e d’occidente

«Il concilio nazionale del 1917-1918 fu uno degli eventi più importanti della storia ecclesiale russa del XX secolo», ha affermato il patriarca di Mosca Alessio II nel suo messaggio di saluto per l’XI edizione del convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa (Monastero di Bose, 14-20 settembre 2003). Il simposio, organizzato con il patrocinio del patriarcato ecumenico di Costantinopoli e del patriarcato di Mosca, è stato anche l’occasione di riprendere la riflessione sui temi della conciliarità e della sinodalità, come sono vissute sia all’interno delle singole Chiese, sia nei rapporti interecclesiali.

 

CONVEGNO

DI BOSE

 

La presenza a Bose di rappresentanti di quasi tutte le chiese ortodosse, della chiesa cattolica e d’Inghilterra, e di diverse chiese della riforma,1 ha testimoniato a un tempo l’interesse per l’eredità del concilio di Mosca e la sua rilevanza per tutte le Chiese oggi. Il concilio fu effettivamente un momento di sintesi della tradizione per rispondere alle sfide del mondo contemporaneo.

Il convegno di Bose è iniziato con una sezione patristica dedicata ai Padri del deserto di Gaza: Barsanufio, Giovanni e Doroteo, per cercare «di cogliere quell’unica vita nello Spirito ovunque possibile», che costituisce l’intenzione profonda di questi incontri ecumenici.2 Le tre giornate di studio e confronto, tra posizioni anche divergenti, ma in uno spirito di sincera ricerca della verità e di possibili vie per il futuro, hanno approfondito il contesto storico del concilio di Mosca, vero e proprio spartiacque epocale (D. Pospielovsky, S. Firsov, A. Melloni), l’evento conciliare in sé e nei suoi complessi rapporti con la Rivoluzione (G. Schulz, A. Svetozarskij, A. Kashevarov), e la sua ricezione in epoca sovietica (M. Shkarovskij). È stato poi presentato, in base a documenti d’archivio, il ricco e purtroppo incompiuto dibattito conciliare sulle questioni di maggior rilievo per la riforma della Chiesa: il governo ecclesiastico, l’amministrazione diocesana, la liturgia, il monachesimo, la missione, la formazione teologica (le relazioni di I. Solov’ev, V. Cypin, A. Piovano, A. Pletneva, H. Destivelle, A. Kraveckij, G. Schröder). Il convegno di Bose ha rappresentato non solo un momento significativo per la ricerca storiografica e la riflessione teologica, sia cattolica e riformata, sia ortodossa, che oggi ritornano a guardare con interesse all’evento del concilio di Mosca,3 ma anche uno stimolo per non cessare di ricercare vie di dialogo tra le Chiese.

 

CONFRONTO

CON LA STORIA

 

Dopo una più che decennale preparazione, l’abdicazione dello zar (febbraio 1917) permette la convocazione del concilio, il cui primo atto fu il ristabilimento del patriarcato. Il decreto di separazione della Chiesa dallo stato (gennaio 1918), voluto dal nuovo potere rivoluzionario, segnò di fatto, nel modo più drammatico, la fine dell’era costantiniana per la chiesa russa. La storia come «elemento costitutivo della salvezza, luogo in cui la fede e la chiesa vivono senza esenzioni, luogo in cui occorre riconoscere l’azione di Dio» è stata al centro della riflessione introduttiva di Enzo Bianchi. «Un concilio è il momento opportuno per discernere la parola di Dio, che deve acquisire un’attualizzazione nella storia». Quest’interazione dinamica tra fede e storia è stata particolarmente eloquente nel caso del concilio del 1917-1918. «La Chiesa russa riacquista la sua libertà», ha proseguito Bianchi, «quando sceglie di leggere gli avvenimenti tragici della storia non sotto il segno del caso, ma alla luce del vangelo. Lo scarto tra il vangelo e l’accadere storico è lo spazio della libertà dell’agire umano. È in questo spazio di libertà cristiana che la chiesa ortodossa russa seppe vivere l’evento conciliare».

