RAPPORTO CHIESA LOCALE E VITA CONSACRATA

SFIDATI DALLA PARROCCHIA

 

I vescovi italiani e i superiori maggiori stanno oggi riscoprendo il ruolo della chiesa locale, in particolare della parrocchia. Incamminati tutti verso una parrocchia più “missionaria”, non è più consentito ignorarsi reciprocamente.

 

La parrocchia sta ritornando al centro dell’attenzione e della riflessione ecclesiale. Da tempo, soprattutto per l’avanzare dei nuovi movimenti ecclesiali, sembrava condannata a sopravvivere a se stessa; da troppe parti era stata impietosamente diagnosticata la sua insignificanza pastorale, confinata com’era – si diceva – a gestire la routine quotidiana della iniziazione cristiana dei neo-comunicandi e dei cresimandi, dei battesimi, dei matrimoni, dei funerali.

Volutamente i vescovi italiani hanno scelto come tema della loro prossima assemblea generale (17-20 novembre ad Assisi) proprio la parrocchia. Lo scopo, è stato detto nel comunicato finale del consiglio episcopale permanente del 22-25 settembre, è quello di «ridare vigore alla realtà parrocchiale, puntando su un forte slancio missionario per una rinnovata comunicazione della fede. Il mutato contesto sociale e culturale oggi impone anche alla parrocchia «un nuovo dinamismo pastorale» e quindi anche la parrocchia è chiamata a “scommettere” su una nuova evangelizzazione, in un’attenta valorizzazione del territorio e delle sue mutate condizioni sociali.

La scommessa sulla parrocchia non interessa solo i vescovi o i sacerdoti diocesani, ma chiama in causa anche i religiosi. Una comunità religiosa, infatti, sempre e comunque si trova in uno specifico territorio parrocchiale. Quante parrocchie, inoltre, sono affidate ai religiosi: nella diocesi di Roma, ad esempio, sono poco meno della metà. Sono sempre più numerose, inoltre, anche le religiose direttamente impegnate, insieme ai sacerdoti e ai laici, nei vari campi dell’animazione pastorale delle parrocchie; ma è soprattutto una rinnovata visione della comunione ecclesiale a ricollocare in un più stretto rapporto chiesa locale-vita consacrata-territorio. Non per nulla anche la Conferenza italiana dei superiori maggiori (Cism), ha posto questo tema al centro della sua prossima assemblea,1 due settimane prima di quella della Cei.

 

INTERROGATIVI

SULLA PARROCCHIA

 

Per ridare speranza al futuro della parrocchia è però necessaria una coraggiosa presa d’atto anche dei suoi aspetti più problematici attuali.

Il presidente della Cei, il cardinal Camillo Ruini, aprendo i lavori dell’ultimo consiglio permanente, realisticamente e con tutta franchezza si chiedeva se la parrocchia sia o meno in grado, oggi, di attuare «quella grande svolta che va sotto il nome di conversione missionaria della nostra pastorale». Non potrebbe essere destinata, invece, «a rimanerne purtroppo sostanzialmente al di fuori?»; non potrebbe restare «prigioniera di due tendenze, tra loro parzialmente contrastanti ma entrambe poco aperte alla missionarietà: quella di concepirsi come una comunità piuttosto autoreferenziale, nella quale ci si accontenta di trovarsi bene insieme, e quella di una “stazione di servizio” per l’amministrazione dei sacramenti, che continua a dare per scontata in coloro che li richiedono una fede spesso assente?».

La storia ci dice che la parrocchia ha saputo adattarsi ai cambiamenti, anche profondi, delle condizioni sociali e storiche; ha saputo mantenere viva l’istanza centrale di comunicare la fede al popolo concretamente esistente, compresi i “lontani”. Però l’esperienza del passato non garantisce automaticamente la sua apertura missionaria anche per il futuro, un futuro che «oggi diventa assai rapidamente il nostro presente».

Vita cristiana e territorio, è questo il rapporto attorno a cui ruota oggi il significato della parrocchia; ma proprio da qui «nascono i più frequenti interrogativi riguardo al suo futuro e alla sua vitalità». Infatti, con l’accentuarsi della mobilità, dell’anonimato e dei rapporti prevalentemente funzionali, il territorio conta sempre meno per la vita reale della gente, mentre contano di più tutti i modi di aggregarsi elettivi ed elastici, anche tra persone localmente distanti.

