XVI CAPITOLO GENERALE DEI COMBONIANI

AVANTI CON NUOVO CORAGGIO

 

Un riferimento continuo al fondatore, Daniele Comboni, alla storia e tradizione dell’istituto hanno reso possibile il discernimento della realtà per rispondere alle sfide della missione e del mondo odierno. Ribadita la scelta prioritaria, benché non escludente, dell’Africa.

 

«Chiamati gratuitamente dal Padre, appassionati dall’amore di Cristo buon pastore, consacrati dal suo Spirito e seguendo l’esempio di Daniele Comboni – che ci chiama a essere santi e capaci – siamo mandati nel mondo a testimoniare e ad annunciare la buona novella del Regno, lasciandoci interpellare dalla realtà, con atteggiamenti di dialogo, di passione e tenacia».

Alla luce di questa affermazione, che ora si trova negli Atti capitolari, i missionari comboniani hanno celebrato il loro XVI capitolo generale (1 settembre – 2 ottobre 2003) dedicato al tema La missione del comboniano all’inizio del terzo millennio, attorno a cui si sono poi articolati quelli riguardanti la formazione permanente, la comunità e la metodologia missionaria. Per cinque intense settimane, gli ottanta capitolari hanno lavorato, pregato e riflettuto, in un contesto molto speciale: l’inizio del terzo millennio e la prossimità della canonizzazione di Daniele Comboni.1

A questi avvenimenti, pochi giorni prima dell’inizio del capitolo, si è aggiunto una testimonianza di grazia evangelica: il martirio di due comboniani. Il padre Mario Mantovani, anziano sacerdote italiano, e fratel Kiryowa Godfrey, giovane neoprofesso ugandese, venivano assassinati nel nord Uganda, paese da anni provato da una lunga storia di violenza.

La loro morte è stata come se il Signore volesse ricordare ai capitolari, e a tutta la famiglia comboniana, che missione e martirio sono vocazioni che, spesso, marciano unite, specie quando si decide di rimanere in mezzo ai fratelli più poveri per fare “causa comune” con loro.

Il capitolo è stato anche elettivo: come nuovo superiore generale è stato eletto p. Teresino Sebastiano Serra, che succede a p. Manuel Augusto Lopes Ferreira.

 

PASSIONE

PER LA MISSIONE

 

Un riferimento continuo al santo fondatore, alla storia e tradizione dell’istituto hanno reso possibile un processo di discernimento e una lettura della realtà per meglio rispondere alle sfide della missione e del mondo odierno.

La realtà che più ha fatto impatto sui missionari, prima e durante il capitolo, è stata quella della globalizzazione come fenomeno complesso in cui s’intrecciano luci e ombre, peccato e grazia. E di essa, ciò che più preoccupazione ha suscitato tra i capitolari è stato l’aumento inarrestabile della povertà, dell’ingiustizia e della violazione dei diritti umani che provocano tante vittime specialmente tra i poveri del sud del mondo.

Il capitolo ha favorito anche una lettura teologica e di fede missionaria che gli ha permesso di ascoltare “il grido dei poveri”, considerati come “luogo teologico privilegiato” e “volto sofferente di Cristo”.

È stato il “grido dei poveri” quello che ha più volte sfidato il capitolo perché facesse delle scelte profetiche «coerenti sia col carisma originario che con le esigenze della situazione storica concreta» in modo da poterle tradurre in «nuovi progetti di evangelizzazione». «Il grido dei poveri, è stato sottolineato, deve portare ogni missionario a essere sempre più solidale con la vita, il lavoro e il cammino del popolo condividendone le vicende. Non basta più, quindi, asciugare le lacrime dei poveri. È urgente fermare chi causa le loro lacrime». Nella loro attività di evangelizzazione i comboniani devono continuare a impegnarsi nella liberazione dell’uomo dal peccato, dalla violenza, dall’ingiustizia, dall’egoismo, dal bisogno delle strutture oppressive. Tale liberazione trova il suo compimento e consolidamento nella piena comunione con Dio Padre e nella sequela di Cristo missionario consacrato per dare il lieto annuncio ai poveri, libertà ai prigionieri, vista ai ciechi e tempi di grazia per tutti.

Da qui la disponibilità a essere inviati «ai popoli e ai gruppi umani più poveri ed emarginati; a realtà di minoranze non raggiunte dalla Chiesa e trascurate dalla società; a gruppi non ancora o non sufficientemente evangelizzati che vivono alle frontiere della povertà, per cause storiche e per gli effetti negativi della globalizzazione e dell’economia di mercato».

In questo contesto i comboniani, ancora una volta, hanno fatto una scelta prioritaria, non esclusiva né escludente, per l’Africa, continente colpito da tante disgrazie e col quale esiste un legame storico e carismatico. L’Africa è stata infatti il primo e l’unico amore del fondatore. «Comboni – sottolinea il capitolo –, con il suo piano di rigenerare l’Africa con l’Africa, è convinto che la liberazione e la rinascita dell’Africa sono legate profondamente alla persona di Cristo e al suo Vangelo, e con gli stessi africani protagonisti della propria storia»

Precisamente nel momento in cui si parlava su questo argomento, una notizia sorprese i capitolari: la nomina a cardinale di mons. Gabriel Zubeir Wako, arcivescovo di Khartoum e successore di Daniel Comboni. La decisione del santo padre è stata interpretata come una risposta alla preoccupazione avuta sempre dall’apostolo della Nigrizia: fare degli africani i protagonisti dell’evangelizzazione e liberazione del loro popolo.