L’elezione del patriarca Tichon da parte dell’assise conciliare assume in questo senso un valore emblematico. Privata ormai di ogni tutela, libera dalla burocrazia zarista, ma anche esposta all’odio e all’incomprensione di una società di fatto non più cristiana, la chiesa russa si trova improvvisamente nella condizione di minoranza, di piccolo gregge inviato in mezzo ai lupi. Se rileggiamo l’intervento di Sergej Bulgakov al concilio citato all’inizio, vediamo che è proprio la mutata situazione storica a fornirgli la chiave ermeneutica di un’altra valutazione dell’istituto patriarcale. Non si tratta di restaurare il passato, ma di assumere una più profonda coscienza dell’unità del corpo ecclesiale rappresentata nel patriarca: un’unità sinfonica di tutte le membra, che non può non chiamare in causa la ricerca dell’unità di tutta la Chiesa di Cristo. «Noi viviamo in un epoca in cui la chiusa, provinciale esistenza di una chiesa locale è divenuta impossibile... Nella tragedia europea, e insieme russa, che si svolgono sotto i nostri occhi, non prende forse ora corpo quel male che fu seminato mille anni fa, in quei giorni cattivi, quando maturò la definitiva scissione tra le sedi di Roma e Costantinopoli? E se giungesse infine il momento di una nuova pace in tutta la Chiesa universale, allora noi dovremo essere pronti, con le cinture ai fianchi e le lanterne accese».4

Sullo sfondo delle prime persecuzioni, il concilio di Mosca affronta, con sorprendente attualità, le questioni cruciali della fede cristiana: quale forma deve assumere un governo della chiesa per essere uno strumento al servizio della comunione e non di dominio? Come la comunità parrocchiale può essere un segno visibile dell’amore cristiano? Quali vie di riconciliazione cercare con le altre chiese? Qual è il senso della testimonianza cristiana verso coloro che si professano atei? Quale cammino di rinnovamento del monachesimo per vivere la comunione fraterna, nella preghiera e nel servizio? Ilarion Alfeev, vescovo di Vienna e di tutta l’Austria per la chiesa ortodossa russa, ha potuto così affermare che «le questioni poste dal concilio del 1917-1918 non hanno perduto la loro attualità», e che un effettivo progresso nella vita ecclesiale è possibile oggi solo «accogliendo l’eredità di questo concilio ed esaminandone le decisioni nel contesto della situazione contemporanea, e la situazione contemporanea alla luce delle sue decisioni». Uno degli aspetti forse più innovatori e “profetici” del concilio di Mosca è stata la sua intuizione di una chiesa conciliare, in cui tutte le componenti, vescovi e clero, monaci e laici, partecipassero insieme al cammino ecclesiale. Il tema della conciliarità è stato anche al centro dell’ultima giornata del convegno.

 

DIBATTITO

SULLA CONCILIARITÀ

 

Per Hervé Legrand, domenicano, docente di ecclesiologia all’Institut Catholique di Parigi e direttore del centro di studi “Istina”, il concilio del 1917-1918 non solo è pienamente nella grande tradizione dei concili ecumenici, in quanto è stato un’attuazione effettiva della “sinodalità fondamentale della Chiesa”, ma ha precorso alcune fondamentali tappe del dialogo ecumenico. Il funzionamento stesso dell’assemblea conciliare del 1917 (in cui anche ai laici è riconosciuto potere deliberativo, anche se il giudizio definitivo sulle decisioni conciliari spetta all’episcopato) mette in opera un esercizio del ministero ordinato «secondo un modo personale, collegiale e comunitario», come avrebbe auspicato più di mezzo secolo dopo la dichiarazione di Fede e Costituzione a Lima (Battesimo, Eucaristia, Ministero 1982).

Per quanto riguarda la chiesa cattolica, il punto essenziale per uno sviluppo della conciliarità, sulle linee indicate dal Vaticano II, è per Legrand uno sviluppo della dottrina della “collegialità episcopale” che permetta anche una “teologia delle chiese regionali”, in modo che la communio ecclesiae sia valorizzata anche come communio ecclesiarum. Questo favorirebbe anche un importante passo avanti nel dialogo ecumenico.