Ora questi cambiamenti non implicano necessariamente una progressiva irrilevanza della parrocchia; però richiedono che essa «sappia metabolizzare le novità e viverle al proprio interno, reagendo ad esse positivamente, con quella capacità di adattamento che le viene proprio dall’essere particolarmente vicina alla vita quotidiana della gente». Una diagnosi che ritenesse il territorio ormai privo di importanza per le esperienze, le scelte, i comportamenti, i rapporti sociali di coloro che vi abitano, sarebbe fuorviante.

È un dato di fatto che le persone e le famiglie attribuiscono una grande importanza al vivere in una zona piuttosto che in un’altra, a cominciare dai diversi quartieri di una stessa città. Ne è prova la resistenza delle persone a lasciare quel luogo in cui si è radicata la loro esistenza. Nonostante il nuovo e più complesso contesto sociale attuale, «il territorio, osserva il cardinal Ruini, continua ad essere assai importante e rimane l’ambito di socializzazione meno selettivo e maggiormente aperto a persone ed esperienze anche molto diverse».

Pastorale

integrata

La conseguenza allora più immediata che ne deriva è che la parrocchia è chiamata a sua volta a entrare in un cosiddetto processo di “pastorale integrata”. Le parrocchie, cioè, piccole o grandi che siano, sono chiamate «ad abbandonare le tentazioni di autosufficienza per intensificare in primo luogo la collaborazione e integrazione con le parrocchie vicine, al fine di sviluppare insieme, in un medesimo ambito territoriale, quelle attenzioni e attività pastorali che superano di fatto le normali possibilità di una singola parrocchia».

Questa reciproca collaborazione va perseguita con tutte le realtà ecclesiali presenti sul territorio, dalle comunità religiose alle associazioni e movimenti laicali. Ferma restando la diversità della natura e dei compiti di ciascuno, è però decisiva «la percezione concreta di quella “unità di missione” che accomuna tutta la Chiesa». Infatti, la fonte prima e la ragione decisiva della “pastorale integrata” «non sono i cambiamenti sociologici attualmente in corso, ma l’essenza stessa del mistero della Chiesa, che è comunione, anzitutto con le Persone divine e conseguentemente tra noi, figli in Cristo di un unico Padre e animati da un medesimo Spirito».

Se da una parte il quadro fondamentale di riferimento del processo di integrazione non può non essere la diocesi, dall’altra l’orientamento intrinseco della comunione e il criterio-guida di tutta la pastorale, soprattutto nelle attuali circostanze, sono necessariamente la missionarietà e la comunicazione della fede; non per nulla, come ha scritto il cardinal Tettamanzi nel suo Percorso triennale,2 il “caso serio” della evangelizzazione e della comunicazione della fede non è semplicemente una delle questioni pastorali, ma la «questione centrale, in un certo senso unica e decisiva della Chiesa».

 

UNA GRANDE

SFIDA APERTA

 

Perché la parrocchia possa aprirsi effettivamente a una pastorale integrata, il presidente della Cei ha indicato alcune linee-guida, tra loro strettamente connesse e interdipendenti. Anzitutto si pone il problema della formazione – non solo dei cristiani che frequentano le nostre comunità, ma, prima ancora, degli stessi sacerdoti e dei seminaristi – a una fede che sia consapevolmente missionaria, nelle varie situazioni di vita e non soltanto all’interno dell’ambito parrocchiale o ecclesiale. Nelle circostanze odierne, una tale fede «non può sottrarsi al confronto con le persone e gli ambienti che sono condizionati da una mentalità e cultura estranea o anche avversa al vangelo e a volte se ne fanno sostenitori espliciti». Diventa perciò particolarmente necessaria «la coerenza della vita, insieme alla solidità delle motivazioni della propria fede e a una proporzionata capacità di articolarle».