Il neocardinale è un uomo che conosce da vicino la sofferenza del suo popolo e che si è impegnato senza riserve nel processo per la pace nella sua nazione.

 

FORMAZIONE

PER LA MISSIONE

 

Di indiscutibile importanza è stato il tema sulla formazione permanente, presentato dal capitolo come «un’esigenza imprescindibile e una priorità per eccellenza» da collocarsi «al centro di un processo di crescita e rinnovamento lungo tutto l’arco della vita». La proposta capitolare ha degli obiettivi ben precisi: mettere la santità a fondamento della vita e dell’attività missionaria; riconoscere la consacrazione missionaria come un dono di Dio che esige attenzione e cura in ogni momento e attività; assumere costantemente un cammino di conversione personale e comunitaria per il bene della missione evangelizzatrice.

«La qualità della missione dipende dalla qualità spirituale del missionario. Il missionario che non è in Cristo o che non ha niente da dire o da dare in nome di Cristo, non può fare missione».

Il missionario proclama il messaggio evangelico soprattutto con la testimonianza personale e con una vocazione vissuta secondo lo spirito delle beatitudini. Solamente chi offre una testimonianza credibile può evangelizzare e annunciare il Vangelo con autorità.

 

COMUNITÀ

PER LA MISSIONE

 

In un mondo lacerato da divisioni e interessi, in una società che favorisce l’individualismo e il personalismo a scapito, molte volte, dell’altro, i capitolari hanno rivolto un appello alle comunità, perché diventino segno e sacramento di comunione fraterna in favore nell’annuncio del vangelo.

Allo stesso tempo, con molto realismo, il capitolo ha presentato le fatiche e i disagi della vita in comune, frutto di differenze di età, cultura, formazione e sensibilità missionaria.

Gli Atti capitolari propongono, quindi di rimettere la fraternità e l’accoglienza al cuore della vita comune, dove ogni confratello senta di essere valorizzato come persona e come apostolo chiamato dallo stesso Dio per la stessa missione.

La proposta capitolare va oltre una semplice strategia per vivere in comunione e richiama il desiderio del fondatore perché ogni comunità sia un autentico cenacolo di apostoli per l’annuncio del vangelo e la realizzazione del Regno. La missione infatti non può essere opera di pastori solitari.

«Con la vita comunitaria, insegna il capitolo, il missionario testimonia la nuova comunità fraterna nello Spirito, che è mandato a proclamare e rendere presente tra i popoli che evangelizza. La presenza dei vari membri lo arricchisce rendendo i suoi sforzi di evangelizzazione più completi e efficaci».

E ancora: «L’istituto composto dai membri provenienti da differenti paesi e culture espressione d’amicizia e solidarietà fraterna e segno della cattolicità della Chiesa: dà testimonianza concreta di quella comunione dello Spirito che caratterizza il popolo di Dio e che non abolisce le diversità ma le rende fattori di unità».

Il capitolo non ha proposto novità straordinarie, ma ha avuto il pregio di andare all’essenziale, di sviluppare il cammino iniziato non con teorie ma con l’impegno missionario nelle situazioni umane più difficili, in contesti culturali e religiosi di continue sfide all’azione missionaria comboniana.

Molte volte e in diversi posti l’istituto ha espresso il desiderio di trovare un metodo fondato più in una spiritualità che nell’efficacia di certe strategie. Questa opzione è stata ribadita dal capitolo che, ancora una volta, ha sottolineato l’importanza di saper combinare azione e contemplazione per evangelizzare tramite la testimonianza di una vita di fede e di adesione alla persona e al messaggio di Cristo. Il Cristo buon pastore che ha scelto di svelare la paternità e bontà di Dio ai più piccoli, agli esclusi e dimenticati.

 

IL NUOVO DELLO SPIRITO

PER LA MISSIONE

 

I capitolari erano partiti cercando il nuovo, il profetico. Nel percorso si sono accorti che forse il nuovo significava riscoprire quei tesori da tempo esistenti nell’istituto e a volte trascurati. Il nuovo allora significa tornare alla passione per la missione per la quale Comboni parlò, lavorò,visse e morì.

Il nuovo è guardare al futuro con ottimismo, è andare avanti con le nostre povertà e ricchezze.

Un andare avanti che spesso esige il dovere di un ritorno alla purezza delle origini, alle sorgenti di quel patrimonio ricchissimo di esperienze di fede che è arrivato fino a noi attraverso il sacrificio dei confratelli, che ci hanno preceduto trasmettendoci la passione per la missione.

Un andare avanti con la raccomandazione di Daniele Comboni a contemplare il Dio crocifisso che si è spossessato senza risparmiarsi per camminare insieme a tutti i crocifissi del mondo.

Un andare avanti con la spiritualità dell’umile operaio che lavora spesso senza vedere il risultato dei suoi sforzi e del suo sacrificio.

Un andare avanti con una spiritualità alimentata dalla preghiera, riconoscendo che «il missionario non può far nulla senza il Cristo che lo manda e che la diffusione del vangelo è legata alla preghiera: senza di questa gli mancherebbe un’insostituibile forza interiore e la sua attività sarebbe presto pervasa da una visuale puramente umana».

Un andare avanti con una spiritualità utopica, capace di sognare fortemente cose nuove per i più poveri, gli ultimi, gli esclusi.

Un andare avanti con coraggio. «Coraggio per il presente e soprattutto per il futuro», diceva Daniele Comboni. Senza mettere ostacoli a Dio.

 

P. Teresino Sebastiano Serra

Superiore Generale

 

1 La canonizzazione ha avuto luogo il 5 ottobre (cf. anche Testimoni, n. 16, 2003, pp. 17-19).