L’intervento dell’ecumenista domenicano, che ha fatto riferimento al dibattito tra Ratzinger e Kasper sul problema della “priorità della chiesa universale su tutte le chiese particolari” (cf. Communionis notio), si è ricollegato direttamente ai “Lineamenti di una teologia ortodossa della conciliarità”, presentati al convegno da Michel Stavrou, docente all’Institut Saint Serge di Parigi. Per il teologo ortodosso è urgente «un lavoro di rifondazione teologica della nozione di conciliarità», proprio ora che, in seno all’Ortodossia, si assiste a una sorta di “crisi della conciliarità”: solo così la conciliarità non sarà «semplicemente confessata, né vantata come un tesoro dell’Ortodossia (come effettivamente è), ma semplicemente vissuta». Stavrou ha fatto notare come «un’ecclesiologia universalistica non sia compatibile con un’ecclesiologia eucaristica conseguente, poiché l’unica Eucarestia è offerta al tempo stesso in ogni luogo e dappertutto, ma mai al di sopra delle comunità locali». «Un’ecclesiologia rispettosa della conciliarità», ha continuato nel suo intervento, «deve prevedere l’unità tra le chiese locali non come unità uniforme, ma differenziata». Solo così potranno essere superati i gravi ostacoli a un effettivo esercizio della conciliarità all’interno delle e tra le chiese ortodosse contemporanee (per esempio il problema delle autocefalie). «Oggi come oggi», conclude, «la prospettiva di un ritorno all’unità tra oriente e occidente dovrà accompagnarsi alla ricerca di forme di sinodalità intieramente nuove, che si applichino su scala universale, rispettando tuttavia la giurisdizione delle Chiese... Per la Chiesa, infatti, la conciliarità non è soltanto un dono, ma una vocazione, e la Chiesa è chiamata ad essere quello che essa è realmente per natura».

«Il concilio di Mosca non è solo uno straordinario evento del passato” ha sottolineato ancora una volta Enzo Bianchi nelle conclusioni, “ma è una realtà viva: indica un cammino sulla strada della sinodalità, da vivere insieme in uno spirito eucaristico che solo permette di superare le contrapposizioni sterili, di comporre i conflitti in vista dell’unità alla quale ci chiama il Signore».

 

Adalberto Mainardi, monaco di Bose

 

1 Erano presenti al convegno, per la Chiesa cattolica, l’arcivescovo Antonio Mennini, nunzio apostolico in Russia, il cardinale Achille Silvestrini, monsignor Eleuterio F. Fortino del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, il vescovo di Ivrea, Arrigo Miglio, e i vescovi emeriti di Biella (Massimo Giustetti), Ivrea (Luigi Bettazzi) e Pinerolo (Pietro Giachetti); per il Patriarcato ecumenico, il metropolita Emilianos di Silyvria e l’archimandrita Nilo Vatopedinos; per il Patriarcato di Mosca, il vescovo Aleksandr (Agrikov) di Dimitrov, latore del messaggio di Alessio II, e i vescovi Basil (Osborne), Innokentij (Vasiliev), Ilarion (Alfeev); e inoltre le rappresentanze della Chiesa ortodossa di Grecia (l’archimandrita Iakovos di Petraki e il vescovo Ignatios di Dimitrias); della Chiesa ortodossa serba (il vescovo Irinej Bulovich, padre David Perovich e l’archimandrita Andrej Chilerdzhich); dei Patriarcati ortodossi di Alessandria (il metropolita Gheorghios di Nilopolis), di Antiochia (i metropoliti Georges Khodr, Elias Awde e il vescovo Youhanna di Hosn), di Romania (il vescovo Sofronie di Gyula, il metropolita Serafim di Germania e il vescovo Sofian di Bras¸ov), del Patriarcato di Gerusalemme, di Bulgaria, della Chiesa apostolica armena, della Chiesa d’Inghilterra, del Consiglio ecumenico delle Chiese e di diversi monasteri del Sinai, di Palestina, di Siria, Grecia, Russia e Serbia.

2 I temi per il 2004 (12-18 settembre) sono “Sant’Atanasio e il Monte Athos”, e la “Preghiera di Gesù in Russia (xix-xx sec.)”.

3 Cf. il recente H. Destivelle, La Chiesa del Concilio di Mosca, Qiqajon 2003.

4 Atti del Concilio, III, 31, app. 1, Mosca 1918.