Insieme alla formazione si pone poi il problema del discernimento e della valorizzazione di tutte le molteplici potenzialità missionarie già presenti, anche se spesso in forma latente, nella nostra pastorale ordinaria. È qui, infatti, che si incontrano molte persone che appartengono alla Chiesa «in maniera debole e precaria, o anche che non sono credenti». Solo avvicinandoci a loro «con animo accogliente e con slancio missionario i frutti non mancheranno». Proprio per questo è «ingiustificato e controproducente concepire la “svolta missionaria” quasi in alternativa alla pastorale ordinaria e sottostimare quest’ultima quasi fosse, di sua natura, soltanto statica gestione dell’esistente».

Un’altra linea-guida è quella di privilegiare la pastorale degli adulti, prestando quindi tutta la dovuta attenzione alle famiglie, agli ambienti di lavoro e di vita in cui vivono concretamente gli adulti stessi, sull’esempio di quanto è stato fatto nella missione cittadina a Roma in preparazione del giubileo 2000.

Tutto questo dovrebbe essere perseguito rimodellando, per quanto possibile, i ritmi stessi di vita delle parrocchie, rendendoli realmente accessibili agli adulti che lavorano e alle famiglie. Più che l’organizzazione di un gran numero di incontri, oggi si impone l’esigenza di «uno stile pastorale caratterizzato da rapporti umani approfonditi e coltivati senza quella concitazione che deriva dalla brevità del tempo disponibile».

Mentre però si pone l’accento sulla pastorale degli adulti e delle famiglie, sarebbe un errore gravissimo trascurare i bambini, i ragazzi e i giovani, esponendoli in tal modo «al rischio di rimanere sostanzialmente estranei alla proposta cristiana»; anzi, la formazione cristiana degli adulti e delle famiglie diventa in un certo senso «la condizione indispensabile perché l’evangelizzazione delle nuove generazioni trovi riscontro e sostegno nelle realtà familiari in cui esse crescono e si formano».

Il futuro della parrocchia e la sua capacità di mantenere, nel complesso contesto attuale, il proprio carattere di Chiesa di popolo, di una Chiesa, cioè, aperta a tutti, che vive tra le case dei suoi figli e che proprio per questo si rinnova in senso missionario, ha concluso il cardinal Ruini, è in realtà «una grande sfida aperta». Se anche in questo campo non ci sono sicurezze acquisite una volta per tutte, non c’è però neanche motivo «per ritenere questa sfida impossibile, specialmente in Italia dove la parrocchia ha tuttora una grande vitalità e anche una reale centralità nella pastorale concreta, in virtù della sua, persistente, forte vicinanza alla gente». Serve solo “prendere il largo”, come chiede il Papa nella Novo millennio ineunte, «con la fiducia, la creatività e il coraggio apostolico che nascono dalla fede e che possono mettere a frutto, nella direzione della comunione e della missione, le grandi potenzialità manifeste o latenti nelle nostre parrocchie».

 

È possibile che nella prossima assemblea generale della Cei si parli in lungo e in largo della parrocchia, ignorando, di fatto, la presenza di tanti religiosi parroci. Se così fosse, ma ci auguriamo di no, sarebbe un brutto segno. Anche e soprattutto in quella sede, e non solo nell’assemblea della Cism, andrebbe ripreso e approfondito il discorso sul rapporto tra Chiesa locale, vita consacrata e territorio. Se, come scrive il cardinal Tettamanzi nel nuovo Percorso pastorale della diocesi milanese, le persone consacrate «prefigurano e in qualche modo anticipano e pregustano la vita proprio del regno di Dio», è altrettanto certo che soprattutto nelle attuali situazioni sociali e culturali, sono un segno di contraddizione vivente sia per la Chiesa che per il mondo (n. 88).

Se sul versante diocesano c’è il rischio di dimenticarsi della presenza dei religiosi, su quello della vita consacrata c’è quello di “disinteressarsi” della vita della propria chiesa locale. Il problema, allora, non è solo quello di rivedere e aggiornare eventualmente la stesura delle nuove Mutuae relationes, ma di convincersi che il “caso serio” della evangelizzazione e della trasmissione della fede oggi chiama in causa tutte le componenti della Chiesa, popolo di Dio, religiosi compresi.

 

Angelo Arrighini

 

1 Cf. Testimoni nn. 16 e 17. La Cism terrà anche un convegno, organizzato dall’area animazione vita consacrata, a Collevalenza, dal 24 al 28 novembre, sul tema Nel solco del territorio… per il mondo.

2 Cf. Testimoni n. 16, p. 1.